contemporanea
A
PROPOSITO DI
CANTACRONACHE
UN ESPERIMENTO RIUSCITO
di Maria Grazia Fontani
In occasione della recente scomparsa di Franco
Migliacci, autore del testo di Nel blu dipinto di
blu, vediamo l’altra faccia della canzone
italiana degli anni Cinquanta e Sessanta del
Novecento descrivendo, se pur brevemente, un
esperimento di collettivo creativo molto originale,
quello di un gruppo torinese di intellettuali e
“musicisti politici” che ha dato per frutto la
canzone “di protesta” italiana, il Cantacronache.
Cantare fatti di cronaca era l’intenzione dei
fondatori: Sergio Liberovici, musicista di grande
preparazione che già si era occupato di ricerca nel
canto popolare e la moglie Margherita Galante
Garrone (in arte Margot), Michele Luciano Straniero,
musicologo e giornalista che scriveva poesie,
Giorgio De Maria, scrittore, commediografo e
pianista, Fausto Amodei, studente di architettura
che suonava la chitarra e si interessava di musica e
che anni dopo sarà deputato per il PSIUP, Emilio
Jona, avvocato e poeta. Altri adepti furono
scrittori e intellettuali di rilievo, fra cui Italo
Calvino, Umberto Eco, Gianni Rodari, Franco Fortini,
Mario Pogliotti, Franco Antonicelli e altri.
Racconta Straniero che alla fine del 1957 a Torino,
Liberovici, suo collega alla redazione torinese de
l’Unità, che era appena tornato da un viaggio
nella Germania dell’Est, sulla scia dell’esempio de
L’opera da tre soldi di Brecht-Weill ma anche
degli chansonnier francesi (fra i quali
Georges Brassens,
Jacques Brel
e Leo Ferré che si avvalevano per i loro testi di
poeti come Prévert o Queneau), gli propose di fare
qualcosa di analogo per contrastare il dilagare
della “musica d’evasione” del tempo, che in Italia
aveva la sua consacrazione nel recentemente
istituito Festival di Sanremo.
Straniero aderì immediatamente e subito dopo vennero
messi al corrente del progetto amici musicisti,
scrittori, poeti e artisti figurativi, che aderirono
con entusiasmo. Il nome che fu scelto per questo
collettivo fu quello di Cantacronache, per
sottolineare il fatto che si parlava di fatti e
problemi della vita reale e per ricordare in qualche
modo i cantastorie della tradizione.
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Incisione
di Francesco Tabusso sulla copertina del testo del
1995
Non si perdonava alla “musica leggera”, vista non
come espressione del popolo ma come canzone imposta
dal sistema, in pieno “miracolo economico”, la sua
caratteristica di essere di puro intrattenimento,
musica di consumo o, come la definì Umberto Eco
nella prefazione del libro Le canzoni della
cattiva coscienza, quattro saggi di Straniero,
Liberovici, Jona e De Maria, “gastronomica”, termine
che rende bene l’idea di qualcosa di costruito a
tavolino seguendo una precisa ricetta dettata dalle
leggi di mercato, consumato velocemente e poi
destinato all’oblio. Si auspicava una canzone
diversa, una canzone “di qualità”, impegnata,
politica e ironica, ma di più alto valore artistico,
sia musicale che testuale. Liberovici teorizza la
“canzone da ascoltare”, la canzone come arma di
lotta.
.
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La copertina di
Le canzoni della cattiva coscienza
Bompiani, 1964
Nel 1962 le strade dei sodali si separarono,
ma senza perdere di vista valori mai cancellati
tanto che molti di loro continueranno a produrre
canzoni impegnate.
Nonostante la totale mancanza di campagne
pubblicitarie sui media – anche se alla Rai, nel
1963, Giorgio Gaber nel suo programma “Canzoniere
minimo” sulla canzone popolare, ospitò Margot in
tutte le dieci puntate, e anche se La Stampa
parlò spesso dei Cantacronache – si formò
negli anni un circuito dove il gruppo si esibiva
tenendo concerti gratuiti seguiti da un pubblico
“alternativo”, soprattutto in circoli, teatri, nelle
Case del Popoloe alla Festa dell’Unità.
