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N. 121 - Gennaio 2018 (CLII)

una tappa nella capitanata storica
breve storia della città di apricena

di Vincenzo La Salandra

La leggenda fa risalire la fondazione di questa operosa cittadina pugliese a Federico II di Svevia: si vuole infatti che l'imperatore Federico II ivi decise di fissare una sua residenza dopo aver intavolato un ricco banchetto a base della pregiata carne di un enorme cinghiale da lui stesso cacciato nei boschi circostanti, che all'epoca erano rigogliosi e vasti.

 

Il motto in lettere maiuscole della città di Apricena, incastonato nella torre dell'orologio, suona come un riferimento preciso: Cena dat et aper nomen tibi Apricina.

 

Secondo alcuni studiosi le origini di questa città sarebbero molto più antiche, risalenti almeno al VII-VIII secolo a.C., con un nucleo proveniente dalla Uriarte garganica, in seguito all'invasione del Gargano da parte degli Illiri Dauni. Questa tesi sarebbe suffragata da alcune epigrafi greche rinvenute nel territorio di Vieste.

 

Secondo un'altra corrente di studi, Apricena deriverebbe da un insediamento romano chiamato Collatia. Secondo il Cimaglia, nel suo libro Antiquitates Venusinae in Apulia … et Duania vetere geographia, pubblicato a Napoli nel 1757, Apricena venne fondata dai romani Collatini presso il Pantano di Lesina, ai piedi del Gargano, e detta quindi Collatia dai fondatori; successivamente venne distrutta e riedificata col nome suggestivo di Pulcina, nei pressi dei ruderi della vecchia città e riutilizzandone le pietre, come ricordava il Corcia nella sua classica Storia delle Due Sicilie (Napoli 1847).

 

È importante sottolineare che a favore della tesi sull'origine Dauna di Apricena esistono numerosi reperti: sono stati rinvenuti in particolari sepolture a cassa litica, ritrovate sia nel territorio che nella città di Apricena.

 

I primi documenti storici medievali risalgono al secolo XI d.C., con la donazione del Casale di Apricena al Monastero Benedettino di San Giovanni in Piano.

 

Sicuramente il suo periodo di maggior splendore questa cittadina pugliese lo visse con gli Svevi: dal punto di vista politico-amministrativo Federico II la rese parte del proprio demanio, svincolandola peraltro da ogni tipo di servitù.

 

Federico II era fortemente legato a questo territorio e a tutta la Capitanata nella sua estensione boschiva, montagnosa e marittima: nel 1222 riconobbe ai cittadini di Apricena e del suo territorio l'esercizio degli Usi Civici nei territori di Sannicandro, Castelpagano e Civitate (nei pressi della attuale San Paolo di Civitate). Con lo stesso atto veniva riconosciuto alla città il diritto di tenere mercato il mercoledì di ogni settimana con il relativo sgravio di ogni tassazione.

 

Con la morte di Federico II e con la caduta di Manfredi, suo figlio e successore, questa terra, come del resto tutto il Mezzogiorno d'Italia, passo sotto la dominazione dei francesi: gli Angioini vennero successivamente, e dopo la Battaglia di Cerignola (1503), soppiantati dagli spagnoli Aragonesi, che inaugurarono l'epoca del Viceregno.

 

Il 30 luglio del 1627 un tremendo terremoto sconvolse il territorio della Daunia e rase quasi completamente al suolo la città di Procina, assieme a San Severo, Torremaggiore e altre cittadine circonvicine, come risulta dalla cronache locali e specialmente dalla coeva Cronaca sanseverese del canonico Lucchino.

 

Ad Apricena si contarono circa 900 morti, ma nel giro di pochi anni la città venne completamente ricostruita, rinascendo dalle ceneri quasi piccola fenice. Ed è a partire da questo periodo che venne riedificata la chiesa matrice dedicata a San Martino e a Santa Lucia.

 

San Martino è stato il primo Santo Patrono di Apricena è tale è rimasto fino al XVII secolo, quando allo scoppiare della peste in Capitanata Apricena, per volontà popolare, si affidò a San Michele Arcangelo che rimase Patrono sino alla prima metà del XX secolo, Oggi San Michele Arcangelo è Compatrono con Maria Santissima Incoronata.

 

Oggi Apricena è un comune della Capitanata che conta circa 13.500 abitanti ed è parte del meraviglioso Parco Nazionale del Gargano. Famosa in tutta Italia per l'estrazione di pregiati marmi: le cave della famosa pietra di Apricena, ospitano peraltro l'estate serate di bellissimi concerti Jazz e di musica popolare dedicati al menestrello di Capitanata, al grande artista, cantante e paroliere di Apricena, Matteo Salvatore.

 

Le melodie popolari e le accorate canzoni di melodia e di denuncia sociale e culturale in difesa e ammirazione per il suo territorio fanno di Matteo Salvatore una figura unica, grande rappresentante di tutta una tradizione.

 

Tra i monumenti di maggior interesse ricordiamo il Palazzo Baronale, o Torriolo, la Torre dell'Orologio, la Croce di piazza dei Mille, il Convento presso la villa comunale e la Chiesa Madre dei Santi Martino e Lucia. Nell'agro apricenese segnaliamo almeno le tre importanti zone archeologiche, con le rovine di Castelpagano, Santa Maria di Selva della Rocca e i resti del Monastero di San Giovanni in Piano.

 

A Castelpagano si verificarono incursioni musulmane con la formazione di piccoli insediamenti islamici in tutto il Medioevo: prima con piccoli contingenti nell'VIII e IX secolo, che battevano il Gargano, poi anche nel periodo svevo con la deportazione di un piccolo contingente islamico dalla Sicilia, sempre a opera di Federico II. Un manipolo di musulmani voluti dall'imperatore, paralleli e funzionali, alla colonia di Lucera. Sicuramente Federico riconosceva ai suoi pretoriani musulmani un controllo strategico delle aree collinari in Capitanata.

 

Concludiamo con uno dei simboli della città: su tre gradini circolari, cinti di ringhiera ad aste di ferro battuto a Piazza dei Martiri, già del Popolo, si erge una colonna di pietra dura sormontata da una croce. Questa colonna fu eretta nel 1575, come si legge dall'incisione sulla facciata a nord della base, ed probabile che venne eretta per ricordare la vittoria dei Cristiani a Lepanto contro i Turchi nel 1571.

 

Un riflesso della storia nazionale nel cuore della Capitanata e come ricordava Nicola Pitta, lo storico locale della città: «La desolazione, però, in cui furono immerse Vieste nel 1554, Serracapriola nel 1566 e Civitate nel 1571 per colpa dei Musulmani, i quali, devastando, incendiando e predando, menarono dovunque strage e lutto, fa supporre, che la nostra terra, non toccata dall'ingordigia e crudeltà barbarica, eresse questa Croce in ringraziamento dello scampato pericolo» (N. Pitta, p. 123).

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

N. Pitta, Apricena, nella cronaca e nella vita popolare con documenti storici e letterari, 1984.



 

 

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