N. 56 - Agosto 2012
(LXXXVII)
la funzione dei caraIbi per gli USa
RAPPORTI DIPLOMATICI E COMMERCIALI - PARTE II
di Christian Vannozzi
L’isola,
lunga
1140
chilometri,
larga
nel
suo
punto
più
vasto
150
chilometri,
ha
una
composizione
etnica
alquanto
variegata.
Pochissimi
erano
gli
indigeni
locali,
molti,
più
della
metà,
gli
europei
spagnoli,
secondi
per
numero,
gli
schiavi
negri
africani,
deportati
sull’isola,
per
lavorare
nelle
grandi
piantagioni
che
producevano
caffè,
zucchero
e
tabacco,
ultimi,
ma
non
trascurabili,
gli
immigrati
francesi
ed
inglesi,
e un
cospicuo
numero
di
immigrati
asiatici.
Lo
zucchero
rappresentava
la
risorsa
primaria
dell’isola.
I
proprietari
terrieri,
vedevano
con
favore
all’annessione
dell’isola
da
parte
degli
Stati
Uniti,
e
mandavano
i
propri
figli
a
studiare
nelle
università
del
Nord
America.
Speranza
che
era
ben
vista
da
parte
degli
ambienti
politici
statunitensi,
e
anche
da
intellettuali
come
John
L.
O’
Sullivan,
che
coniò
l’espressione
di
“destino
manifesto”,
cioè
la
naturale
superiorità
religiosa
e
morale
degli
anglosassoni
americani,
che
avrebbe
spinto
tutti
i
popoli
d’America
ad
unirsi
all’
Unione.
Cuba
era
considerata
la
“chiave
del
golfo”,
per
posizione
geografica,
per
necessità
e
per
“diritto”,
Cuba
deve
essere
degli
Stai
Uniti,
affermava
O’
Sullivan,
che
aveva
nell’isola,
una
sua
propria
fazione,
che
auspicava
per
Cuba,
prosperità,
ricchezza
e
libertà,
grazie
all’annessione.
Addirittura,
nel
1847,
ci
fu
un
generale
spagnolo,
Narciso
Lopez,
pronto
a
guidare
una
rivolta
cubana,
per
portare
l’isola
all’annessione,
tentativo,
che
però
non
ebbe
il
favore
del
presidente
nordamericano
Taylor,
che
si
distaccò
da
tale
movimento,
causando
la
delusione
degli
annessionisti.
Il
movimento
per
l’annessione,
continuava
però
ad
avere
una
base
sul
territorio
statunitense,
a
New
Orleans,
ove
fu
poderosamente
appoggiato
dagli
ambienti
schiavisti
e
dalle
sfere
economiche.
Per
loro
Cuba
era
importantissima,
da
un
punto
di
vista
agricolo,
e
commerciale,
in
più
sarebbe
diventato
un
altro
stato
schiavista,
pronto
ad
opporsi
al
movimento
per
l’abolizione
che
si
stava
sviluppando
negli
stati
del
nord.
I
proprietari
terreni
cubani,
infatti
temevano
l’abolizione
della
schiavitù,
anche
per
la
paura
delle
ripercussioni
avute
nella
vicina
isola
di
Haiti,
in
cui,
la
popolazione
nera,
rivoltatasi,
aveva
estromesso
ed
esiliato
i
bianchi
francesi,
sequestrandone
i
patrimoni.
Nel
1853,
gli
Stati
Uniti
offrirono
130
milioni
di
dollari
per
l’acquisto
dell’isola,
che
la
Spagna
rifiutò
sdegnosamente,
ma i
nordamericani
non
avevano
intenzione,
nonostante
alcune
frange
che
fomentavano
la
rivolta
sovvenzionandola
economicamente,
di
avere
attriti
con
gli
stati
europei.
Questi
infatti
temevano
attriti
con
la
potenza
navale
britannica,
che
aveva
anch’essa
interessi
economici
e
strategici
nei
carabi,
e
che
auspicava
la
costruzione
di
un
canale
che
collegasse
l’Atlantico
al
Pacifico.
Era
interesse
britannico
che
Cuba,
rimanesse
sotto
il
controllo
di
uno
stato
decadente
come
la
Spagna,
o
divenisse
indipendente,
ma
non
mai
si
unisse
ad
una
potenza
emergente
come
gli
Stati
Uniti.
Nel
1853,
finisce
infatti
tragicamente
il
movimento
di
ribellione
del
generale
Lopez,
che
lasciato
solo,
fu
fucilato
dagli
spagnoli.
Nel
1856,
alcuni
gruppi
economici
e
politici,
chiesero
l’annessione
dell’isola,
anche
militarmente,
se
non
fosse
stato
possibile
per
via
diplomatica,
sfruttando
il
fatto
che
le
potenze
europee
erano
impegnati
nella
guerra
di
Crimea,
ma
l’amministrazione
statunitense,
rifiuto
tale
ipotesi.
A
quel
tempo,
come
già
ricordato,
gli
Stati
Uniti,
non
erano
una
potenza
navale,
e
sarebbe
stato
arduo
controllare
i
territori
caraibici
senza
l’ausilio
di
una
grande
e
potente
flotta
da
guerra.
