[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

189 / SETTEMBRE 2023 (CCXX)


contemporanea

A PROPOSITO DI CANTACRONACHE

UN ESPERIMENTO RIUSCITO

di Maria Grazia Fontani

 

In occasione della recente scomparsa di Franco Migliacci, autore del testo di Nel blu dipinto di blu, vediamo l’altra faccia della canzone italiana degli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento descrivendo, se pur brevemente, un esperimento di collettivo creativo molto originale, quello di un gruppo torinese di intellettuali e “musicisti politici” che ha dato per frutto la canzone “di protesta” italiana, il Cantacronache.

 

Cantare fatti di cronaca era l’intenzione dei fondatori: Sergio Liberovici, musicista di grande preparazione che già si era occupato di ricerca nel canto popolare e la moglie Margherita Galante Garrone (in arte Margot), Michele Luciano Straniero, musicologo e giornalista che scriveva poesie, Giorgio De Maria, scrittore, commediografo e pianista, Fausto Amodei, studente di architettura che suonava la chitarra e si interessava di musica e che anni dopo sarà deputato per il PSIUP, Emilio Jona, avvocato e poeta. Altri adepti furono scrittori e intellettuali di rilievo, fra cui Italo Calvino, Umberto Eco, Gianni Rodari, Franco Fortini, Mario Pogliotti, Franco Antonicelli e altri.

 

Racconta Straniero che alla fine del 1957 a Torino, Liberovici, suo collega alla redazione torinese de l’Unità, che era appena tornato da un viaggio nella Germania dell’Est, sulla scia dell’esempio de L’opera da tre soldi di Brecht-Weill ma anche degli chansonnier francesi (fra i quali Georges Brassens, Jacques Brel e Leo Ferré che si avvalevano per i loro testi di poeti come Prévert o Queneau), gli propose di fare qualcosa di analogo per contrastare il dilagare della “musica d’evasione” del tempo, che in Italia aveva la sua consacrazione nel recentemente istituito Festival di Sanremo.

 

Straniero aderì immediatamente e subito dopo vennero messi al corrente del progetto amici musicisti, scrittori, poeti e artisti figurativi, che aderirono con entusiasmo. Il nome che fu scelto per questo collettivo fu quello di Cantacronache, per sottolineare il fatto che si parlava di fatti e problemi della vita reale e per ricordare in qualche modo i cantastorie della tradizione.

 

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Incisione di Francesco Tabusso sulla copertina del testo del 1995

 

Non si perdonava alla “musica leggera”, vista non come espressione del popolo ma come canzone imposta dal sistema, in pieno “miracolo economico”, la sua caratteristica di essere di puro intrattenimento, musica di consumo o, come la definì Umberto Eco nella prefazione del libro Le canzoni della cattiva coscienza, quattro saggi di Straniero, Liberovici, Jona e De Maria, “gastronomica”, termine che rende bene l’idea di qualcosa di costruito a tavolino seguendo una precisa ricetta dettata dalle leggi di mercato, consumato velocemente e poi destinato all’oblio. Si auspicava una canzone diversa, una canzone “di qualità”, impegnata, politica e ironica, ma di più alto valore artistico, sia musicale che testuale. Liberovici teorizza la “canzone da ascoltare”, la canzone come arma di lotta.

 

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La copertina di Le canzoni della cattiva coscienza Bompiani, 1964

 

Nel 1962 le strade dei sodali si separarono, ma senza perdere di vista valori mai cancellati tanto che molti di loro continueranno a produrre canzoni impegnate.

Nonostante la totale mancanza di campagne pubblicitarie sui media – anche se alla Rai, nel 1963, Giorgio Gaber nel suo programma “Canzoniere minimo” sulla canzone popolare, ospitò Margot in tutte le dieci puntate, e anche se La Stampa parlò spesso dei Cantacronache – si formò negli anni un circuito dove il gruppo si esibiva tenendo concerti gratuiti seguiti da un pubblico “alternativo”, soprattutto in circoli, teatri, nelle Case del Popoloe alla Festa dell’Unità.

