medievale
FORMAZIONE D'UNA COSCIENZA
SULLA
RICEZIONE DELLA NARRATIVA NIBELUNGICA
di Costanza Marana
La letteratura costituisce un corpus
documentario fondamentale per
appropriarsi del sentire di un’epoca,
interiorizzandolo attraverso un processo
deduttivo. La narrativa, la prosa, la
poesia si schierano quale bardo
dell’identità “nazionale” e si
esemplificano vettori della formazione
di una coscienza.
La consuetudine come fonte stigmatizza
un ampio consenso pubblico che risulta
legato a scenari narrativi familiari,
basati su una tradizione orale,
immaginifica, sensoriale, caratterizzata
da topos “invicti”.
Nella saga nibelungica risiede l’humus
identitario della formazione nordica; in
quegli antri, radure, laghi, ruscelli si
disperde e si contiene lo spirito
germanico. Il Canto di Sigfrido dalla
pelle di corno è un documento che
inserisce nella dialettica
Riforma-Controriforma la tradizione
della nazione tedesca. Nella sua stesura
segna l’ibrido del passaggio tra
descrittiva medievale e moderna.
Riposiziona la figura di Sigfrido
nell’alveo dottrinale del contesto
storico in fieri e apre un dibattito nel
mondo intellettuale laico e cristiano.
Difatti la letteratura di stampo eroico
costituisce un monito per il mondo
religioso poiché diviene strumento del
comparto laico per sensibilizzare sempre
maggiori accoliti di parte popolare. Ciò
preoccupa il versante clericale poiché
questo genere non investe di habitus
cristiano la prosa, nonostante si notino
i risvolti in tale ambito.
Il punto è
che non avvalora un’edificazione in tal
senso, bensì costituisce strumento
efficace per una laicizzazione diffusa,
anche grazie all’utilizzo della stampa
che può raggiungere tutti gli strati
sociali.
I contenuti nascono profani, sebbene
strutturati con uno scheletro cristiano
dall’intenzione didattica di educare le
genti, commisti al mero desiderio di
intrattenimento. La volontà di guidare
verso ciò che è bene, verso una vita
attiva che ne sublimi gli aspetti
maligni, è la linea etica alla base del
Canto. Ciò non rifugge
dall’impatto epico dell’opera e dal
senso di voler carpire l’attenzione del
lettore attraverso artifizi letterari.
Il corso della storia è vivificato da un
linguaggio scarno, sebbene ridondante,
come la ripetitività delle vicende
narrate che creano un loop ideale
dove l’origine e la fine si fondono in
un circolo infinito. Una certa retorica
espressiva che dona suggestione e
confidenza al clima narrativo in cui si
immerge il lettore.
La volontà
espressiva risiede nel mantenere viva la
tradizione germanica nella sua
esemplificazione resa spuria però dal
trapasso letterario in atto tra Medioevo
e Età Moderna. Le formule sintattiche
risentono di questo passaggio
chiudendosi nella poca originalità
espressiva della ridondanza di voler
trattenere ciò che ineluttabilmente
sfugge per dar passo ad altro, rimanendo
in uno stato larvale eternamente.
L’input tradizionale letterario della
saga nibelungica sopravvive con i suoi
tornanti fantasiosi che circuiscono
l’intelletto tra lotte con i draghi,
antri oscuri, principesse sconosciute,
in verità note, eroi invicti e
morali fattive che deplorano la
presunzione in virtù dell’umiltà. La
verità nella sua somma personificazione
che dileggia la spavalderia punendo la
tracotanza.
Sigfrido dopo aver eroicamente ucciso il
drago, dai suoi corni ottiene un liquido
che rende impenetrabile il suo corpo,
tranne un punto rimasto scoperto,
irraggiungibile, che sarà la sua vulnus
di morte.
Attraverso l’esperienza Sigfrido diventa
un modello di riferimento per il
lettore, poiché acquisisce virtù sociali
nel sequel narrato; diviene regale come
esempio di compostezza e fattività.
Riferimenti bibliografici:
V. Santoro, La ricezione della
materia nibelungica tra Medioevo ed età
moderna. Der hürnen Seyfrid, Schola
salernitana. Studi e testi, Laveglia e
Carlone Editori, Salerno 2003. |