arte
SUL caravaggio di ODESSA
musei sotto attacco e comunicazione
social
di Letizia Comminiello
La cattura di Cristo
è un dipinto olio su tela realizzato da
Caravaggio nel 1602, ovvero nel
decennale soggiorno romano intervallato
dal rilascio dal carcere dell’anno
precedente e una nuova fuga a seguito di
varie e disparate querele.
Del dipinto esistono almeno una dozzina
di copie. La più celebre tra queste è
quella conservata a Dublino, presso la
Galleria Nazionale d’Irlanda; una copia
autentica è conservata a Odessa, città
ucraina divenuta celebre, purtroppo,
anche grazie alle immagini del febbraio
2022, relative ai disperati tentativi di
mettere al sicuro e in sicurezza le
opere e i monumenti di grandissimo
valore culturale che vi si trovano.
Ma come mai dipinti pressochè identici
in luoghi così distanti?
Procedendo con ordine, l’opera è frutto
di una commissione voluta da Ciriaco
Mattei, nobile e appassionato
collezionista di arte, il quale era
stato indirizzato dal fratello, da poco
eletto cardinale, alla scelta del tema.
Tra l’artista e la famiglia c’era già
stata una proficua collaborazione, che
aveva portato Caravaggio a soggiornare
presso il palazzo del cardinale Girolamo
Mattei e alla realizzazione della
Cena ad Emmaus e del San Giovanni
Battista.
Quello che
Caravaggio traspone su una tela 134 x
172,5 cm è il momento descritto in tutti
e quattro i Vangeli canonici, ma più
precisamente in quello di Marco: «Chi
lo tradiva aveva dato loro questo segno:
“Quello che bacerò, è lui; arrestatelo e
conducetelo via sotto buona scorta”. Allora
gli si accostò dicendo: “Rabbì” e lo
baciò».
Si tratta, chiaramente, del celeberrimo
“bacio di Giuda” a cui fa seguito
l’immediata cattura del Cristo.
.
Michelangelo Merisi, detto il
Caravaggio, La Cattura di Cristo,
olio su tela, 1602
Galleria Nazionale d’Irlanda, Dublino
Il centro visivo del dipinto, quello che
l’occhio coglie a prima vista, è dato
proprio dal contrasto delle teste di
Gesù e dell’apostolo che lo sta
tradendo. Se il primo, dal volto pallido
e dall’atteggiamento compunto e
rassegnato – caratteristiche che
prefigurano i patimenti e la passione –
si muove verso sinistra, quasi perdendo
l’equilibrio, come si nota facilmente
guardando la posizione delle mani
giunte, è per via dell’impeto del corpo
di Giuda, ritratto una frazione di
secondo prima che le labbra, già
atteggiate alla posizione del bacio,
tocchino l’altrui guancia.
Sulla destra, un uomo che potrebbe avere
le fattezze dello stesso Caravaggio,
solleva sulle teste degli stanti una
lanterna che permette di illuminare due
guardie che si stanno avventando sul
Cristo.
L’insieme è, ovviamente, frenetico. I
volti esprimono stupore, rassegnazione,
rabbia; la luce rimbalza sulle scure e
lisce corazze dei soldati – quanto mai
inappropriate rispetto alla figura
emaciata e dismessa dell’arrestato – e,
più di tutto, le opposte direzioni dei
movimenti rendono alla perfezione la
tensione e l’angoscia per ciò che sta
avvenendo e per ciò che accadrà, come
pronosticato. Lo spazio attorno ai vari
personaggi è davvero ridotto proprio ad
aumentare la drammaticità.
La versione più celebre del dipinto è
quella conservata a Dublino, presso la
Galleria Nazionale d’Irlanda, alla quale
è arrivata dopo varie peripezie. Nel
1603 il cardinale Mattei muore e
Caravaggio lascia la sua dimora. Dopo
una decina di anni, per via della
difficile situazione economica degli
eredi, il quadro passa nelle mani di una
facoltosa coppia di scozzesi, gli
Hamilton Nisbet, i quali ne detengono la
proprietà per decenni prima di metterlo
all’asta.
Mary Lea Wilson, la nuova proprietaria,
convertendosi al cristianesimo forse
proprio per via della folgorazione
ricevuta dall’opera, lo dona, nel 1990,
alla comunità di Sant’Ignazio di
Dublino, il cui oculato curatore
richiede l’assistenza degli esperti
della National Gallery di Londra,
constatando fin da subito l’altissimo
valore e la perfezione dell’opera.
Una seconda copia – autenticata nel 1950
– si trova a Odessa. In questo caso, non
è noto se la famiglia cardinaliza se ne
disfece immediatamente o dopo anni.
Sicuramente alla metà dell’Ottocento si
trovava esposta nell’Hotel Basilewsky.
