N. 24 - Dicembre 2009
(LV)
i caratteri della monarchia macedone
assoluta o costituzionale?
di Chiara Matarese
Un
regno
tra
Greci
e
barbari
Cenni
storici
sulla
regalità
macedone
e
sua
evoluzione
sotto
Filippo
II
I re
macedoni
asserivano
la
propria
origine
greca.
Alessandro
I
ottenne
che
gli
arbitri
dei
Ludi
olimpici
riconoscessero
lui
come
principe
greco
e i
suoi
sudditi
come
“nazione”
greca;
fu
proprio
a
partire
dal
regno
del
Filelleno
che
si
manifestò
in
maniera
costante
la
volontà
dei
diversi
sovrani
di
assimilare
i
modelli
culturali
greci.
Furono
molte
le
personalità
dell’ambiente
letterario
e
culturale
greco
ad
essere
accolte
a
corte
(tra
tutti,
Euripide
e
Tucidide).
Sembra
che
alla
corte
di
Perdicca
III
il
filosofo
accademico
Eufreo
di
Oreo
insegnasse
la
geometria
e la
dialettica.
Le
relazioni
tra
la
società
macedone
e il
mondo
greco
si
fecero
più
intense
quando
Filippo
II
(359-336)
estese
il
potere
del
sovrano
macedone
al
di
fuori
dei
confini
della
Macedonia.
In
un
primo
momento
conquistò
la
Tessaglia
e la
penisola
calcidica.
Nel
346,
anno
della
“pace
di
Filocrate”,
Filippo
occupò
le
Termopili.
Da
quel
momento
potè
contare
all’interno
della
Anfizionia
Delfica
sui
due
voti
che
sino
ad a
quel
momento
erano
stati
dei
Focesi.
Gli
ambasciatori
di
Filippo
sedevano
accanto
ai
legati
delle
altre
stirpi
greche:
ciò
significava
che
il
processo
iniziato
con
Alessandro
I
era
concluso
e il
re
macedone
era
ormai
accolto
definitivamente
nella
comunità
dei
Greci.
A
partire
dal
338
il
sovrano
macedone
assunse
un
ruolo
gerarchicamente
superiore
a
tutti
gli
altri
soggetti
politici
greci.
In
seguito
alla
battaglia
di
Cheronea
le
città
greche
“furono
private
della
loro
libertà”
(Licurgo,
Leocrate,
50).
Nel
337
inviati
di
tutte
le
città,
ad
esclusione
di
Sparta,
si
radunarono
a
Corinto
per
sancire
la
pace
comune
(koinè
eirhénhe)
e la
nascita
di
un’alleanza
politico-difensiva
a
tempo
indeterminato
tra
il
sovrano
macedone,
Filippo
II,
e i
Greci
confederati
riuniti
nel
Sinedrio.
Nel
seno
del
Sinedrio
venne
sancita
la
pace
comune.
Il
proclama
di
Corinto
(IG,
II,
236)
sancisce
il
divieto
dei
membri
di
sollevare
le
armi
gli
uni
contro
gli
altri
e
l’obbligo
di
fornire
aiuto
militare
all’alleato
nell’ambito
della
tutela
della
pace
comune.
Giurando
fedeltà
alla
“regalità”
di
Filippo
e
dei
suoi
successori,
gli
alleati
si
sottomettono
all’autorità
del
sovrano
macedone
a
cui
è
attribuito
il
titolo
di
hegemhón
della
Lega.
L’idea
di
Filippo,
seguita
poi
da
Alessandro,
fu
quella
di
utilizzare
la
Lega
per
perseguire
i
propri
obiettivi
politici.
Il
progetto
di
Filippo
era
la
spedizione
in
Asia
che
si
configurava
come
la
naturale
prosecuzione
dell’occupazione
della
penisola
calcidica
e
della
Tracia.
La
propaganda
macedone
presentò
la
guerra
come
una
guerra
panellenica:
la
guerra
in
Asia
si
configurava
come
la
continuazione
delle
Guerre
Persiane,
la
vendetta
che
i
Greci
si
sarebbero
presi
contro
i
barbari
che
avevano
osato
profanare
i
templi
degli
dei
patrii.
