N. 122 - Febbraio 2018
(CLIII)
Caos in Paradiso
MALDIVE,
una
partita
più
grande
del
previsto
di
Gian
Marco
Boellisi
Fissate
nell’immaginario
collettivo
come
uno
dei
luoghi
più
ameni
in
cui
passare
le
vacanze,
le
Maldive
negli
ultimi
mesi
sono
diventate
protagoniste
di
eventi
molto
più
delicati
rispetto
ai
meri
dati
sull'affluenza
turistica
stagionale.
Questa
piccola
repubblica
dell’Oceano
Indiano
non
solo
sta
fronteggiando
una
profonda
crisi
interna
della
quale
difficilmente
si
vede
una
risoluzione,
almeno
in
brevi
termini,
ma è
anche
sempre
più
coinvolta
nella
lotta
tra
i
giganti
della
regione,
i
quali
vedono
questo
minuscolo
fazzoletto
di
isole
come
un
obiettivo
strategicamente
essenziale
per
l’espansione
della
propria
influenza.
La
partita
asiatica
insomma
potrebbe
passare
veramente
dalle
Maldive.
Ma
andiamo
con
ordine.
Le
Maldive
ottennero
l’indipendenza
dal
Regno
Unito
il
26
luglio
1965.
Nonostante
i
tempi
come
colonia
fossero
finiti,
queste
isole
non
si
poterono
dire
pienamente
libere.
Infatti
pochi
anni
dopo,
precisamente
nel
1978,
Maumoon
Abdul
Gayoom
prese
nelle
proprie
mani
la
carica
di
presidente
e la
mantenne
fino
al
2008,
esercitando
un
potere
pressoché
assoluto
e
dispotico
all’interno
dei
propri
confini
nazionali.
Nonostante
i
vari
colpi
di
stato
attentati
al
suo
governo,
Gayoom
resistette
saldo
al
potere,
non
senza
essere
aiutato
dall’esterno.
Degno
di
nota
è
l’episodio
del
1988,
dove
l’India
intervenne
militarmente
nelle
isole
a
favore
del
presidente
per
ristabilire
l’ordine
nella
regione
con
l’Operazione
Cactus.
Negli
anni
2000
si
ebbe
la
svolta,
avendo
Gayoom
promesso
l’istituzione
di
elezioni
libere
di
lì a
pochi
anni.
Nonostante
le
proteste
che
si
susseguirono
nel
tempo
e la
profonda
divisione
tra
la
popolazione
sull’operato
del
presidente
stesso,
nel
2008
si
tennero
le
elezioni.
Vinse
il
Partito
Democratico
delle
Maldive,
con
a
capo
il
nuovo
presidente
Mohamed
Nasheed,
storico
oppositore
di
Gayoom
più
volte
incarcerato
per
le
sue
opinioni
politiche.
Appena
salita
al
governo,
la
nuova
coalizione
si
concentrò
sul
riconoscimento
dei
diritti
umani
nel
paese,
sulla
concessione
di
diverse
libertà
d’espressione
e
sulla
riforma
del
sistema
carcerario.
Tuttavia
rimase
quasi
completamente
indifferente
nei
confronti
degli
esponenti
storici
del
regime,
i
quali
furono
lasciati
in
libertà
e
neanche
presi
in
considerazione
per
i
crimini
commessi
in
30
anni.
Gayoom
stesso
passò
all’opposizione.
Negli
anni
successivi
si
assistette
a
diversi
avvicendamenti
politici
ai
vertici
del
potere,
i
quali
non
giovarono
all’equilibrio
del
paese,
ma
anzi
ne
aggravarono
ulteriormente
l’instabilità.
Questi
antefatti
ci
portano
alle
vicende
odierne,
di
cui
il
centro
focale
è
costituito
dall’attuale
presidente
Abdulla
Yameen.
Eletto
in
circostanze
ancora
oggi
poco
chiare
nel
2013
a
discapito
dell’avversario
Mohamed
Nasheed
con
il
51,4%
delle
preferenze
ai
ballottaggi,
Yameen
fa
parte
del
Partito
Progressista
della
Maldive,
lo
stesso
partito
di
Gayoom
per
intenderci,
del
quale
è
anche
fratellastro.
Seguendo
probabilmente
la
falsa
riga
del
predecessore,
il
presidente
non
si è
fatto
molti
scrupoli
negli
anni
arrestando
numerosi
oppositori
politici
e
dissidenti.
Nonostante
la
Corte
Suprema
delle
Maldive
abbia
più
volte
denunciato
ed
esposto
questo
comportamento,
nulla
ha
sembrato
intaccare
il
percorso
intrapreso
da
Yameen.
Anzi,
lo
ha
solamente
spinto
verso
azioni
maggiormente
avventate.