Nel 1868 il collezionista Alexander
Petrovich Basilewsky decide di disfarsi
di tutti i quadri in suo possesso –
principalmente per questioni economiche
–, fatta eccezione per La cattura di
Cristo.
L’opera nel 1870 viene donata al
fratello del futuro Zar Alessandro III,
il quale la espone all’Accademia delle
Belle Arti di San Pietroburgo. La
permanenza del dipinto nell’imponente
collezione reale è in realtà piuttosto
breve, visto che ai primi del Novecento
la si sposta in una città appena fondata
dagli stessi Romanov, centro
commerciale, ma anche culturale e
multietnico: si tratta proprio di
Odessa.
.
Odessa, Museo di Arte Orientale e
Occidentale
Il Museo di Arte Occidentale e Orientale
(in ucraino: Музей західного і східного
мистецтва) di Odessa vede la luce nel
1924 e viene istituito presso un palazzo
dalla delicata architettura costruito
alla metà dell’Ottocento dall’architetto
Ludwig Otton.
La collezione si compone di tre sezioni,
la pinacoteca che conserva esempi di
arte dal XVI al XX secolo (questa
sezione conta le opere di Caravaggio, ma
anche di Gerard David, Jan van Scorel,
Rubens, Abraham Bloemaert, Frans Hals e
altri), la galleria di arti grafiche
(che comprende una sezione dedicata alle
arti grafiche giapponesi) e la galleria
d’arte decorativa (con porcellane,
mobili, arazzi, ecc.).
Il 30 luglio 2008, il dipinto
caravaggesco viene rubato dal museo,
dove resta solo la cornice e parte
dell’armatura tagliata. La tela,
difatti, viene tagliata, arrotolata e
piegata via in modo da renderne il
trasporto più comodo per i ladri. La si
ritrova due anni dopo, in una stazione
periferica della città di Berlino, in un
pessimo stato che richiede un immediato
restauro, che però viene impedito per 11
anni poiché la tela è necessaria per
portare a giudizio più di 20 persone,
membri di una banda specializzata in
furti di opere d’arte.
.
La cattura di Cristo,
stato del dipinto prima dei lavori di
restauro
Nel 2018 iniziano i lavori di restauro,
fortemente voluti e svolti nella stessa
Ucraina, presso l’Istituto di Restauro
di Kyiv, nonostante la mancanza di
strumentazioni all’avanguardia e di una
consistente esperienza alle spalle.
L’opera fino a qualche giorno fa era
esposta presso il Museo di Arte
Occidentale e Orientale di Odessa, che
il 24 febbraio 2022 ha riportato su i
propri canali social: «Il Museo
d’arte occidentale e orientale di Odessa
non accetta visitatori, ma si impegnerà
nel suo primo dovere: preservare la
collezione, proprietà dei cittadini
ucraini. Siamo sicuri che ci
incontreremo molto presto».
Le opere sono state sigillate e
trasportate in bunker, per preservarle
in caso di attacchi aerei, ritenuti
molto probabili, alla città. Il museo,
chiuso dal 24 febbraio 2022, avrebbe
dovuto ospitare, proprio nelle settimane
in cui è scoppiata la guerra, una serie
di lezioni e convegni aperti a studiosi
e cittadini sulla Commedia dell’Arte,
patrimonio del teatro italiano.
Nonostante la terribile situazione, si è
intensificata la pubblicazione sui
canali social di post relativi alle
opere d’arte della collezione, in
particolar modo di dipinti che
rappresentano esempi di forza, lealtà e
coraggio, in una dinamica comunicativa
utilizzata ampiamente dallo stesso
premier ucraino, Volodymyr Zelens’kyj,
per tenere aggiornato e spronare il
proprio esercito e popolo, ma anche per
scuotere l’opinione pubblica mondiale.
Un esempio della “propaganda per la
pace” impugnata dalla direzione museale
è la didascalia accanto a un’opera che
riporta una breve analisi del quadro,
letta alla luce della situazione
corrente:
«Cosa ci serve? Pace, tranquillità e
luce.
[…] L’immagine dell’eroina del dipinto
di Max diventa l’incarnazione di una
fonte di luce spirituale, che l’artista
riteneva essere la fede cristiana
incarnata da una lampada nelle mani di
Cecilia. Il volto della ragazza è
concentrato-triste; la sua figura che
compone la croce frangia, tutto il
riempimento emotivo e artistico
dell’opera suona come un sermone di
umiltà e umiltà. […] La luce è con noi!»
Riferimenti bibliografici:
J. Harr, Il Caravaggio perduto,
Rizzoli,
Milano 2006.
S. Zuffi, I geni dell’arte.
Caravaggio, Mondadori, Milano 2007. |