Non
solo
una
guerra
panellenica
dunque
ma
anche
una
guerra
sacra.
Che
si
trattasse
di
pura
propaganda
è
chiaro
dal
fatto
che,
al
tempo
delle
guerre
persiane,
l’allora
re
Alessandro
I
faceva
parte
in
realtà
dell’entourage
di
Serse.
Dopo
che
fu
decretata
dal
sinedrio
della
Lega,
la
spedizione
iniziò
nella
primavera
del
336
con
l’invio
di
un
esercito
al
comando
di
Parmenione
e
Attalo
al
di
là
dell’Ellesponto
ma
nell’autunno
di
quello
stesso
anno
Filippo
trovò
la
morte.
Alessandro
accolse
l’eredità
paterna.
La
sua
conquista
dell’Asia
determinò
un
contatto
permanente
tra
culture
greca
e
orientali,
costituendo
la
base
del
fenomeno
dell’Ellenismo.
Per
quanto
riguarda
il
regno
macedone
lo
spirito
sostanzialmente
greco
sarà
il
suo
elemento
denotativo
rispetto
ai
regni
asiatici
nati
dalla
frammentazione
dell’impero
di
Alessandro
tanto
che,
per
esempio,
non
abbiamo
nessuna
notizia
che
attesti
l’esistenza
di
un
culto
dinastico
degli
Antigonidi
di
Macedonia.
Titolatura
del
sovrano
macedone
Per
conoscere
la
natura
e i
caratteri
della
regalità
macedone
si
può
partire
dall’esame
della
titolatura
del
re
macedone:
si
tratta
di
vedere
come
la
persona
del
re
viene
definita
in
vari
documenti.
Tale
procedimento
ci
permette
di
indagare
quelli
che
sono
i
caratteri
peculiari
della
regalità
macedone.
L’osservazione
della
ricorrenza
di
determinati
titoli
nei
documenti
a
nostra
disposizione
mostra
chiaramente
come
la
monarchia
macedone
fosse
caratterizzata
dall’assenza
di
rigidità
nel
sistema
burocratico
e
nel
protocollo
reale.
Questo
aspetto
è
trasversale
alla
storia
della
Macedonia
e la
contraddistingue
anche
in
epoca
ellenistica
rispetto
alle
altre
cancellerie
reali.
Tuttavia
Aymard
ha
ritenuto
a
lungo
che
la
formula
“giuridicamente
corretta
e
ufficiale”
del
re
macedone
fosse
basileús
Makedónhon
sulla
base
di
una
quantità
esigua
di
documenti
epigrafici
nei
quali
comunque
si
riscontra
questa
formula:
1.Iscrizione
di
Cassandreia
(Dittenberger,
332)in
cui
Cassandro,
basileús
Makedónhon
Kassandros,
conferma
la
cessione
di
alcune
terre
a
Perdicca
figlio
di
Ceno;
2.Iscrizione
di
Labdeia
(IG,
VII,
3055)
in
cui
Amyntas
Perdikkas
Makedonhon
è
nominato
all’inizio
di
una
lista
di
visitatori
dell’oracolo
di
Trifonio;
3.Come
anche
i
documenti
del
punto
4. e
del
punto
5.,
riguarda
Filippo
V
(221-179):
si
tratta
della
dedica
per
la
vittoria
del
re a
Delo
apò
thon
katà
ghèn
aghónhon
(Dittenberger,
573);
4.Dedica
a
Lindo,
in
seguito
alla
vittoria
di
Filippo
sui
Dardani
(Blinkenberg,
I,
2);
5.Dedica
della
Stoà
di
Filippo
a
Delo
(Vallois,
I,
p.
155
sgg.).
Tuttavia
Errington
ha
mostrato
come
ognuna
di
queste
testimonianze
non
sia
da
considerarsi
significativa
nel
senso
voluto
da
Aymard.
Per
quanto
riguarda
il
punto
1.
