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N. 29 - Maggio 2010 (LX)

i caratteri della monarchia achemenide

tra assolutismo e decentramento amministrativo - PARTE II
di Chiara Matarese

 

La titolatura tradizionale attribuita al re persiano è quella di xsãya iya che significa letteralmente “colui che è distinto dalla regalità”. Ogni re della dinastia achemenide è definito in maniera esclusiva con questo titolo, spesso rafforzato dall’aggettivo varzaka (“grande”). Nell’ascendere al trono, ogni membro della famiglia reale assume un nome dinastico: esso deve essere una sintesi del suo programma di governo o la prosecuzione del programma di un altro sovrano che aveva già assunto quel nome in precedenza.

Per esempio il vero nome di Dario III era Artasata ma quello regale da lui assunto significa “colui che regge saldamente il Bene”.

 

Il titolo di Re dei Re (xsãya iya xsãya iyãnhãm) invece definisce il re persiano come re supremo istituendo una relazione tra lui e i sovrani dei regni che erano stati inglobati prima nel regno medio e poi in quello persiano e ne costituivano l’impero. In questa prospettiva la regalità achemenide costituisce la sintesi delle regalità orientali. Nel rilievo di Beistun l’iscrizione riporta: “Io sono il Gran Re, il Re dei Re, il Re dei Popoli… l’Achemenide” (Lecoq, Les inscriptions de la Perse achéménide, Paris, 1997, p. 187, DB, 1; la stessa dicitura ricorre in altri documenti, per esempio: Id., p. 227, DPa e DPb). La dicitura mostra chiaramente come la sovranità achemenide comprende le diverse regalità orientali perché ha sottomesso i popoli sui quali queste erano esercitate. Tale idea è radicata anche in Occidente e la troviamo espressa in Erodoto: “Dario…fu proclamato re: suoi sudditi erano tutti i popoli dell’Asia, tutte le popolazioni che Ciro e dopo di lui Cambise avevano assoggettato” (Erodoto, III, 88).


Nel rilievo di Beistun Dario è raffigurato con il diadema, benda bianca che cingeva il capo, simbolo della regalità persiana. Elementi esteriori come questo ricoprono un’importanza fondamentale perché permettono il riconoscimento immediato della figura del sovrano e allo stesso tempo contribuiscono a rafforzarne l’autorità. Senofonte descrive il costume del re persiano cogliendo l’occasione di una celebre epifanìa, l’"apparizione" di Ciro sul carro (Ciropedia, VIII, 3.13). Il sovrano porta la tiara, un copricapo dentellato, e intorno ad essa il diadema, mantello di porpora e il chitone orlato di bianco.


Nelle varie regioni in cui il sovrano persiano esercita il proprio potere egli è definito con quelle titolature qualificanti la regalità che nel periodo precedente alla conquista persiana erano attribuite ai sovrani locali.

A Babilonia Ciro, acclamato dalla folla festante che si prostra ai suoi piedi e lo acclama come colui che ha riportato in vita il popolo babilonese, è “Re del mondo, Gran Re, re legittimo, re di Babilonia, dei Sumeri e degli Accadi, re dei quattro cerchi della terra” (A. K. Grayson, Assyrian and Babylonian Chronicles, New York, 1975, 104-111, spec. p. 106).


In Egitto per Dario e Serse è testimoniata la titolatura “ Re dei Due Paesi, Signore delle corone, che vive eternamente” (G. Posener, La première domination perse en Egypte. Recueil d’iscriptions hiéroglyphiques, Le Caire, 1936, n. 30). Alcune iscrizioni su vasi ritrovate a Susa affermano “Re dell’Alto e del Basso Egitto, Signore dei Due Paesi, Serse che vive eternamente” (G. Posener, La première, cit., n. 43-48).

I poteri del re persiano

Come già detto, proprio Ciro, fondatore della dinastia achemenide, fu fautore di quel passaggio da un “regime politico”a un “regime personale". Ciò significa che a partire da questo momento lo stato si configura come una proprietà privata del re e il suo potere si basa sull’obbedienza incondizionata della comunità dei sudditi, cioè il gruppo dei bandaka, “coloro che portano la cinta del seguito”. Nell’ideologia regale achemenide la superiorità del re è totale e si configura primariamente come eccellenza sul campo di battaglia. L’importanza della guerra è data dal fatto che l’impero persiano è, come abbiamo visto, un insieme di territori conquistati militarmente. L’esercito persiano è costituito dall’insieme degli eserciti costituiti su base territoriale guidati dai strapi ai quali si aggiungevano le guarnigioni di stanza nei forti e le truppe di mercenari che il Gran Re reclutava in caso di guerra. Così come in Macedonia il nerbo dell’esercito era costituito dalla falange, in Persia esso era formato dai fanti persiani – i diecimila “immortali”- di cui un migliaio costituivano la guardia personale del re (Erodoto, VII, 202).