Sempre da Straniero sappiamo che le prime uscite del
gruppo furono nei salotti “bene” torinesi, nei quali
si cercava di dare forma a una sorta di cabaret,
pensato come settimanale, un cui commentare gli
eventi di attualità. Ma presto si optò per
esibizioni occasionali, nelle quali gli interpreti
erano sempre loro, perché nessuno all’inizio si
prestò a cantare quelle canzoni. In seguito si
avvicenderanno come interpreti bravissimi attori e
cantanti, come Franca Di Rienzo, Pietro Buttarelli,
Edmonda Aldini, Silverio Pisu, Glauco Mauri, Margot,
Giustino Durano,
Franco Parenti e Duilio Del
Prete.
Il Cantacronache inizia la sua avventura il
1° maggio 1958 al corteo della CGIL a Torino, dalla
Camera del Lavoro a Piazza Castello, con le canzoni Dove
vola l’avvoltoio? di Calvino-Liberovici, La
gelida manina di De Maria-Amodei e Viva la
pace di Straniero-Liberovici, dai temi
antimilitaristi e di satira politica (la “manina” è
quella di una vecchietta portata di peso a votare
per la DC e in Viva la pace si ironizza sugli
accordi di pace periodicamente stipulati tra i
grandi della terra fra un riarmo e un esperimento
nucleare).
Due giorni dopo a Torino, il gruppo tiene uno
spettacolo dal titolo scaramantico, “13 canzoni 13”,
presso la sala dell’Unione Culturale di Palazzo
Carignano, e ottiene un buon successo con un
pubblico di circa trecento persone. Liberovici al
pianoforte, Amodei alla chitarra, Michele Straniero
che cantava con loro, e addirittura Calvino stesso,
come ricorda Straniero. Interessante il fatto che
ogni canzone fosse illustrata da un’opera grafica in
bianco e nero (gli autori erano gli artisti Lucio
Cabutti, Giorgio Colombo e Lionello Gennero) nello
stile del Laboratorio di grafica popolare del
Messico che utilizzava l’arte figurativa per
promuovere le proprie cause sociali rivoluzionarie.
Saranno fra gli artisti che eseguiranno le copertine
dei dischi pubblicati in seguito.
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Incisione originale di Lionello Gennero
sulla copertina del primo disco, Cantacronache
Sperimentale
Liberovici, musicista di talento, teorizzò la
possibilità di scrivere canzoni impegnate,
introducendo la “ballata storica”, che doveva
attingere dalla tradizione della canzone popolare
italiana, con linguaggio semplice e ritmo regolare,
per narrare fatti reali e contemporanei. Una sorta
di canzone “neorealista” insomma, che rivalutasse un
genere fino ad allora relegato alla sottocultura.
Michele Straniero scriverà moltissimi testi: gli
argomenti preferiti saranno l’antimilitarismo, il
rischio nucleare, la lotta partigiana, le questioni
sociali, le lotte dei lavoratori, la vita
quotidiana.
Molto interessante quanto Liberovici stesso scrive
sul primo numero della rivista Cantacronache,
una sorta di canzoniere del gruppo uscita in soli
tre numeri, dal 1958, ed edita, come i dischi, da
Italia Canta, una casa editrice vicina al Partito
Comunista. Liberovici pone l’attenzione
sull’interprete di una canzone, importante al pari
degli autori, che deve abbandonare le abitudini del
momento (come modificare la voce, avere
atteggiamenti melodrammatici, imitare maldestramente
modelli stranieri, affidarsi al microfono in modo
esagerato, avere un arrangiamento ridondante) per
diventare un vero personaggio, un cantore popolare
capace di recitare accompagnato da un solo strumento
per mantenere la semplicità della canzone.
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Incisioni di Lucio Cabutti e Lionello Gennero
Una delle prime canzoni scritte fu La zolfara,
su testo di Straniero e musica di Amodei, che si
ispira a un drammatico incidente sul lavoro del 1958
nel quale morirono molti minatori, canzone che sarà
incisa anche da Ornella Vanoni. Di impressionante
attualità e originale nella forma: una sorta di
drammatizzazione in cui i minatori periti
nell’incidente vanno in paradiso dove trovano altri
compagni morti in passato e dove vengono portati
dagli evangelisti al cospetto di Gesù che prima li
fa beati e poi con un fulmine distrugge la zolfara.