Errington
spiega
la
formula
come
un’affermazione
solenne
di
legittimità
del
potere
del
re:
Cassandro,
in
questo
contesto
doveva
dichiararsi
come
unico
ad
avere
il
diritto
di
confermare
(e
quindi
rendere
legittimo)
l’atto
della
cessione
di
terre.
Per
quanto
riguarda
le
altre
testimonianze,
si
tratta
di
documenti
non
attribuibili
alla
cancelleria
macedone
e
quindi
scevri
di
pretese
di
rappresentare
qualcosa
di
“ufficiale”.
In
più,
in
riferimento
al
punto
2. Errington
afferma
che
esso
rappresenterebbe
un
atto
di
propaganda
nei
confronti
di
uno
dei
candidati
possibili,
a
pochi
mesi
dalla
morte
di
Filippo.
Inoltre
non
sarebbe
da
sottovalutare
il
fatto
che
iniziare
una
lista
con
un
nome
noto
sottolineandone
l’autorità
avrebbe
dato
lustro
all’oracolo.
Il
punto
3. e
4.
si
riferiscono
a
vittorie
del
sovrano,
una
di
carattere
sportivo,
l’altra
militare:
all’interno
di
una
dimensione
elogiativa
ben
si
inserisce
il
riferimento
ai
sudditi
sui
quali
il
re
vittorioso
esercita
la
propria
sovranità.
Anche
per
l’ultimo
punto
l’ottica
è
quella
celebrativa
di
un
sovrano
che,
forte
del
suo
potere,
sfida
Attalo
il
quale,
nello
stesso
luogo,
aveva
elevato
proprio
una
stoà.
Nel
1974
Errington
non
poteva
tenere
in
considerazione
l’iscrizione
successivamente
trovata
a
Dion.
In
essa
si
ritrova
la
stessa
formula
del
punto
1.
(Hatzopoulos,
II,
23):
si
tratta
di
una
dedica
a
Zeus
fatta
direttamente
a
nome
del
sovrano.
Anche
in
questo
caso
il
riferimento
etnico
ha
una
precisa
motivazione
di
propaganda:
Cassandro
si
mostra
“re
dei
Macedoni”
di
fronte
ai
suoi
compatrioti
ai
piedi
del
monte
Olimpo,
uno
dei
luoghi
simbolo
della
religiosità
macedone.
Del
resto,
lo
stesso
Cassandro
nelle
occasioni
di
normale
amministrazione
era
invece
semplicemente
basileús
Kassandros.
Con
tale
formula
è
indicato
per
esempio
in
un’iscrizione
da
Cassandreia
(che
è lo
stesso
luogo
di
provenienza
dell’iscrizione
del
punto
1.)
per
l’occasione
della
concessione
dell’ateleia
(immunità)
a un
cittadino
della
polis
(SEG,
XLVII,
940).
Passando
all’uso
epistolare,
l’analisi
dei
documenti
mostra
come
il
re
fosse
semplicemente
basileús
quando
comunicava
all’interno
del
proprio
territorio
senza
che
questo
generasse
pericoli
di
ambiguità.
Probanti
in
questo
senso
iscrizioni
dell’epoca
di
Filippo
V in
cui
si
trova
semplicemente:
basileús
Philippos
basilehos
Demetriou
(“re
Filippo,
figlio
di
re
Demetrio”).
Il
suffisso
Makedhónhon
si
trova
solamente
al
di
fuori
dell’area
di
controllo
con
lo
scopo
di
rendere
immediata
l’identificazione
del
sovrano
ed
evitare
fraintendimenti.
Dall’analisi
che
abbiamo
proposto
possiamo
concludere
che
la
titolatura
del
sovrano
macedone
non
può
supportare
l’attribuzione
di
un
carattere
nazionale
alla
basileia
macedone
e
quindi
l’ipotesi
che
tale
elemento
influenzi
quelli
che
sono
i
poteri
del
basileús
e il
modo
di
esercitarli.
I
poteri
del
re
macedone
Andremo
ora
ad
analizzare
nel
dettaglio
quali
fossero
i
poteri
del
re
macedone
cercando
di
delimitarne
i
limiti.
