.

home

 

progetto

 

redazione

 

contatti

 

quaderni

 

gbeditoria


.

[ISSN 1974-028X]


RUBRICHE


attualità

.

ambiente

.

arte

.

filosofia & religione

.

storia & sport

.

turismo storico



 

PERIODI


contemporanea

.

moderna

.

medievale

.

antica



 

EXTEMPORANEA


cinema

.

documenti

.

multimedia



 

ARCHIVIO


.

medievale


N. 65 - Maggio 2013 (XCVI)

LA CAPPELLA PALATINA
UN CAPOLAVORO DELLA SICILIA NORMANNA

di Massimo Manzo

 

Per comprendere appieno la grandezza e l’unicità del periodo normanno in Sicilia occorre conoscere la Cappella Palatina. Questo magnifico monumento, inserito nel complesso del Palazzo Reale di Palermo, racchiude infatti in forma artistica uno dei momenti di massimo splendore dell’isola.

 

Tale epoca fu caratterizzata da un accentuatissimo eclettismo, che portò alla fusione armonica di esperienze molto diverse tra loro, stratificate nel corso di secoli, che avevano portato ad avvicendarsi bizantini, arabi ed infine normanni. Lungi dall’essere solo una mescolanza di stili, questa fusione segnò tutte le fasi della vita del regno, esprimendosi non solo nell’arte, ma anche in altre forme culturali, prima fra tutte la letteratura. Come giustamente ha affermato Argan riferito al campo architettonico, i normanni che instaurarono la loro dinastia in Sicilia “distrussero i monumenti, non la tradizione dell’architettura bizantina e araba”.

 

La costruzione della Cappella iniziò intorno al 1130, anno nel quale Ruggero II d’Altavilla veniva finalmente incoronato re di Sicilia. In realtà la penetrazione normanna era cominciata sessant’anni prima, quando nel 1061 Ruggero I detto il Bosso e Roberto il Guiscardo, sbarcando a Messina alla guida di un agguerrito contingente di cavalleria, avevano avviato la conquista dell’isola cacciando gli arabi da gran parte dei loro possedimenti. La consacrazione di Ruggero quale primo sovrano della storia siciliana segnò tuttavia formalmente l’inizio di una nuova era, della quale egli stesso si concepiva come l’iniziatore.

 

Seguendo una tendenza già inaugurata dai suoi predecessori, Ruggero II volle legittimarsi come un amante delle arti, favorendo così la costruzione di chiese, abbazie ed edifici monumentali a suggello del nuovo ordine, tra i quali il Duomo di Cefalù o la Chiesa di San Giovanni degli Eremiti a Palermo. In questo senso la Cappella Palatina, dedicata ai Santi Pietro e Paolo, fu concepita dal sovrano come il prezioso “baricentro” dell’articolata struttura del Palazzo Reale. Definita una sorta di “Cattedrale in miniatura”, essa doveva simboleggiare, secondo una visione tipicamente teocratica, la sacralità della monarchia.

 

Con il passare dei secoli, la collocazione della Cappella ha finito per essere stravolta nell’ambito dei numerosi interventi di modifica dell’originario impianto normanno. Inizialmente essa era dotata di due ingressi distinti: uno privato utilizzato esclusivamente dal re, che dava sul lato della torre definita “Gioaria”; l’altro pubblico, al quale si accedeva tramite una scalinata esterna prospicente il cortile del Palazzo. Nel XVII secolo, la creazione di un doppio ordine di loggiati ha eliminato questo secondo ingresso, occultando la facciata che fronteggiava il cortile.

 

L’edificio ha pianta rettangolare. Tre navate, divise da colonne in granito e marmo a capitelli compositi compongono la parte anteriore, mentre quella posteriore, più elevata, ingloba al centro il presbiterio, a sinistra la protesi e a destra il diaconico (cioè il locale situato a lato dell'abside in cui si custodivano le suppellettili sacre). Già l’analisi della pianta mostra dunque la sapiente unione dell’impianto greco del presbiterio e di quello basilicale latino delle navate. A dominare il presbiterio è un’alta cupola emisferica.

 

Ma è ciò che si trova all’interno della Cappella a rendere questo monumento unico al mondo. A cominciare dal pavimento in marmo, realizzato in stile cosmatesco. Con tale definizione, gli storici dell’arte sono soliti indicare una particolare tecnica decorativa, diffusa soprattutto nel romanico del XII e XIII secolo, che fonde insieme l’utilizzo di marmi policromi, intarsi e mosaici, disposti secondo originali e fantasiosi motivi geometrici. L’effetto complessivo è di rara ricercatezza.

 

La prima cosa che lascia estasiato il visitatore alzando gli occhi è poi lo sfarzo dei cicli di mosaici che riempiono la chiesa. Nell’abside, severa e ieratica domina la grande immagine del Cristo Pantocratore benedicente, raffigurato secondo i tipici canoni bizantini. Sempre a maestranze giunte appositamente da Bisanzio, che lavorarono insieme ad artisti locali, si devono gli altri mosaici, presenti lungo tutti i muri superiori, raffiguranti numerose scene tratte dal Vecchio e dal Nuovo Testamento. Alcuni di essi, come quelli delle navate laterali, furono aggiunti durante il successivo regno di Guglielmo, figlio di Ruggero.

 

Considerati tra i più raffinati esempi d’arte musiva per la loro certosina cura del dettaglio, i mosaici si sviluppano secondo uno schema iconografico considerato autonomo rispetto a quello tradizionale bizantino.

 

Altro elemento impareggiabile è la presenza non solo di scene religiose, ma anche di ampie raffigurazioni profane di animali e vegetali, considerate dagli studiosi così estese da costituire un unicum tra tutti i mosaici di fattura bizantina. In altri termini, è come se il fortissimo influsso di altre scuole artistiche presenti all’epoca in Sicilia abbia indotto i maestri di Bisanzio a sperimentare, in una feconda osmosi, linguaggi artistici nuovi.

 

Il generale clima di contaminazione coinvolse anche gli artisti islamici. Provenienti persino dalla Persia e dall’Egitto, le numerose maestranze arabe hanno infatti impresso la loro inconfondibile firma realizzando il soffitto ligneo ad alveoli e stalattiti dipinte sovrastante la navata centrale, detto a «muqarnas». Proprio nelle alveolature si trovano decorazioni pittoriche eccezionali, che raffigurano piante, animali e frivoli momenti della vita cortigiana, tra danzatrici, cavalieri e musici.

 

Siamo ancora una volta di fronte a qualcosa mai visto prima. Non esistono invero cicli di pitture islamiche di tale grandezza giunti fino a noi, ed inoltre si tratta dell’unico caso al mondo in cui degli artisti arabi hanno rappresentato figure umane in un luogo di culto.

 

Questi sono solo alcuni dei tesori custoditi come in uno scrigno dalla Cappella Palatina. In essa Ruggero mise in scena, insieme al proprio personale trionfo, l’immagine irripetibile di un regno passato alla storia per la sua multiforme e splendida cultura.



 

 

COLLABORA


scrivi per InStoria



 

EDITORIA


GBe edita e pubblica:

.

- Archeologia e Storia

.

- Architettura

.

- Edizioni d’Arte

.

- Libri fotografici

.

- Poesia

.

- Ristampe Anastatiche

.

- Saggi inediti

.

catalogo

.

pubblica con noi



 

links


 

pubblicità


 

InStoria.it

 


by FreeFind

 


[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE]


 

.