Dal
1861
al
1865,
gli
Stati
Uniti,
impegnati
nella
guerra
di
secessione,
arrestarono
momentaneamente
i
loro
interessi
per
Cuba.
A
questo
punto,
i
proprietari
cubani,
si
rivolsero
a
Madrid,
per
delle
riforme
istituzionali,
e
per
chiedere
una
maggiore
autonomia,
tanto
commerciale,
quanto
politica,
per
l’isola,
e
iniziarono,
dopo
la
fine
della
guerra
di
secessione
americana,
una
timida
apertura
verso
la
liberazione
degli
schiavi,
in
modo
da
favorire
il
nuovo
interesse
dei
repubblicani
statunitensi,
usciti
vittoriosi
dalla
guerra.
Tali
aspettative
furono
tuttavia
deluse
dalla
madrepatria
spagnola,
nonostante
numerosi
viaggi
dei
delegati,
dall’isola
all’Europa.
Le
riforme
richieste,
non
vennero
mai
eseguite,
e la
pressione
fiscale,
diventava
ancora
più
esorbitante.
Il
10
ottobre
1868
scoppia
la
guerra
civile
contro
l'amministrazione
spagnola.
Carlos
Manuel
De
Céspedes,
ricco
proprietario
terriero,
libera
tutti
i
suoi
schiavi
e
lancia
un
proclama
indipendentista
contro
la
Spagna:
inizia
così
la
prima
guerra
di
indipendenza
o
"guerra
dei
10
anni".
La
rivolta
fu
capeggiata
anche
dal
generale
dominicano
Maximo
Gomez,
il
mulatto
Antonio
Maceo
e
l'allora
sedicenne
Josè
Martì,
la
figura
più
prestigiosa
della
storia
cubana.
Tale
forza
indipendentista,
era
formata
per
la
maggior
parte
da
spagnoli
abitanti
dell’isola.
I
ribelli,
erano
mal
armati,
non
tutti
possedevano
dei
fucili,
e
avevano
per
lo
più
dei
pugnali
e
dei
machete.
Agivano
con
atti
di
guerriglia,
senza
mai
scontrarsi
apertamente
con
l’armata
spagnola,
dileguandosi
nella
vegetazione
dopo
i
rapidi
attacchi
contro
le
strutture
logistiche
governative.
I
ribelli,
godevano
dell’appoggio
della
parte
progressista
dei
proprietari
terrieri,
e
della
popolazione.
Infatti
furono
coinvolti
nella
guerra,
non
solo
i
possidenti,
ma
anche
i
contadini,
i
mulatti,
gli
schiavi
negri,
e
gli
immigrati
europei
e
asiatici.
Le
“bande”
ribelli,
nonostante
non
fossero
un
vero
esercito,
tennero
l’isola
in
guerra
per
10
anni,
fino
al
“Pacto
de
Zanjon”
del
1878
che
conclude
la
guerra.
I
ribelli
capitolano
il
10
febbraio
1878
rinunciando
all'indipendenza
ma
ottengono
la
liberazione
degli
schiavi
neri
e
cinesi.
Gli
spagnoli
concedono
l'amnistia
generale
oltre
alla
rappresentanza
dei
rivoltosi
nel
parlamento
di
Madrid,
e
promettono
delle
riforme
amministrative,
che
però
non
furono
messe
in
pratica.
Nel
1894,
la
Spagna
impose
nuove
esorbitanti
tasse,
e
cancellò
gli
accordi
commerciali
con
gli
Stati
Uniti.
Questo
scatenò
un
nuovo
movimento
di
protesta,
che
portò
ad
una
nuova
guerra
nel
1895.
Questa
volta,
l’organizzazione
era
maggiore,
nella
città
di
New
York,
si
era
formato
un
governo
in
esilio,
parallelo
a
quello
spagnolo
nell’isola,
che
era
capeggiato
da
Tomàs
Estrada
Palma,
e
dal
poeta
e
giornalista
Josè
Martì,
che
sarebbe
divenuto
uno
degli
eroi
dell’indipendenza
cubana.
L’opinione
pubblica
nordamericana,
simpatizzava
con
il
movimento
indipendentista
dell’isola.
Gli
Stati
Uniti
nel
1895,
stavano
uscendo
dall’isolazionismo,
dandone
prova
con
lo
“scontro”
diplomatico,
con
la
Gran
Bretagna,
per
il
ristabilimento
delle
frontiere
tra
il
Venezuela
e la
Guaina
britannica.
Questa
era
l’espressione
della
nuova
politica
statunitense
sul
continente.
I
britannici,
impegnati
in
Africa
nella
guerra
contro
i
boeri
appoggiati
dall’Impero
Germanico,
non
aveva
intenzione
di
impegnarsi
in
un
conflitto
in
America,
e
gli
Stati
Uniti,
poterono
far
valere
le
ragioni
della
repubblica
venezuelana,
dimostrando
che
c’era
una
sola
potenza
in
America.
Martì
poté
reclutare
liberamente
negli
Stati
Uniti,
uomini,
e
comprare
armi
e
munizioni.
Il
piccolo
contingente
del
poeta
Martì,
formato
oltre
che
da
cubani
in
esilio,
da
messicani
e da
statunitensi,
fu
facilmente
annientato,
e il
poeta
perse
la
vita.