Callistene
ricorda
come
la
dinastia
macedone
proveniente
da
Argo
esercitasse
il
potere
“non
con
violenza
ma
secondo
legge”
(oudè
bíai
allà
nómhoi)lo
fa
in
polemica
con
Alessandro
(Arriano,
Anabasi
IV,
11.6).
Si
potrebbe
quindi
dedurre
che
il
re
macedone,
nell’esercizio
del
potere
dovesse
sottomettersi
alla
legge.
Tuttavia
bisogna
ricordare
che
la
parola
nomos
contiene
un’ambiguità:
essa
deve
essere
intesa
come
norma
scritta
oppure
nel
suo
significato
originario
di
maniera
abituale
di
agire,
che
non
sottopone
a
nessun
obbligo
giuridico
ma
semmai
a un
obbligo
di
tipo
etico?
Secondo
Anson
in
questo
caso
è
chiaro
che
Arriano
si
stia
riferendo
non
al
diritto
costituzionale
ma
ad
un’indicazione
del
diritto
consuetudinario.
Non
vi è
cioè
in
Macedonia
nessun
potere
o
nessuna
norma
superiore
al
potere
personale
del
re.
Il
re
controllava
personalmente
gli
affari
esteri,
prima
di
tutto
in
qualità
di
generale
a
capo
dell’esercito
macedone.
Quest’ultimo,
noto
come
uno
dei
corpi
armati
più
efficienti
del
mondo
antico,
fu
riorganizzato
proprio
da
Filippo
II
che
ne
fece
lo
strumento
di
controllo
sul
territorio
all’interno
e
soprattutto
all’esterno
della
Macedonia:
come
ogni
monarca
che
si
prefigga
obiettivi
“imperialistici”
il
suo
potere
doveva
basarsi
sull’appoggio
di
un
esercito
militarmente
eccellente.
Per
questo
motivo
egli
aggiunse
alla
cavalleria
pesante
(hetaíroi)
e
alla
cavalleria
leggera
una
particolare
forma
di
fanteria,
come
evoluzione
dell’invincibile
battaglione
tebano,
la
falange,
costituita
di
fanti
corazzati
e
armati
di
scudo
e di
una
lancia
lunga
5-6
metri,
la
sarissa.
Questo
tipo
di
armata
contribuì
alla
fama
di
invincibilità
dell’esercito
macedone,
nonché
alle
vittorie
di
Alessandro
in
Oriente.
Inoltre
era
volontà
del
re
occuparsi
personalmente
delle
relazioni
politiche:
le
ambascerie
erano
inviate
a
lui
personalmente
ed
egli
in
persona
si
preoccupava
di
concludere
alleanze
senza
usufruire
di
intermediari
del
“popolo”
macedone.
Tuttavia
formule
d’uso
nella
lingua
dei
trattati
sembrano
indicare
come
il
popolo
macedone
avesse
un
certo
peso
nella
gestione
della
prassi
politica.
Nell’iscrizione
di
Delo
che
ricorda
la
battaglia
di
Sellasia
(222)
che
vide
la
vittoria
di
Antigono
Dosone
contro
Cleomene
III
si
legge:
basileús
Antigonos
basilehos/Demetriou
kai
Makedones/kai
hoi
symmachoi
apò
thes
perì/Sellasias
máchhes
Apollhoni
(“Re
Antigono
figlio
di
re
Demetrio
e
(i)
Macedoni
e
gli
alleati
ad
Apollo
per
la
battaglia
di
Sellasia”
(Dittenberger,
518)).
Holleaux
ha
focalizzato
la
sua
attenzione
sui
termini
basileus
e
Makedones
concludendo
che
i
due
elementi
costitutivi
dello
Stato
macedone
fossero
il
re
da
una
parte
e la
“nazione
macedone”dall’altra:
l’azione
del
re
quindi
sarebbe
non
soltanto
sul
popolo
ma
anche
con
il
popolo.
