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N. 27 - Marzo 2010 (LVIII)

I caratteri della monarchia achemenide

tra assolutismo e decentramento amministrativo - PARTE I
di Chiara Matarese

 

A partire dall’esperienza delle Guerre Persiane il sentimento di alterità e di ostilità che i Greci avvertono nei confronti dei ”barbari” è basato sulla differenza di regime politico.

 

Così Euripide fa dire a Elena dinnanzi ai suoi spettatori nel teatro: ”… gli dei mi hanno trapiantato in un paese barbaro, lontana dalla mia terra; senza i miei cari ora sono come schiava, io che sono nata libera: i barbari sono tutti schiavi, eccetto uno.”

 

Il fatto che questa verità sia apertamente dichiarata nel teatro significa che la differenza era chiaramente avvertita e apparteneva all’immaginario comune greco. Così nella Politica Aristotele non può tacere quello che agli occhi dei Greci è il potere regale par excellence, cioè il potere esercitato dal re persiano. Tuttavia anche la regalità persiana non si configura secondo il filosofo come un regime tirannico, ma rientra nell’ambito di quei poteri che si esercitano kata nomon, “nel rispetto della legge”.

 

Così quando Isocrate profila la conquista dell’Asia da parte di Filippo parla di “conquistare tutto il regno”. Uno degli elementi che consente alla regalità persiana di rientrare nell’ambito della basileia (regime monarchico) è, secondo Aristotele, la natura del corpo di guardia regio: esso è composto di cittadini mentre i tiranni si servono di stranieri. Berve sottolinea come questo elemento accomuni regalità persiana e regalità macedone. Aristotele ripete una simile affermazione nella Politica dopo che aveva portato come esempio di regalità quella macedone.

 

Le differenze invece riguarderebbero soprattutto l’indole di quelle popolazioni, secondo un’interpretazione legata alla cosiddetta teoria del “determinismo fisico”, per la quale l’ambiente influenza l’indole umana. Alla base della diversità in termini politici vi è quella etnica: i barbari sarebbero per natura più deboli e fiacchi e proprio per questo disposti a sottomettersi a un potere dispotico “senza soffrirne”.

 

Nella storia della regalità media, che precede quella persiana, un ruolo essenziale è attribuito a Deioce, figlio di Fraorte I, il quale riunì sotto la propria sovranità gruppi etnici indo-iranici che in precedenza vivevano in stato tribale governati da uno o più sovrani. Egli, impostosi sui vari villaggi grazie all’astuta mossa politica di presentarsicome “giudice giusto”, era stato eletto re. Così ordinò la costruzione della reggia, sede ufficiale del sovrano, e istituì il corpo di guardia regio e impose alcune regole di etichetta: che il re non potesse essere visto da nessuno, che si trattasse con lui tramite messaggeri e nessuno si presentasse al suo cospetto. Tutti questi aspetti, che confluiranno nell’idea di regalità persiana, pongono il sovrano in una posizione di netta superiorità rispetto ai propri sudditi rendendolo, come lo ha definito Briant, un roi tout-puissant.

Il figlio di Deioce, Fraorte, aveva ereditato un tale potere che fu capace di sottomettere i Persiani e di muovere guerra contro gli Assiri, ma in occasione di questo scontro perse la vita.

 

A Fraorte successe Ciassarre che, ottenuta la sottomissione della Battriana, sconfisse gli Sciti e mise fine all’impero assiro. La sua morte segna la fine dell’espansione media e lo stabilirsi di un sistema di alleanze tra i regni asiatici: Babilonia, Lidia, Cilicia, Egitto. Come all’esterno, anche all’interno dell’impero l’egemonia media si basa sul mantenimento di rapporti con i capi dei vari gruppi etnici che comunque continuano a esercitare potere politico (tanto che si parla di re persiani anche durante la fase di dominio medio sulla regione dell’Anshan).

 

Questa situazione di relativo equilibrio fu interrotta in maniera piuttosto brusca dal re di Persia Ciro II con modalità sulle quali le fonti divergono. Per Erodoto, Ciro si ribellò ad Astiage lo affrontò in battaglia e ne ebbe ragione. Un documento babilonese, la Cronaca di Nabonedo, nel paragrafo che precede l’ingresso nel VII anno di regno di Nabonedo (=549), riporta che fu Astiage a mobilitare le sue truppe contro Ciro, re dell’Anshan, ma che a causa di una ribellione il capo finì prigioniero del suo stesso esercito che lo consegnò a Ciro.

 

Solo allora egli marciò contro Ectabana.Radicalmente diversa la prospettiva senofontea nella Ciropedia dove Astiage muore serenamente nel proprio letto come re di Media  e Ciro compie le sue conquiste come generale al servizio dello zio Ciassarre, succeduto al padre Astiage. Senofonte sostiene che fino ai dodici anni la formazione di Ciro si svolse secondo le norme persiane; a questo punto avvenne il determinante incontro con il nonno Astiage, re dei Medi “che veste alla maniera media” e veste Ciro con il kandys, la regale tunica purpurea , e lo copre di bracciali e gioielli. La vestizione di Ciro alla maniera media sancisce la sostituzione di quella egemonia con il dominio persiano attraverso il mantenimento di determinati attribuiti, simboli del potere. Per quanto riguarda la politica estera, Ciro conquistò Sardi e le città dell’Asia Minore, la Battriana e Babilonia.