Il sovrano persiano unisce la massima autorità sia in pace che in guerra in quanto massimo signore, legislatore, giudice. Sembra che il diritto persiano non conoscesse un’intenzionale sistematizzazione. Nell’emettere sentenze il re non è sottomesso a nessuna regola giuridica esterna a se stesso; è lui stesso la legge, una legge che “vede e sorveglia". Il sovrano infatti esercita un controllo sul territorio tramite funzionari pubblici che si occupano della riscossione dei tributi ma anche in maniera diretta. La regalità persiana infatti si caratterizza per essere una regalità itinerante; la sede del sovrano non è fissa: egli si sposta con la sua tenda al cui interno, accanto alla sua persona, giacciono le insegne del potere. Ciro aveva istituito una serie di “regole” riguardanti la tenda reale, prima tra tutte che essa dovesse esser rivolta ad Oriente. Essa veniva installata al centro del campo e intorno vi si disponevano in centri concentrici tutte le altre a partire da quelle degli “inferiori” (Senofonte, Ciropedia, VIII, 1.22). La tenda è il centro del potere e vi è quasi un’identificazione tenda-sovrano. In quest’ottica è chiaro come Alessandro quando dopo la battaglia di Isso si impadronisce della tenda di Dario e degli emblemi della sovranità (Arriano, II, 12.3) reclami legittimamente il suo diritto al dominio su tutta l’Asia .

Una monarchia sacra

Il re persiano è il rappresentante dell’autorità del dio Ahura Madza sulla terra. È la volontà del dio che dà fondamento alla regalità achemenide, ad “accordare” la regalità (numerosissime le iscrizioni in cui compare tale affermazione, per alcuni esempi: P. Lecoq, La première, cit., p. 188, DB, 5; p. 189, DB, 9; p. 218, DH, 2; p. 227, DPd, 1). Il sovrano è in grado di distinguere il giusto dall’ingiusto e quindi operare per il bene dell’impero e dei suoi sudditi perché il dio gliene ha data facoltà. Il re Dario dichiarava: “Per la volontà di Ahura-Mazda, sono per natura favorevole a ciò che è giusto e non sono favorevole a ciò che è ingiusto” (P. Lecoq, La première, cit., p. 222, DNb, 2). Il re non è dio ma rappresentante degli dei sulla terra e per questo motivo dotato di farnah (=carisma regale).


A insistere sul carattere sovraumano del re persiano sono invece le fonti greche. Così il coro dei Persiani si rivolge alla sua regina: “moglie del dio dei Persiani, madre del dio dei Persiani” (Eschilo, Persiani, 157) e successivamente Dario è definito ”uguale a un dio” (Eschilo, Persiani, 856).


Il re in quanto rappresentante del dio e quindi uomo al di sopra di ogni altro uomo era oggetto di onori a corte. La più nota delle manifestazioni dovute al re è la proskynesis. Così Artabane illustrava tale pratica a Temistocle: dinnanzi al re ci si deve inchinare come dinnanzi all’immagine del dio: da tale manifestazione non si può prescindere dato che il re non dà udienza a chi non lo adora in ginocchio (Plutarco, Vita di Temistocle, 27.4-5). Plutarco basa il suo discorso sulla differenza di mentalità tra Greci e barbari. Per un greco, abituato alla libertà una pratica che prevedeva come modalità di esecuzione un inchino, non può che essere un atto adatto solo ad un dio e compierla dinnanzi ad un re significa necessariamente attribuirgli lo stato di divinità. Ma, come sottolinea Wiesehöfer, il sovrano achemenide in Iran non veniva venerato come dio né gli veniva attribuita un’origine divina e la proskynesis non può quindi che essere un atto con il quale si rendeva omaggio al re e lo si riconosceva, come afferma Ahn, “primo tra gli uomini”.


Il re infatti è il primo servitore del dio supremo. Il mantenimento dello stato, assicurato dal re tramite la difesa, si identifica con il mantenimento della supremazia di Ahura Madza. La posizione del re è evidentemente di subordinazione alla divinità.


Anche nella pratica dei sacrifici il re ricopre un ruolo fondamentale ma una casta sacerdotale lo affianca nell’adempimento di tutte le pratiche religiose: i Magi. Essi conducevano sacrifici, profetizzavano il futuro, portavano il fuoco sacro nelle processioni ma entravano anche a far parte del gruppo dei consiglieri del re e a loro era affidata la responsabilità dell’educazione dei bambini della famiglia reale. Così, consapevoli dell’autorità rivestita, si sentirono in più occasioni nelle condizioni di porsi in contrasto con il potere centrale (per esempio, nel caso del falso Smerdi: Erodoto, III, 74). Anche le prerogative dei Magi mostrano come tracciare una linea di confine nell’impero persiano tra potere politico e potere religioso non sia possibile. Quello che è obiettivo politico viene concepito come riflesso di un sacro ordine cosmico.