Tuttavia
Errington
nota
come
non
si
possa
cogliere
il
significato
di
quel
Makedones
senza
metterlo
in
relazione
con
il
successivo
symmakoi
(“alleati”);
infatti
vi
sarebbe
la
necessità
di
tenere
distinti
i
Macedoni
dagli
altri
membri
della
Lega
in
quanto
i
primi
ricoprono
un
ruolo
primario
all’interno
di
essa
come
fornitori
della
maggior
parte
dei
contingenti
militari.
Vero
è
anche
che
questo
ruolo
primario
deriva
loro
dal
fatto
di
essere
i
sudditi
diretti
del
capo
della
Lega
che,
come
ai
tempi
di
Filippo
II,
è
appunto
il
re
macedone.
Una
monarchia
sacra
A
porre
la
monarchia
macedone
sulla
linea
di
un
potere
assoluto
concorre
il
fatto
che
l’autorità
del
re
era
sancita
anche
e in
primo
luogo
dal
punto
di
vista
religioso:
nell’immaginario
comune
i
membri
della
famiglia
reale
rimanevano
i
discendenti
di
Temeno
di
Argo
che
a
sua
volta
era
discendente
di
Eracle
figlio
di
Zeus.
La
monarchia
macedone
possedeva
quindi
un
carattere
sacrale.
Per
quanto
riguarda
le
pratiche
religiose,
non
esisteva
in
Macedonia
una
classe
sacerdotale
ma
era
il
re a
preoccuparsi
di
ottenere
per
il
suo
popolo
il
favore
degli
dei
celebrando
sacrifici
e
feste
religiose.
Significativo
l’esempio
di
Alessandro.
I
sacrifici
venivano
svolti
giornalmente
(per
questo
Giustino
(IX,
4.1)
parla
di
solita
sacra).
Proprio
al
principio
della
spedizione,
durante
l’attraversamento
dell’Ellesponto,
egli
sacrificò
personalmente
a
Poseidone
e
alle
Nereidi
e
allo
stesso
modo
si
preoccupò
di
adempiere
ai
suoi
doveri
fino
a
quando
la
malattia
non
gli
impedì
di
muoversi
(Arriano,
VII,
25.3-6).
Il
re e
i
sudditi:
1.L’
assemblea
del
popolo
Polibio
(V,
27)
e
Arriano
(V,
28.1)
ci
informano
che
i
Macedoni
in
assemblea
avevano
uguale
libertà
di
parola.
Sulla
base
di
questi
passi
Aymard
ha
affermato
e
sostenuto
che
la
monarchia
macedone
fosse
una
monarchia
costituzionale.
Briant,
suo
sostenitore,
si è
ulteriormente
sforzato
di
stabilire
una
distinzione
tra
assemblea
dell’esercito
e
assemblea
del
popolo.
Secondo
lo
studioso
francese
è
l’esistenza
di
quest’ultima
che
giustifica
la
definizione
della
monarchia
macedone
come
regime
relativamente
democratico.
Briant
si
basa
su
un
passo
di
Curzio
Rufo
(VI,
8.25)
:
“de
capitalibus
rebus
vetusto
Macedonum
modo
inquirebat
exercitus-in
pace
erat
vulgi-
et
nihil
potestas
regum
valebat
nisi
prius
valuisset
auctoritas”.
Tuttavia
Lévy
nota
come
i
moderni
si
siano
posti
un
falso
problema
e
abbiano
creato
una
distinzione
che
gli
antichi
non
avvertivano:
l’assemblea
macedone
rimaneva
un’assemblea
di
cittadini
maschi
adulti,
gli
stessi
che
in
tempo
di
guerra
erano
chiamati
a
impugnare
le
armi;
(quindi
semmai
la
discussione
si
può
spostare
sul
fatto
che
in
tempo
di
pace
partecipassero
o
meno
all’assemblea
anche
quei
cittadini
che
per
motivi
di
età
o
inattitudini
fisiche
erano
impossibilitati
a
partecipare
alla
guerra).
I
passi
citati
documentano
l’esistenza
dell’isegoría
(“uguale
facoltà
di
prendere
parola”)
all’interno
dell’assemblea
ma
altri
luoghi
testimoniano
come
i
Macedoni
percepissero
come
loro
diritto
il
rivolgersi
liberamente
al
sovrano
anche
al
di
fuori
del
contesto
assembleare.