Interessante e attualissimo il ritornello cantato
dal padrone della miniera: «Sparala prima la
mina/mezz’ora si guadagna/me n’infischio se
rischio/che di sangue poi si bagna!/Tu prepara la
bara minatore di zolfara».
Oltre il ponte
è un canto di Calvino e Liberovici che parla della
Resistenza (sia Calvino che Liberovici vi avevano
partecipato), ma raccontata da un ex partigiano alla
giovane figlia, rimarcando quanto i giovani di oggi
siano scarsamente interessati alla storia, anche se
molto recente. Dove vola l’avvoltoio? è forse
la più famosa canzone di Italo Calvino,
sull’antimilitarismo, di grande impatto politico ed
emotivo.
Altri principi basilari della poetica del
Cantacronache furono “evadere dall’evasione” e
“dichiarare guerra alla luna e cantare gli sposi
infelici” e proprio su questi temi Calvino scrisse
Canzone triste (magistralmente interpretata
da Margot) e Jona Canzone di fiori e del silenzio,
entrambe su musica di Liberovici. In particolare in
Canzone triste si aboliscono gli argomenti
solitamente cantati nelle canzonette come amori
felici, addii, amori travagliati, tradimenti, rima
amore-cuore, descrivendoinvece la vita di una coppia
nella realtà quotidiana.
L’antimilitarismo si esprime in Viva la pace:
una filastrocca di Straniero-Liberovici, molto
semplice da cantare, che prende di miragli accordi
di pace periodicamente stipulati tra i grandi della
terra, che però si dotano di armi sempre più potenti
mettendo in pericolo l’umanità con l’arma nucleare.
Straniero scrisse nel 1959 anche il testo di
Canzone del popolo algerino, un canto
antimilitarista nel quale non si stigmatizza il
colonialismo, ma piuttosto si fanno considerazioni
più profonde sulla necessità di quella guerra che,
come dice Straniero stesso, «ci fece scoprire
l’oppressione e la tortura, ci diede la certezza
morale e l’entusiasmo di essere dalla parte giusta,
ci aiutò a capire la dinamica della storia, fu
quella che si dice una “presa di coscienza” che ci
aiutò a diventare adulti». Amodei, che scrisse
una melodia molto originale e differenziata, a volte
dolce a volte ritmata,la considera una canzone
“militante”e “d’intervento”.
In Per i morti di Reggio Emilia, Amodei
esprime cordoglio per le vittime della repressione,
da parte del Governo Tambroni, nel 1960, dei moti
popolari antifascisti. Il 6 luglio 1960 a Roma, a
Porta San Paolo, la polizia reprime un corteo
antifascista, ferendo alcuni deputati socialisti e
comunisti; ma i fatti più gravi accadono a Reggio
Emilia dove nel corso di una delle manifestazioni
seguite ai fatti di Roma, la polizia uccide cinque
manifestanti comunisti (Ovidio Franchi, Lauro
Farioli, Emilio Reverberi, Marino Serri e Afro
Tondelli, tutti citati nella canzone).La Cgil
proclamò uno sciopero generale e il Governo Tambroni
si dimise di lì a poco.
Oltre il ponte
fu un esperimento, una canzone nuova dedicata alla
Resistenza, ma non fu la sola. L’ANPI (Associazione
Nazionale Partigiani) locale invitò il
Cantacronache a una commemorazione e per questa
occasione Amodei musicò un testo di Michele Luciano
Straniero dal titolo Partigiani fratelli maggiori.
Ma non solo i canti della Resistenza italiana furono
studiati dal gruppo: Liberovici, Margot e Jona si
recarono in Spagna a raccogliere, fra mille
difficoltà, in pieno regime franchista, i canti
resistenziali spagnoli. Ne nacque nel 1962 il libro
Canti della Nuova Resistenza Spagnola edito
da Einaudi che valse loro un’accusa di “vilipendio
di Capo di Stato estero”. In Cassazione furono
difesi addirittura da Ernesto De Martino, e furono
assolti. Ma non solo: furono pubblicati anche un
disco di canzoni ungheresi dedicate a Garibaldi, uno
sui canti della rivoluzione messicana e altri sui
movimenti rivoluzionari di Cuba, Angola e Algeria,
oltre a un disco di canzoni sulla guerra di Spagna
(1936-1939).
