N. 65 - Maggio 2013
(XCVI)
LA CAPPELLA PALATINA
UN CAPOLAVORO DELLA SICILIA NORMANNA
di Massimo Manzo
Per
comprendere
appieno
la
grandezza
e
l’unicità
del
periodo
normanno
in
Sicilia
occorre
conoscere
la
Cappella
Palatina.
Questo
magnifico
monumento,
inserito
nel
complesso
del
Palazzo
Reale
di
Palermo,
racchiude
infatti
in
forma
artistica
uno
dei
momenti
di
massimo
splendore
dell’isola.
Tale
epoca
fu
caratterizzata
da
un
accentuatissimo
eclettismo,
che
portò
alla
fusione
armonica
di
esperienze
molto
diverse
tra
loro,
stratificate
nel
corso
di
secoli,
che
avevano
portato
ad
avvicendarsi
bizantini,
arabi
ed
infine
normanni.
Lungi
dall’essere
solo
una
mescolanza
di
stili,
questa
fusione
segnò
tutte
le
fasi
della
vita
del
regno,
esprimendosi
non
solo
nell’arte,
ma
anche
in
altre
forme
culturali,
prima
fra
tutte
la
letteratura.
Come
giustamente
ha
affermato
Argan
riferito
al
campo
architettonico,
i
normanni
che
instaurarono
la
loro
dinastia
in
Sicilia
“distrussero
i
monumenti,
non
la
tradizione
dell’architettura
bizantina
e
araba”.
La
costruzione
della
Cappella
iniziò
intorno
al
1130,
anno
nel
quale
Ruggero
II
d’Altavilla
veniva
finalmente
incoronato
re
di
Sicilia.
In
realtà
la
penetrazione
normanna
era
cominciata
sessant’anni
prima,
quando
nel
1061
Ruggero
I
detto
il
Bosso
e
Roberto
il
Guiscardo,
sbarcando
a
Messina
alla
guida
di
un
agguerrito
contingente
di
cavalleria,
avevano
avviato
la
conquista
dell’isola
cacciando
gli
arabi
da
gran
parte
dei
loro
possedimenti.
La
consacrazione
di
Ruggero
quale
primo
sovrano
della
storia
siciliana
segnò
tuttavia
formalmente
l’inizio
di
una
nuova
era,
della
quale
egli
stesso
si
concepiva
come
l’iniziatore.
Seguendo
una
tendenza
già
inaugurata
dai
suoi
predecessori,
Ruggero
II
volle
legittimarsi
come
un
amante
delle
arti,
favorendo
così
la
costruzione
di
chiese,
abbazie
ed
edifici
monumentali
a
suggello
del
nuovo
ordine,
tra
i
quali
il
Duomo
di
Cefalù
o la
Chiesa
di
San
Giovanni
degli
Eremiti
a
Palermo.
In
questo
senso
la
Cappella
Palatina,
dedicata
ai
Santi
Pietro
e
Paolo,
fu
concepita
dal
sovrano
come
il
prezioso
“baricentro”
dell’articolata
struttura
del
Palazzo
Reale.
Definita
una
sorta
di
“Cattedrale
in
miniatura”,
essa
doveva
simboleggiare,
secondo
una
visione
tipicamente
teocratica,
la
sacralità
della
monarchia.
Con
il
passare
dei
secoli,
la
collocazione
della
Cappella
ha
finito
per
essere
stravolta
nell’ambito
dei
numerosi
interventi
di
modifica
dell’originario
impianto
normanno.
Inizialmente
essa
era
dotata
di
due
ingressi
distinti:
uno
privato
utilizzato
esclusivamente
dal
re,
che
dava
sul
lato
della
torre
definita
“Gioaria”;
l’altro
pubblico,
al
quale
si
accedeva
tramite
una
scalinata
esterna
prospicente
il
cortile
del
Palazzo.
Nel
XVII
secolo,
la
creazione
di
un
doppio
ordine
di
loggiati
ha
eliminato
questo
secondo
ingresso,
occultando
la
facciata
che
fronteggiava
il
cortile.
L’edificio
ha
pianta
rettangolare.
Tre
navate,
divise
da
colonne
in
granito
e
marmo
a
capitelli
compositi
compongono
la
parte
anteriore,
mentre
quella
posteriore,
più
elevata,
ingloba
al
centro
il
presbiterio,
a
sinistra
la
protesi
e a
destra
il
diaconico
(cioè
il
locale
situato
a
lato
dell'abside
in
cui
si
custodivano
le
suppellettili
sacre).