Tuttavia,
constatare
l’esistenza
dell’isegoría
non
è
sufficiente
a
considerare
i
sudditi,
singolarmente
o
come
comunità,
un’entità
politica.
Allo
stesso
tempo
non
si
può
negare
che
alcuni
testi
riportino
l’esistenza
di
un
certo
ruolo
dell’assemblea.
Si
tratta
di
casi
limitati
ai
processi
capitali
e
alla
nomina
del
re.
Si
rende
perciò
necessario
esaminare
questi
testi
per
vedere
quanto
fosse
effettivo
il
potere
politico
di
tale
assemblea.
1a.L’assemblea
del
popolo
nei
processi
capitali
Dovremo
cercare
di
comprendere
se
il
ruolo
dell’assemblea
nei
processi
capitali
fosse
in
qualche
modo
sancito
o
comunque
costante
o se
si
trattasse
di
una
norma
consuetudinaria
o
comunque
non
vincolante
per
il
sovrano.
La
prima
situazione
che
andiamo
a
esaminare
è il
processo
a
Filota.
Curzio
Rufo
(VI,
8.1)
riferisce
che
Alessandro,
venuto
a
sapere
che
Filota
tramava
contro
di
lui,
“Advocato
tum
consilio
amicorum,
cui
tamen
Philotas
adhibitus
non
est,
Nicomacum
introduci
iubet”.
Il
consiglio
conclude
che
Filota
è
colpevole
e
che
debba
essere
costretto
a
fare
i
nomi
dei
suoi
compagni
nella
cospirazione
(Curzio
Rufo,VI,
8.10-15).
Il
giorno
successivo
Alessandro
convoca
omnes
armati
(Curzio
Rufo,
VI,
8.23
e
Arriano,
III,
26.2)
ma
ormai
la
decisione
è
stata
presa:
la
totalità
dell’esercito
non
riveste
nessun
ruolo
politico.
Diversa
la
situazione
per
quanto
riguarda
il
processo
ai
paggi,
quei
giovani
dell’aristocrazia
macedone
che
ordirono
una
congiura
ai
danni
di
Alessandro
(estate
327):
Curzio
Rufo
sostiene
che
la
questione
fu
posta
innanzi
a un
frequens
consilium
(“un
consiglio
affollato”
(Livio,
XLII,
62.9)).
Tuttavia
Goukowsky
sottolinea
la
particolarità
del
caso
dato
che
si
trattava
di
imputati
“minorenni”
e
che
non
abbiamo
prova
del
fatto
che
questa
sia
la
norma,
tantomeno
qualora
debbano
essere
giudicati
uomini
pienamente
adulti.
Conferma
a
quest’ipotesi
si
potrebbe
trovare
in
Plutarco
dove
vengono
riportate
le
parole
di
Alessandro
in
una
lettera
inviata
ad
Antipatro
(Vita
di
Alessandro,
55):
hoi
paídes
hupo
thon
Makedónhon
kateleústhhesan,
ton
de
sophisthèn
(scil.
Callistene)
eghò
kholasho
(“i
paggi
sono
stati
giudicati
dai
Macedoni,
ma
il
filosofo
lo
punirò
io
personalmente”).
Alla
luce
di
queste
testimonianze
è
difficile
credere
che
l’assemblea
del
popolo
avesse
un
potere
effettivo
in
materia
giudiziaria:
tuttalpiù
viene
convocata
nel
momento
in
cui
il
re
lo
ritiene
necessario,
senza
che
il
suo
parere
sia
vincolante.
Le
adunanze
dell’assemblea
del
popolo
possono
essere
equiparate
alle
contiones
della
Roma
repubblicana,
assemblee
convocate
e
presiedute
da
un
personaggio
dotato
di
potestas
o di
una
qualche
auctoritas
riconosciuta
dalla
comunità.
Nessuno
al
di
fuori
di
lui
poteva
intervenire
senza
il
suo
permesso
e il
popolo
non
esercitava
alcun
potere
decisionale;
le
contiones
quindi
costituivano
un
importante
strumento
di
comunicazione
politica
ma
solo
in
una
direzione:
dall’elite
al
popolo.