 

Sempre da Straniero sappiamo che le prime uscite del gruppo furono nei salotti “bene” torinesi, nei quali si cercava di dare forma a una sorta di cabaret, pensato come settimanale, un cui commentare gli eventi di attualità. Ma presto si optò per esibizioni occasionali, nelle quali gli interpreti erano sempre loro, perché nessuno all’inizio si prestò a cantare quelle canzoni. In seguito si avvicenderanno come interpreti bravissimi attori e cantanti, come Franca Di Rienzo, Pietro Buttarelli, Edmonda Aldini, Silverio Pisu, Glauco Mauri, Margot, Giustino Durano, Franco Parenti e Duilio Del Prete.

 

Il Cantacronache inizia la sua avventura il 1° maggio 1958 al corteo della CGIL a Torino, dalla Camera del Lavoro a Piazza Castello, con le canzoni Dove vola l’avvoltoio? di Calvino-Liberovici, La gelida manina di De Maria-Amodei e Viva la pace di Straniero-Liberovici, dai temi antimilitaristi e di satira politica (la “manina” è quella di una vecchietta portata di peso a votare per la DC e in Viva la pace si ironizza sugli accordi di pace periodicamente stipulati tra i grandi della terra fra un riarmo e un esperimento nucleare).

 

Due giorni dopo a Torino, il gruppo tiene uno spettacolo dal titolo scaramantico, “13 canzoni 13”, presso la sala dell’Unione Culturale di Palazzo Carignano, e ottiene un buon successo con un pubblico di circa trecento persone. Liberovici al pianoforte, Amodei alla chitarra, Michele Straniero che cantava con loro, e addirittura Calvino stesso, come ricorda Straniero. Interessante il fatto che ogni canzone fosse illustrata da un’opera grafica in bianco e nero (gli autori erano gli artisti Lucio Cabutti, Giorgio Colombo e Lionello Gennero) nello stile del Laboratorio di grafica popolare del Messico che utilizzava l’arte figurativa per promuovere le proprie cause sociali rivoluzionarie. Saranno fra gli artisti che eseguiranno le copertine dei dischi pubblicati in seguito.

 

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Incisione originale di Lionello Gennero sulla copertina del primo disco, Cantacronache Sperimentale

 

Liberovici, musicista di talento, teorizzò la possibilità di scrivere canzoni impegnate, introducendo la “ballata storica”, che doveva attingere dalla tradizione della canzone popolare italiana, con linguaggio semplice e ritmo regolare, per narrare fatti reali e contemporanei. Una sorta di canzone “neorealista” insomma, che rivalutasse un genere fino ad allora relegato alla sottocultura. Michele Straniero scriverà moltissimi testi: gli argomenti preferiti saranno l’antimilitarismo, il rischio nucleare, la lotta partigiana, le questioni sociali, le lotte dei lavoratori, la vita quotidiana.

 

Molto interessante quanto Liberovici stesso scrive sul primo numero della rivista Cantacronache, una sorta di canzoniere del gruppo uscita in soli tre numeri, dal 1958, ed edita, come i dischi, da Italia Canta, una casa editrice vicina al Partito Comunista. Liberovici pone l’attenzione sull’interprete di una canzone, importante al pari degli autori, che deve abbandonare le abitudini del momento (come modificare la voce, avere atteggiamenti melodrammatici, imitare maldestramente modelli stranieri, affidarsi al microfono in modo esagerato, avere un arrangiamento ridondante) per diventare un vero personaggio, un cantore popolare capace di recitare accompagnato da un solo strumento per mantenere la semplicità della canzone.