Il re e i sudditi

Pur configurandosi come unico dominatore di una sovranità di sudditi il re persiano ottiene da parte loro un’obbedienza volontaria e non è contemplato un atteggiamento dispotico o tirannico Già Ciro aveva compreso come dovere del re fosse l’ottenere un’adesione spontanea al potere da parte dei sudditi con l’esercizio della benevolenza e della generosità. Così aveva fatto della generosità nei confronti dei suoi sudditi una pratica di governo. Per quanto riguarda i più stretti collaboratori del sovrano la loro obbedienza era garantita non solo dal prestigio che l’esercizio di quella carica pubblica comportava, ma soprattutto da una serie di privilegi che il re conferiva loro. Per quanto riguarda invece i semplici sudditi, esenti ovviamente da privilegi di questo tipo, rimaneva comunque il fatto che l’appartenenza ad un impero vasto e forte come quello persiano garantiva una condizione di pace e prosperità. I sudditi cioè godono di quella che anche Wiesehöfer ha definito Pax Achemenide.

L’aristocrazia

L’aristocrazia persiana come gruppo di persone che gode di una posizione politica e sociale di riguardo è sì basata sul lignaggio, ma soprattutto sul godere del favore del sovrano. La vastità dell’impero imponeva la scelta di numerosi collaboratori, i più fidi dei quali entravano nel gruppo dei philoi, “amici”, o erano addirittura riconosciuti dal re come suoi “parenti” (Arriano, VII, 11.1 e 6; Diodoro Siculo, XVI, 50).

 

Sappiamo che l’aristocrazia persiana era divisa in ranghi : Erodoto ci informa di come l’appartenenza all’uno o all’ altro gruppo regolasse i rapporti interpersonali: gli isotimoi si salutano con un bacio, agli “inferiori” offre solo la guancia per ricevere un bacio, ma non lo si offre. A livello nettamente inferiore coloro che omaggiano i loro superiori con l’atto della proskynesis, “il bacio mandato da lontano”, eseguito con un inchino (Erodoto, I, 134). I collaboratori del re erano ampiamente ricompensati: con la concessione dell’immunità che dispensava dal pagamento delle imposte o con donativi nella forma di possedimenti terrieri. Alcuni di essi erano ammessi a corte ed offerta loro la possibilità di prendere i pasti insieme al re. Bisogna sottolineare che in contesto iranico essa deve essere interpretata come prerogativa di un sovrano che gode di una posizione di assoluta superiorità e che non ha niente a che vedere con il sistema di reciproco scambio di doni che è alla base della società omerica.


Tuttavia dobbiamo pensare che il re tenesse in considerazione l’opinione di alcune famiglie e singole personalità. Così mostra la storia dell’ascesa al trono di Dario. A coloro che avevano appoggiato il re furono riconosciuti privilegi particolari (Erodoto, III, 84). Inoltre, nonostante tutti i poteri fossero concentrati nelle mani del re, la vastità dell’impero persiano imponeva la necessità di dividere il territorio in circoscrizioni minori. Queste sono le satrapie, organizzate da Ciro come unità amministrative dell’impero a capo delle quali figurano membri dell’aristocrazia persiana.

 

Il nome satrapo (xšathrapãvan) è probabilmente di origine media e significa “protettore del Regno”. È chiaro come il satrapo sia una personalità che amministra il potere per delega del re e che non è concepito come detentore di per sé di sovranità. Ciò non toglie che i satrapi disposero di grandi poteri civili e militari. A loro era riservato il comando del corpo armato della propria satrapia. Col tempo, alle emissioni regie si affiancarono quelle dei satrapi e delle città.

 

Sul piano formale nelle loro fastose residenze e cerimoniali i satrapi imitavano gli usi del Gran Re. In alcune regioni dell’impero l’autonomia dei satrapi nei confronti del potere centrale si accrebbe per un processo di dinastizzazione della carica. Così accadde per esempio in quella di Dascilo nell’Asia Minore settentrionale. Era molto frequente che essi organizzassero eserciti privati tanto che nel 356, Artaserse III fu costretto ad intervenire e ordinarne lo scioglimento.

I dati che abbiamo proposto illustrano come il sovrano persiano sia sotto tutti gli aspetti un sovrano assoluto. La natura del suo potere subisce conferma e ulteriore estensione dal fatto che esso è esercitato su un territorio particolarmente vasto.


Ciò non toglie che l’aristocrazia potesse esercitare una certa influenza a corte contando anche su cariche spesso soggette a dinastizzazione, come quella satrapica.
 

 

Riferimenti bibliografici:


AA. VV., I Greci. Storia Cultura Arte e Società, Torino, 1998.
AA. VV., The Cambridge Ancient History, II edition, Cambridge, 1988, volumi I-IV.
Ahn G., Religiöse Herrscherlegitimation im Achämenidischen Iran : Die Voraussetzungen und die Struktur ihrer Argumentation, “Acta Iranica” XVII, Leiden 1992.
Berve H., Das Alexanderreich auf prosopographischer Grundlage I-II, München 1926.
Briant P., Histoire de l’empire perse de Cyrus à Alexandre, Paris 1996.
Carlier P., L’idée de monarchie imperiale dans la Cyropedie de Xenophon, “Ktema” 3 (1978).
Virgilio B., Lancia, diadema e porpora. Il re e la regalità ellenistica, II edizione, “Studi Ellenistici” XIV, Pisa-Roma 2003.
Wiesehöfer J., Ancient Persia from 55O b. C. to 650 a. C., London-New York 2001.


 

 

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