Sono
queste
anche
le
modalità
con
cui
il
generale
si
rivolge
alle
truppe:
l’obiettivo
è
quello
di
testare
la
propria
autorità
davanti
ad
esse
e
mantenere
un
rapporto
di
fiducia
con
i
soldati,
condizione
indispensabile
per
gestire
una
campagna
militare.
Così
faceva
Giulio
Cesare
e
possiamo
immaginare
che
Alessandro
facesse
altrettanto.
1b.L’assemblea
del
popolo
e la
scelta
del
monarca
Per
ricercare
un’eventuale
coinvolgimento
dell’assemblea
nella
scelta
del
sovrano
guardiamo
il
caso
di
Filippo
II,
dato
che
le
fonti
fanno
menzione
di
una
partecipazione
dell’assemblea
alle
fasi
di
esordio
del
suo
regno.
Diodoro
riferisce
che
Filippo
convocò
assemblee
plenarie
prima
di
essere
eletto
(XVI,
3.1),
mentre
Giustino
sostiene
che
accettò
la
carica
perché
“costretto”
dal
popolo
(VII,
5.9).
Sulla
base
di
queste
fonti
Granier
e
Briant
hanno
sostenuto
un
coinvolgimento
dell’assemblea
nell’elezione
del
sovrano,
intendendo
l’uno
l’assemblea
dell’esercito,
l’altro
l’assemblea
del
popolo,
secondo
quella
distinzione
che
abbiamo
già
notato
essere
discutibile.
Tuttavia
l’affermazione
di
Giustino
è
poco
chiara
mentre
il
riferimento
di
Diodoro
si
colloca
quando
Filippo
è
già
re.
Per
questo
Anson
sostiene
che
l’atto
di
convocare
l’assemblea
avesse
ancora
una
volta
una
finalità
di
“moral
building”
e
non
l’elezione
del
sovrano.
Gli
eventi
successivi
alla
morte
di
Alessandro
mostrano,
secondo
Levy,
che
anche
qualora
l’individuo
avesse
ricevuto
una
legittimazione
da
parte
dell’assemblea
questa
non
fosse
sufficiente
a
considerarlo
re.
Per
questo
acquista
grande
significato
la
lite
tra
Perdicca
e
Tolomeo
che
si
contendono
le
spoglie
di
Alessandro
e il
fatto
che
ciascuno
dei
Diadochi
cerchi
attraverso
matrimoni
di
istituire
legami
di
sangue
con
la
dinastia
del
defunto
re
perchè
questi
funzionino
da
elementi
di
legittimazione.
Sono
rari
i
casi
in
cui
l’intervento
dell’assemblea
può
essere
significativo
nella
scelta
del
sovrano;
Levy
ne
distingue
principalmente
due:
il
caso
dell’estinzione
della
dinastia
regnante
(e
l’unico
caso
effettivo
è il
passaggio
da
Demetrio
a
Pirro
nel
284)
e
quello
in
cui
più
pretendenti
si
contendono
il
titolo
(anche
se
come
abbiamo
visto
per
Alessandro
altri
sono
gli
elementi
di
legittimazione
essenziali).
Levy
quindi
conclude
che
sia
per
quanto
riguarda
il
potere
giudiziario,
sia
per
la
nomina
del
re,
l’assemblea
sembra
essere
non
un
organo
di
governo
ma
piuttosto
un
mezzo
per
il
re
per
saggiare
l’opinione
pubblica
e
ottenerne
l’appoggio.
2.L’aristocrazia
L’immagine
della
Macedonia
che
ricaviamo
da
queste
osservazioni
si
avvicina
più
a
quella
di
una
monarchia
assoluta
piuttosto
che
ad
una
monarchia
costituzionalmente
limitata.
Tuttavia,
come
abbiamo
visto,
gli
hetairoi
presenti
a
corte,
pur
privi
di
un
potere
politico
ufficiale,
esercitano
una
certa
influenza
sul
sovrano.
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