 

 

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Incisioni di Lucio Cabutti e Lionello Gennero

 

Una delle prime canzoni scritte fu La zolfara, su testo di Straniero e musica di Amodei, che si ispira a un drammatico incidente sul lavoro del 1958 nel quale morirono molti minatori, canzone che sarà incisa anche da Ornella Vanoni. Di impressionante attualità e originale nella forma: una sorta di drammatizzazione in cui i minatori periti nell’incidente vanno in paradiso dove trovano altri compagni morti in passato e dove vengono portati dagli evangelisti al cospetto di Gesù che prima li fa beati e poi con un fulmine distrugge la zolfara. Interessante e attualissimo il ritornello cantato dal padrone della miniera: «Sparala prima la mina/mezz’ora si guadagna/me n’infischio se rischio/che di sangue poi si bagna!/Tu prepara la bara minatore di zolfara».

 

Oltre il ponte è un canto di Calvino e Liberovici che parla della Resistenza (sia Calvino che Liberovici vi avevano partecipato), ma raccontata da un ex partigiano alla giovane figlia, rimarcando quanto i giovani di oggi siano scarsamente interessati alla storia, anche se molto recente. Dove vola l’avvoltoio? è forse la più famosa canzone di Italo Calvino, sull’antimilitarismo, di grande impatto politico ed emotivo.

 

Altri principi basilari della poetica del Cantacronache furono “evadere dall’evasione” e “dichiarare guerra alla luna e cantare gli sposi infelici” e proprio su questi temi Calvino scrisse Canzone triste (magistralmente interpretata da Margot) e Jona Canzone di fiori e del silenzio, entrambe su musica di Liberovici. In particolare in Canzone triste si aboliscono gli argomenti solitamente cantati nelle canzonette come amori felici, addii, amori travagliati, tradimenti, rima amore-cuore, descrivendoinvece la vita di una coppia nella realtà quotidiana.

 

L’antimilitarismo si esprime in Viva la pace: una filastrocca di Straniero-Liberovici, molto semplice da cantare, che prende di miragli accordi di pace periodicamente stipulati tra i grandi della terra, che però si dotano di armi sempre più potenti mettendo in pericolo l’umanità con l’arma nucleare.

 

Straniero scrisse nel 1959 anche il testo di Canzone del popolo algerino, un canto antimilitarista nel quale non si stigmatizza il colonialismo, ma piuttosto si fanno considerazioni più profonde sulla necessità di quella guerra che, come dice Straniero stesso, «ci fece scoprire l’oppressione e la tortura, ci diede la certezza morale e l’entusiasmo di essere dalla parte giusta, ci aiutò a capire la dinamica della storia, fu quella che si dice una “presa di coscienza” che ci aiutò a diventare adulti». Amodei, che scrisse una melodia molto originale e differenziata, a volte dolce a volte ritmata,la considera una canzone “militante”e “d’intervento”.

 

In Per i morti di Reggio Emilia, Amodei esprime cordoglio per le vittime della repressione, da parte del Governo Tambroni, nel 1960, dei moti popolari antifascisti. Il 6 luglio 1960 a Roma, a Porta San Paolo, la polizia reprime un corteo antifascista, ferendo alcuni deputati socialisti e comunisti; ma i fatti più gravi accadono a Reggio Emilia dove nel corso di una delle manifestazioni seguite ai fatti di Roma, la polizia uccide cinque manifestanti comunisti (Ovidio Franchi, Lauro Farioli, Emilio Reverberi, Marino Serri e Afro Tondelli, tutti citati nella canzone).La Cgil proclamò uno sciopero generale e il Governo Tambroni si dimise di lì a poco.

 

Oltre il ponte fu un esperimento, una canzone nuova dedicata alla Resistenza, ma non fu la sola. L’ANPI (Associazione Nazionale Partigiani) locale invitò il Cantacronache a una commemorazione e per questa occasione Amodei musicò un testo di Michele Luciano Straniero dal titolo Partigiani fratelli maggiori.

 

Ma non solo i canti della Resistenza italiana furono studiati dal gruppo: Liberovici, Margot e Jona si recarono in Spagna a raccogliere, fra mille difficoltà, in pieno regime franchista, i canti resistenziali spagnoli. Ne nacque nel 1962 il libro Canti della Nuova Resistenza Spagnola edito da Einaudi che valse loro un’accusa di “vilipendio di Capo di Stato estero”. In Cassazione furono difesi addirittura da Ernesto De Martino, e furono assolti. Ma non solo: furono pubblicati anche un disco di canzoni ungheresi dedicate a Garibaldi, uno sui canti della rivoluzione messicana e altri sui movimenti rivoluzionari di Cuba, Angola e Algeria, oltre a un disco di canzoni sulla guerra di Spagna (1936-1939).