Infatti
è
solo
nelle
scorse
settimane
che
il
presidente
della
Corte
suprema
e un
altro
giudice
sono
stati
arrestati
dalla
polizia,
proprio
per
far
fronte
alle
continue
richieste
di
rilascio
di
oppositori.
In
aggiunta
a
ciò
è
stato
anche
dichiarato
lo
Stato
di
Emergenza
per
15
giorni.
Oggi
come
non
mai
le
Maldive
si
trovano
sull’orlo
del
baratro.
Tuttavia,
come
sempre
bisogna
cercare
di
fare,
si
deve
inquadrare
il
problema
delle
Maldive
in
un’ottica
più
ampia.
Nell’Oceano
Indiano,
come
del
resto
nell’intera
Asia
ormai,
sono
in
corso
cambiamenti
radicali
negli
assetti
geopolitici.
Sebbene
le
Maldive
possano
sembrare
lontane
e
distaccate
da
questi
giochi
di
potere,
esse
sono
uno
dei
colli
di
bottiglia
dai
quali
passa
l’egemonia
dell’Oceano
Indiano.
Non
è un
segreto
infatti
che
Yameen
è
apertamente
supportato
dalla
Cina,
il
quale
ha
concesso
all’antico
dragone
asiatico
numerosi
favori
all’interno
dei
propri
confini
nazionali.
Non
ultimo
è
stato
l’accordo
di
libero
scambio
bilaterale
One
Belt
One
Road,
il
quale
permette
di
aggirare,
e
soprattutto
arginare,
le
rotte
commerciali
indiane.
Proprio
l’India,
il
vecchio
alleato
ormai
visto
come
inaffidabile
dati
i
suoi
rapporti
sempre
crescenti
con
gli
Stati
Uniti,
è
l’obiettivo
principale
delle
azioni
cinesi
alle
Maldive.
Ma
non
solo.
Infatti
è
innegabile
che
l’influenza
economica
e
politica
cinese
sia
arrivata
fino
in
Africa,
con
il
Sudan
e
tutta
la
regione
del
corno
usate
come
testa
di
ponte
per
future
espansioni.
Le
Maldive
si
trovano
esattamente
sul
percorso
di
congiungimento
tra
la
Cina
e
questa
nuova
frontiera.
Risulta
vitale
quindi
per
Pechino
assicurarsi
un
saldo
collegamento
marittimo
di
tutte
le
rotte
commerciali
che
passano
per
l’Oceano
Indiano
e,
per
forza
di
cose,
anche
dalle
Maldive.
Tuttavia
questo
rapido
e
forte
espansionismo
non
è
passato
inosservato.
Infatti
è
giunto
lesto
l’appello
di
Nasheed,
il
quale
ha
invocato
l’aiuto
di
Stati
Uniti
e
India
per
tagliare
i
fondi
al
pseudo
regime
di
Yameen
e a
risolvere
in
modo
definitivo
la
situazione
politica.
Nonostante
i
due
paesi
non
si
siano
espressi
in
maniera
esplicita
sulla
questione,
sarebbe
ingenuo
pensare
che
non
stiano
tenendo
d’occhio
la
situazione
giorno
per
giorno.
Certo
è
che
ora
la
partita
sia
in
mano
a
Pechino,
avendo
i
suoi
avversari
troppo
poco
interesse
a
esporsi
in
prima
persona
o
non
sufficienti
forze
ad
intralciare
i
suoi
piani.
In
conclusione,
le
Maldive
sono
portatori
di
un
retaggio
politico
molto
pesante,
essendo
passate
dal
colonialismo
ad
un
regime
autoritario
senza
mai
sperimentare
la
libertà
di
autodeterminazione
che
dovrebbe
essere
propria
di
ogni
paese.
Ciò
non
è
migliorato
con
l’avvento
del
nuovo
millennio,
anzi
ha
portato
da
certi
punti
di
vista
ad
un’involuzione
delle
dinamiche
sociali
e
politiche
avvicinando
sempre
più
il
paese
alla
definizione
canonica
di
dittatura.
Non
aiutano
i
giganti
asiatici,
che
hanno
sempre
visto
queste
isole
come
un
pezzo
di
carne
da
spartire
tra
loro,
ma
che
ora
rischia
di
essere
dilaniato
senza
troppe
pretese.
Qualora
sia
un
intervento
esterno
o
una
presa
di
coscienza
popolare
a
risolvere
la
situazione
alle
Maldive
non
è
ancora
dato
saperlo.
Tuttavia
la
speranza
è
che
questo
piccolo
angolo
di
paradiso
trovi
presto
la
stabilità
per
cui
tanto
ha
lottato
e
che
ancora
non
ha
mai
trovato.