A Modena, liberata dai suoi partigiani domenica 22
aprile 1945, la sera del 23 aprile fu data la
notizia che era stato trovato un partigiano ucciso,
sconosciuto a tutti, che aveva in tasca soltanto un
pezzo di pane. Per cercare di dargli un nome, la sua
fotografia fu esposta per alcuni giorni sotto il
portico del Collegio, della località più centrale e
più frequentata della città. Poi non se ne seppe più
nulla. Una poesia anonima (si è poi saputo che
l’autrice fu la partigiana modenese Claudina
Vaccari) ispirata a questo episodio comparve in quei
giorni accanto alla fotografia affissa. Liberovici
la musicò con il titolo Partigiano sconosciuto.
Curiosa e molto acuta una canzone sui rischi delle
radiazioni nucleari del 1962 di Umberto Eco, un
centone sull’aria di Con 24.000 baci, dal
titolo Ventiquattro megatoni.
Fausto Amodei ha continuato a scrivere anche negli
anni successivi moltissime canzoni su temi attuali
come il lavoro, la burocrazia, l’antifascismo (Una
vita di carta, La taylorizzazione, Se non li
conoscete, Ballata dei dittatori). Ricordiamo
Il tarlo scritta nel 1963 che parla dello
sfruttamento del lavoro (la canzone venne definita
da Umberto Eco “una divulgazione pressoché
perfetta de Il capitale di Marx”). Di Liberovici
è famosa La morte di Anita, scritta nel 1963
per lo spettacolo “Stefano Pelloni detto il
Passatore”, di Massimo D’Ursi, allestito al teatro
Stabile di Bologna.
Il Cantacronache fu un sodalizio che durò
poco: solo quattro anni ma molto prolifici, dato che
uscirono una trentina di dischi. Da questa avventura
scaturirono esperienze importanti come quella del Nuovo
Canzoniere Italiano, rivista fondata a Milano da
Roberto Leydi e Gianni Bosio che cominciò a uscire
alla fine del 1962. Nel 1963 si aggiunsero molti
collaboratori, che formarono un gruppo numeroso di
persone interessate all’etnomusicologia e alla
canzone politica. Fra i primi a unirsi ai fondatori
furono proprio Fausto Amodei e Michele Straniero. E
fu formato un vero e proprio gruppo musicale,
chiamato Gruppo del Nuovo Canzoniere Italiano
che si dedicò al revival folklorico della canzone
popolare e alla canzone politica.
Famoso l’episodio al Festival dei due Mondi di
Spoleto del 1964, ricordato spesso da Giovanna
Marini che era presente, quando il Gruppo del
Nuovo Canzoniere Italiano, sulle note di O
Gorizia tu sei maledetta scatenò una fortissima
reazione da parte del pubblico con lancio di oggetti
e fischi, e si prese una denuncia per “vilipendio
delle Forze Armate” da ufficiali militari presenti
in sala. Sull’autenticità di O Gorizia come
canto del tempo ci sono delle perplessità, non è
escluso che sia opera del gruppo stesso, in
particolare per la strofa che recita: “Traditori
signori ufficiali che la guerra l’avete voluta,
scannatori di carne venduta, e rovina della
gioventù”.
Possiamo senza dubbio affermare che l’esperienza del
Cantacronache ha segnato il destino della
canzone autorale italiana. Non ci sarebbe stata la
scuola genovese, non avremmo avuto De André,
Guccini, De Gregori, Della Mea e tanti altri che
sicuramente hanno mosso i loro primi passi
ascoltando le canzoni originali di questo unico e
irripetibile collettivo artistico.
Riferimenti bibliografici:
E. Jona, M.L. Straniero, Cantacronache.
Un’avventura politico-musicale degli anni Cinquanta,
DDT e Scriptorium Associati, Torino 1995. |