[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

171 / MARZO 2022 (CCII)


arte

SUL caravaggio di ODESSA

musei sotto attacco e comunicazione social

di Letizia Comminiello

 

La cattura di Cristo è un dipinto olio su tela realizzato da Caravaggio nel 1602, ovvero nel decennale soggiorno romano intervallato dal rilascio dal carcere dell’anno precedente e una nuova fuga a seguito di varie e disparate querele. Del dipinto esistono almeno una dozzina di copie. La più celebre tra queste è quella conservata a Dublino, presso la Galleria Nazionale d’Irlanda; una copia autentica è conservata a Odessa, città ucraina divenuta celebre, purtroppo, anche grazie alle immagini del febbraio 2022, relative ai disperati tentativi di mettere al sicuro e in sicurezza le opere e i monumenti di grandissimo valore culturale che vi si trovano. Ma come mai dipinti pressochè identici in luoghi così distanti?

 

Procedendo con ordine, l’opera è frutto di una commissione voluta da Ciriaco Mattei, nobile e appassionato collezionista di arte, il quale era stato indirizzato dal fratello, da poco eletto cardinale, alla scelta del tema. Tra l’artista e la famiglia c’era già stata una proficua collaborazione, che aveva portato Caravaggio a soggiornare presso il palazzo del cardinale Girolamo Mattei e alla realizzazione della Cena ad Emmaus e del San Giovanni Battista.

 

Quello che Caravaggio traspone su una tela 134 x 172,5 cm è il momento descritto in tutti e quattro i Vangeli canonici, ma più precisamente in quello di Marco: «Chi lo tradiva aveva dato loro questo segno: “Quello che bacerò, è lui; arrestatelo e conducetelo via sotto buona scorta”. Allora gli si accostò dicendo: “Rabbì” e lo baciò». Si tratta, chiaramente, del celeberrimo “bacio di Giuda” a cui fa seguito l’immediata cattura del Cristo.

 

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Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio, La Cattura di Cristo, olio su tela, 1602

Galleria Nazionale d’Irlanda, Dublino

  

Il centro visivo del dipinto, quello che l’occhio coglie a prima vista, è dato proprio dal contrasto delle teste di Gesù e dell’apostolo che lo sta tradendo. Se il primo, dal volto pallido e dall’atteggiamento compunto e rassegnato – caratteristiche che prefigurano i patimenti e la passione – si muove verso sinistra, quasi perdendo l’equilibrio, come si nota facilmente guardando la posizione delle mani giunte, è per via dell’impeto del corpo di Giuda, ritratto una frazione di secondo prima che le labbra, già atteggiate alla posizione del bacio, tocchino l’altrui guancia.

 

Sulla destra, un uomo che potrebbe avere le fattezze dello stesso Caravaggio, solleva sulle teste degli stanti una lanterna che permette di illuminare due guardie che si stanno avventando sul Cristo.

 

L’insieme è, ovviamente, frenetico. I volti esprimono stupore, rassegnazione, rabbia; la luce rimbalza sulle scure e lisce corazze dei soldati – quanto mai inappropriate rispetto alla figura emaciata e dismessa dell’arrestato – e, più di tutto, le opposte direzioni dei movimenti rendono alla perfezione la tensione e l’angoscia per ciò che sta avvenendo e per ciò che accadrà, come pronosticato. Lo spazio attorno ai vari personaggi è davvero ridotto proprio ad aumentare la drammaticità.

 

La versione più celebre del dipinto è quella conservata a Dublino, presso la Galleria Nazionale d’Irlanda, alla quale è arrivata dopo varie peripezie. Nel 1603 il cardinale Mattei muore e Caravaggio lascia la sua dimora. Dopo una decina di anni, per via della difficile situazione economica degli eredi, il quadro passa nelle mani di una facoltosa coppia di scozzesi, gli Hamilton Nisbet, i quali ne detengono la proprietà per decenni prima di metterlo all’asta.

 

Mary Lea Wilson, la nuova proprietaria, convertendosi al cristianesimo forse proprio per via della folgorazione ricevuta dall’opera, lo dona, nel 1990, alla comunità di Sant’Ignazio di Dublino, il cui oculato curatore richiede l’assistenza degli esperti della National Gallery di Londra, constatando fin da subito l’altissimo valore e la perfezione dell’opera.

