N. 82 - Ottobre 2014
(CXIII)
Or
che
innalzato
è
l'albero
L’origine
del
canto
patriottico
nell’Italia
napoleonica
di
Alessandro
Crocco
Gli
inizi
del
canto
politico
e
contestatario
italiano
si
possono
individuare
nel
repertorio
dei
canti
giacobini
d’ispirazione
francese,
costituitosi
durante
i
primi
anni
delle
invasioni
napoleoniche
in
Italia,
quando
si
diffusero
gli
ideali
della
Rivoluzione
del
1789.
Infatti,
fu
proprio
in
Francia
che
per
la
prima
volta
la
politica
entrò
nella
canzone,
servendosi
di
essa
per
propagandare
i
suoi
messaggi
tra
il
popolo.
I
testi
delle
canzoni,
diffusi
attraverso
foglietti
volanti,
furono
utilizzati
come
una
sorta
di
mass-media
ante
litteram,
sia
per
celebrare
i
successi
della
rivoluzione
sia
per
attaccare,
con
satira
feroce,
gli
avversari
politici
con
lo
scopo
di
delegittimarli.
I
primi
canti
politici
italiani
fecero
largo
uso
delle
parole
simbolo
della
Rivoluzione
francese:
libertà,
uguaglianza,
fratellanza
(e
morte
alla
tirannia).
Furono
le
idee
francesi
a
risvegliare
nella
borghesia
italiana
rivendicazioni
indipendentistiche
e
unitarie
Già
alcuni
anni
prima
della
discesa
di
Napoleone
in
Italia
nel
1796,
circolavano
parecchie
traduzioni
italiane
della
Marsigliese
cantate
sull’aria
originale.
In
seguito,
altri
due
famosi
inni
rivoluzionari
francesi,
il
Ca
ira
e
La
Carmagnola,
oltre
ad
essere
tradotti,
subirono
numerosi
adattamenti
e
modifiche.
Il
titolo
dell’ultimo,
La
Carmagnola,
derivava
dal
nome
della
giubba
a
falde
corte
che
indossavano
i
rivoluzionari
come
simbolo
di
uguaglianza.
In
Francia
questo
canto
accompagnava
le
esecuzioni
con
la
ghigliottina,
al
contrario
in
Italia
era
intonato
attorno
ai
vari
“Alberi
della
Libertà”.
Ispirato
dall’usanza
di
esporre
i
simboli
rivoluzionari
nelle
piazze
delle
città
dell’Italia
settentrionale,
in
un’atmosfera
ancora
piena
di
entusiasmo
per
l’avventura
napoleonica,
è il
canto
Or
che
innalzato
è
l’albero,
noto
anche
con
il
titolo
di
Inno
all’albero,
probabilmente
composto
a
Genova
da
autori
ignoti
tra
il
1796
e
1799,
e
molto
apprezzato
anche
da
Giuseppe
Mazzini.
L’Albero
per
i
giacobini
italiani
rappresentava
un
simbolo
d’innovazione
e
progresso
sociale,
dopo
secoli
d’immobilismo,
sono
evidenti
nel
testo
i
richiami
contro
la
tirannia,
ovvero
contro
la
monarchia
assoluta
dei
principi
italiani,
e
contro
i
privilegi
della
nobiltà.
Soprattutto
è il
concetto
dell’amor
di
Patria
che
comincia
a
farsi
strada
in
questo
scorcio
di
fine
‘700,
ed
esemplificato
nei
versi:
Un
dolce
amor
di
patria
/
s’accenda
in
questi
lidi.
In
una
strofa
invece,
vi è
per
la
prima
volta
un
riferimento
all’Austria
come
principale
ostacolo
all’indipendenza
italiana:
Sul
torbido
Danubio
/
Penda
l’austriaca
spada
/
nell’Itala
contrada
/
mai
più
lampeggerà.
Molti
illustri
compositori
del
periodo
non
furono
immuni
dalla
portata
rivoluzionaria
delle
idee
giacobine.
Ad
esempio
Domenico
Cimarosa,
in
occasione
della
proclamazione
della
Repubblica
napoletana
il
23
gennaio
1799,
scrisse
la
musica
dell’
Inno
patriottico
della
Repubblica
Napoletana,
e il
suo
impegno
a
favore
del
partito
giacobino
gli
costò
l’esilio
a
Venezia
dopo
il
ritorno
dei
Borboni
a
Napoli.
Ma
nei
canti
di
quel
periodo
non
vi
fu
solo
la
celebrazione
degli
ideali
giacobini,
perché
in
quelli
nati
dalla
tradizione
più
genuinamente
popolare,
soprattutto
contadina,
fu
molto
forte
l’ostilità
ai
nuovi
valori
rivoluzionari
predicati
dai
francesi
e
dai
loro
sostenitori.
Una
delle
canzoni
più
note
e
pubblicate
del
movimento
meridionale
antifrancese,
detto
“sanfedista”
(derivato
dal
nome
dell’esercito
guidato
dal
cardinale
Fabrizio
Ruffo),
s’intitola
A
lu
suono
della
gran
cascia.
Gli
autori
del
testo,
in
dialetto
campano,
e
della
musica
sono
sconosciuti,
il
tono
risulta
particolarmente
aggressivo
nei
confronti
dei
giacobini,
identificati
dal
popolino
come
appartenenti
al
ceto
dei
“signori”
(per
giunta
ostili
alla
Chiesa),
e
quindi
nemici
da
combattere:
A
lu
suono
della
gran
cascia
/
viva
sempre
lu
populo
bascio,
[...]
a lu
suono
de
li
viulini
/
sempre
a
morte
a’
giacobini.
Prime
avvisaglie
di
uno
scollamento
tra
ceti
rurali
e
una
borghesia
liberale
eccessivamente
dottrinaria
e
astratta,
che
caratterizzò
in
negativo
la
storia
delle
lotte
risorgimentali.
Dopo
i
turbolenti
anni
napoleonici
giunse
la
Restaurazione,
e i
canti
giacobini
vennero
messi
al
bando.
La
loro
esecuzione
poteva
costare
l’immediata
carcerazione
da
parte
delle
autorità
di
polizia.
Un
primo
vero
e
proprio
repertorio
di
canti
patriottici
italiani
inizierà
a
costituirsi
soltanto
durante
i
moti
carbonari
del
1820-21,
seguita
dalla
prima
grande
fioritura
del
’48
e
dal
triennio
unitario
del
’59-61.