Già
l’analisi
della
pianta
mostra
dunque
la
sapiente
unione
dell’impianto
greco
del
presbiterio
e di
quello
basilicale
latino
delle
navate.
A
dominare
il
presbiterio
è
un’alta
cupola
emisferica.
Ma è
ciò
che
si
trova
all’interno
della
Cappella
a
rendere
questo
monumento
unico
al
mondo.
A
cominciare
dal
pavimento
in
marmo,
realizzato
in
stile
cosmatesco.
Con
tale
definizione,
gli
storici
dell’arte
sono
soliti
indicare
una
particolare
tecnica
decorativa,
diffusa
soprattutto
nel
romanico
del
XII
e
XIII
secolo,
che
fonde
insieme
l’utilizzo
di
marmi
policromi,
intarsi
e
mosaici,
disposti
secondo
originali
e
fantasiosi
motivi
geometrici.
L’effetto
complessivo
è di
rara
ricercatezza.
La
prima
cosa
che
lascia
estasiato
il
visitatore
alzando
gli
occhi
è
poi
lo
sfarzo
dei
cicli
di
mosaici
che
riempiono
la
chiesa.
Nell’abside,
severa
e
ieratica
domina
la
grande
immagine
del
Cristo
Pantocratore
benedicente,
raffigurato
secondo
i
tipici
canoni
bizantini.
Sempre
a
maestranze
giunte
appositamente
da
Bisanzio,
che
lavorarono
insieme
ad
artisti
locali,
si
devono
gli
altri
mosaici,
presenti
lungo
tutti
i
muri
superiori,
raffiguranti
numerose
scene
tratte
dal
Vecchio
e
dal
Nuovo
Testamento.
Alcuni
di
essi,
come
quelli
delle
navate
laterali,
furono
aggiunti
durante
il
successivo
regno
di
Guglielmo,
figlio
di
Ruggero.
Considerati
tra
i
più
raffinati
esempi
d’arte
musiva
per
la
loro
certosina
cura
del
dettaglio,
i
mosaici
si
sviluppano
secondo
uno
schema
iconografico
considerato
autonomo
rispetto
a
quello
tradizionale
bizantino.
Altro
elemento
impareggiabile
è la
presenza
non
solo
di
scene
religiose,
ma
anche
di
ampie
raffigurazioni
profane
di
animali
e
vegetali,
considerate
dagli
studiosi
così
estese
da
costituire
un
unicum
tra
tutti
i
mosaici
di
fattura
bizantina.
In
altri
termini,
è
come
se
il
fortissimo
influsso
di
altre
scuole
artistiche
presenti
all’epoca
in
Sicilia
abbia
indotto
i
maestri
di
Bisanzio
a
sperimentare,
in
una
feconda
osmosi,
linguaggi
artistici
nuovi.
Il
generale
clima
di
contaminazione
coinvolse
anche
gli
artisti
islamici.
Provenienti
persino
dalla
Persia
e
dall’Egitto,
le
numerose
maestranze
arabe
hanno
infatti
impresso
la
loro
inconfondibile
firma
realizzando
il
soffitto
ligneo
ad
alveoli
e
stalattiti
dipinte
sovrastante
la
navata
centrale,
detto
a «muqarnas».
Proprio
nelle
alveolature
si
trovano
decorazioni
pittoriche
eccezionali,
che
raffigurano
piante,
animali
e
frivoli
momenti
della
vita
cortigiana,
tra
danzatrici,
cavalieri
e
musici.
Siamo
ancora
una
volta
di
fronte
a
qualcosa
mai
visto
prima.
Non
esistono
invero
cicli
di
pitture
islamiche
di
tale
grandezza
giunti
fino
a
noi,
ed
inoltre
si
tratta
dell’unico
caso
al
mondo
in
cui
degli
artisti
arabi
hanno
rappresentato
figure
umane
in
un
luogo
di
culto.
Questi
sono
solo
alcuni
dei
tesori
custoditi
come
in
uno
scrigno
dalla
Cappella
Palatina.
In
essa
Ruggero
mise
in
scena,
insieme
al
proprio
personale
trionfo,
l’immagine
irripetibile
di
un
regno
passato
alla
storia
per
la
sua
multiforme
e
splendida
cultura.