 

Una seconda copia – autenticata nel 1950 – si trova a Odessa. In questo caso, non è noto se la famiglia cardinaliza se ne disfece immediatamente o dopo anni. Sicuramente alla metà dell’Ottocento si trovava esposta nell’Hotel Basilewsky. Nel 1868 il collezionista Alexander Petrovich Basilewsky decide di disfarsi di tutti i quadri in suo possesso – principalmente per questioni economiche –, fatta eccezione per La cattura di Cristo.

 

L’opera nel 1870 viene donata al fratello del futuro Zar Alessandro III, il quale la espone all’Accademia delle Belle Arti di San Pietroburgo. La permanenza del dipinto nell’imponente collezione reale è in realtà piuttosto breve, visto che ai primi del Novecento la si sposta in una città appena fondata dagli stessi Romanov, centro commerciale, ma anche culturale e multietnico: si tratta proprio di Odessa.

 

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Odessa, Museo di Arte Orientale e Occidentale

 

Il Museo di Arte Occidentale e Orientale (in ucraino: Музей західного і східного мистецтва) di Odessa vede la luce nel 1924 e viene istituito presso un palazzo dalla delicata architettura costruito alla metà dell’Ottocento dall’architetto Ludwig Otton.

 

La collezione si compone di tre sezioni, la pinacoteca che conserva esempi di arte dal XVI al XX secolo (questa sezione conta le opere di Caravaggio, ma anche di Gerard David, Jan van Scorel, Rubens, Abraham Bloemaert, Frans Hals e altri), la galleria di arti grafiche (che comprende una sezione dedicata alle arti grafiche giapponesi) e la galleria d’arte decorativa (con porcellane, mobili, arazzi, ecc.).

 

Il 30 luglio 2008, il dipinto caravaggesco viene rubato dal museo, dove resta solo la cornice e parte dell’armatura tagliata. La tela, difatti, viene tagliata, arrotolata e piegata via in modo da renderne il trasporto più comodo per i ladri. La si ritrova due anni dopo, in una stazione periferica della città di Berlino, in un pessimo stato che richiede un immediato restauro, che però viene impedito per 11 anni poiché la tela è necessaria per portare a giudizio più di 20 persone, membri di una banda specializzata in furti di opere d’arte.

 

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La cattura di Cristo, stato del dipinto prima dei lavori di restauro

 

Nel 2018 iniziano i lavori di restauro, fortemente voluti e svolti nella stessa Ucraina, presso l’Istituto di Restauro di Kyiv, nonostante la mancanza di strumentazioni all’avanguardia e di una consistente esperienza alle spalle.

 

L’opera fino a qualche giorno fa era esposta presso il Museo di Arte Occidentale e Orientale di Odessa, che il 24 febbraio 2022 ha riportato su i propri canali social: «Il Museo d’arte occidentale e orientale di Odessa non accetta visitatori, ma si impegnerà nel suo primo dovere: preservare la collezione, proprietà dei cittadini ucraini. Siamo sicuri che ci incontreremo molto presto».

 

Le opere sono state sigillate e trasportate in bunker, per preservarle in caso di attacchi aerei, ritenuti molto probabili, alla città. Il museo, chiuso dal 24 febbraio 2022, avrebbe dovuto ospitare, proprio nelle settimane in cui è scoppiata la guerra, una serie di lezioni e convegni aperti a studiosi e cittadini sulla Commedia dell’Arte, patrimonio del teatro italiano.

 

Nonostante la terribile situazione, si è intensificata la pubblicazione sui canali social di post relativi alle opere d’arte della collezione, in particolar modo di dipinti che rappresentano esempi di forza, lealtà e coraggio, in una dinamica comunicativa utilizzata ampiamente dallo stesso premier ucraino, Volodymyr Zelens’kyj, per tenere aggiornato e spronare il proprio esercito e popolo, ma anche per scuotere l’opinione pubblica mondiale.

 

Un esempio della “propaganda per la pace” impugnata dalla direzione museale è la didascalia accanto a un’opera che riporta una breve analisi del quadro, letta alla luce della situazione corrente: «Cosa ci serve? Pace, tranquillità e luce. […] L’immagine dell’eroina del dipinto di Max diventa l’incarnazione di una fonte di luce spirituale, che l’artista riteneva essere la fede cristiana incarnata da una lampada nelle mani di Cecilia. Il volto della ragazza è concentrato-triste; la sua figura che compone la croce frangia, tutto il riempimento emotivo e artistico dell’opera suona come un sermone di umiltà e umiltà. […] La luce è con noi!»

 

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

J. Harr, Il Caravaggio perduto, Rizzoli, Milano 2006.

S. Zuffi, I geni dell’arte. Caravaggio, Mondadori, Milano 2007. 

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]