 

A Modena, liberata dai suoi partigiani domenica 22 aprile 1945, la sera del 23 aprile fu data la notizia che era stato trovato un partigiano ucciso, sconosciuto a tutti, che aveva in tasca soltanto un pezzo di pane. Per cercare di dargli un nome, la sua fotografia fu esposta per alcuni giorni sotto il portico del Collegio, della località più centrale e più frequentata della città. Poi non se ne seppe più nulla. Una poesia anonima (si è poi saputo che l’autrice fu la partigiana modenese Claudina Vaccari) ispirata a questo episodio comparve in quei giorni accanto alla fotografia affissa. Liberovici la musicò con il titolo Partigiano sconosciuto.

 

Curiosa e molto acuta una canzone sui rischi delle radiazioni nucleari del 1962 di Umberto Eco, un centone sull’aria di Con 24.000 baci, dal titolo Ventiquattro megatoni.

 

Fausto Amodei ha continuato a scrivere anche negli anni successivi moltissime canzoni su temi attuali come il lavoro, la burocrazia, l’antifascismo (Una vita di carta, La taylorizzazione, Se non li conoscete, Ballata dei dittatori). Ricordiamo Il tarlo scritta nel 1963 che parla dello sfruttamento del lavoro (la canzone venne definita da Umberto Eco “una divulgazione pressoché perfetta de Il capitale di Marx”). Di Liberovici è famosa La morte di Anita, scritta nel 1963 per lo spettacolo “Stefano Pelloni detto il Passatore”, di Massimo D’Ursi, allestito al teatro Stabile di Bologna. 

 

Il Cantacronache fu un sodalizio che durò poco: solo quattro anni ma molto prolifici, dato che uscirono una trentina di dischi. Da questa avventura scaturirono esperienze importanti come quella del Nuovo Canzoniere Italiano, rivista fondata a Milano da Roberto Leydi e Gianni Bosio che cominciò a uscire alla fine del 1962. Nel 1963 si aggiunsero molti collaboratori, che formarono un gruppo numeroso di persone interessate all’etnomusicologia e alla canzone politica. Fra i primi a unirsi ai fondatori furono proprio Fausto Amodei e Michele Straniero. E fu formato un vero e proprio gruppo musicale, chiamato Gruppo del Nuovo Canzoniere Italiano che si dedicò al revival folklorico della canzone popolare e alla canzone politica.

 

Famoso l’episodio al Festival dei due Mondi di Spoleto del 1964, ricordato spesso da Giovanna Marini che era presente, quando il Gruppo del Nuovo Canzoniere Italiano, sulle note di O Gorizia tu sei maledetta scatenò una fortissima reazione da parte del pubblico con lancio di oggetti e fischi, e si prese una denuncia per “vilipendio delle Forze Armate” da ufficiali militari presenti in sala. Sull’autenticità di O Gorizia come canto del tempo ci sono delle perplessità, non è escluso che sia opera del gruppo stesso, in particolare per la strofa che recita: “Traditori signori ufficiali che la guerra l’avete voluta, scannatori di carne venduta, e rovina della gioventù”.

 

Possiamo senza dubbio affermare che l’esperienza del Cantacronache ha segnato il destino della canzone autorale italiana. Non ci sarebbe stata la scuola genovese, non avremmo avuto De André, Guccini, De Gregori, Della Mea e tanti altri che sicuramente hanno mosso i loro primi passi ascoltando le canzoni originali di questo unico e irripetibile collettivo artistico.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

E. Jona, M.L. Straniero, Cantacronache. Un’avventura politico-musicale degli anni Cinquanta, DDT e Scriptorium Associati, Torino 1995. 

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]