 

La sovranità esercitata da Ciro non si riferisce quindi ad una regione determinata e limitata ma è in continua espansione, senza che questo comporti un venir meno della propria legittimità. A proposito della conquista di Babilonia, nel raccontare come il re distribuisse il bottino ai suoi soldati, Senofonte afferma che egli riservò a se stesso la regalità “che porta con sé una certa pompa”; tale auto-attribuzione è assolutamente legittima in quanto si fonda sul fatto che Ciro ha vinto il re babilonese e ha conquistato in battaglia la regione(il principio del possesso della “terra conquistata con la lancia”, come sostiene Virgilio, sarà alla base del diritto ellenistico). A Babilonia Ciro si presenta come il restauratore di una regalità di diritto negata dall’allora sovrano Nabonedo. Quest’ultimo è presentato infatti come un re empio che aveva deportato le statue della divinità condannando all’oblio il culto del dio Marduk, re degli dei.

 

Senofonte si interroga sugli elementi che stanno alla base del successo di Ciro e ne trova il fondamento nelle sue eccezionali virtù fondate sulla nobiltà di nascita, natura individuale ma soprattutto sull’educazione ricevuta e presta particolare attenzione al fatto che l’educazione impartita a Ciro è inserita all’interno di un preciso regime politico, la politeia persiana originaria, ed è inseparabile da esso. In questo sistema politico all’interno di ciascuna classe d’età vi è uguaglianza di diritti, e Ciro ha ricevuto la stessa educazione degli altri giovani persiani. Il superamento di questo regime si ha proprio con Ciro e si presenta come conseguenza necessaria della conquista poiché gli abitanti di un territorio così vasto non sono più in grado di formare una comunità politica e si rende necessario un potere incontestato e illimitato: come ha esplicitato Carlier, da un “regime politico” regolato dalla legge e controllato dai cittadini, si passa a un “regime personale”, un potere di tipo assolutistico che vede la predominanza della singola personalità del sovrano.

 

Il figlio Cambise portò a termine l’opera iniziata da Ciro con la conquista dell’Egitto (525 a.C.): qui subentrò al faraone Psammetico III e ne fece propri i titoli e i diritti. Nella lista di Manetone i re persiani vengono elencati come una dinastia particolare, la XXVII dinastia egiziana.

 

Sono le Guerre Persiane e ancor più gli effetti della nascita della democrazia ateniese con l’estromissione dei fautori dei tiranni e dei Persiani a ridimensionare le forze persiane. L’azione persiana sul suolo greco, soprattutto per quanto riguarda quella di Serse, è indicata come caratterizzata dalla hybris, termine greco che indica il superamento del limite: egli ha osato aggiogare il mare collocando un ponte di barche sull’Ellesponto; ha profanato i templi ed è stato punito con la sconfitta.

 

La debolezza della Persia si svelò ai Greci nel 401 a.C., quando Ciro il Giovane, secondogenito di Dario II e satrapo di Sardi ingaggiò diecimila mercenari greci per rafforzare le sue pretese al trono imperiale, occupato dal fratello maggiore Artaserse II, riuscendo ad arrivare a Cunassa vicino a Babilonia, dove morì in battaglia; tali accadimenti sono narrati da Senofonte nell’Anabasi.

 

Ciò rivelò non solo la debolezza militare ma anche l'instabilità politica degli ultimi anni del periodo achemenide. Così, all’epoca di Filippo II, la Persia si trovava fortemente indebolita nelle sue strutture e questo rappresentò sicuramente un elemento favorevole alla spedizione del sovrano macedone in Oriente. Nel 343 Artaserse Ochos aveva riconquistato l’Egitto che era stato il centro di numerose rivolte contro il potere centrale, grazie anche all’aiuto di mercenari greci che lì risiedevano.

 

La conquista aveva accresciuto notevolmente il potere di Bagoas, chiliarco che aveva combattuto con lui. Nel 338, Bagoas uccise Artaserse con il veleno, fece eleggere il figlio e poi avvelenò anche lui innalzando al trono il consanguineo, Dario III. Fino a quando nel 336 non fu Bagoas a morire per mano di Dario, il quale si preoccupò di sedare le rivolte in Egitto, restaurando la pace nell’impero. Tuttavia le deboli basi su cui poggiava il potere imperiale costituivano un terreno fertile per l’affermazione di un potere proveniente dall’esterno, come illustrerà la sostituzione del dominio persiano con quello, temporaneo, di Alessandro Magno, e, successivamente, dei diadochi.



 

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