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N. 4 - Aprile 2008 (XXXV)

paludi, memoria storica, oneri fiscali
Proteste e denunce contro l’emergenza ambientale in Campania

di Antonio Pisanti

 

Mentre studiosi ed esperti non coinvolti nei locali giochi di potere e di corruzione cercano di valutare il danno presente e futuro a carico delle popolazioni campane, vittime di un disastro ambientale perpetrato in anni di connivenze, di inefficienza e di incuria, i cittadini vanno prendendo coscienza della lesione continuata ed aggravata del loro diritto all’ambiente e alla salute e sperano che la magistratura possa finalmente giungere all’individuazione dei responsabili del criminoso scempio. Uno scempio con ripercussioni già avvertite, non solo per l’ambiente, ma anche per il commercio, per il turismo e per  l’economia.

 

Ma ancor prima di poter rivendicare il risarcimento del danno subìto per lo smaltimento di rifiuti tossici e l’inquinamento dei suoli e delle falde acquifere, si rivendica nell’immediato il diritto all’obiezione fiscale nei confronti dell’imposizione di tributi ai quali non corrisponde la prestazione dei servizi dovuti per assicurare la vivibilità dell’ambiente e l’esercizio delle attività ad esso connesse.

La saturazione delle discariche, dei campi di false ecoballe e la permanenza dei rifiuti nelle strade sono solo la punta di un iceberg che finalmente è emersa in tutta la sua pericolosità, allarmando giustamente quanti si ritrovano a vivere nella Campania già felix.

         Ma ai danni si aggiunge anche la beffa della Tarsu, la tassa imposta ai contribuenti napoletani e campani per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani che nel corso degli ultimi anni è andata sempre più aumentando. Si tratta di un tributo già ingiusto all’origine, in quanto commisurato alla superficie dell'immobile occupato, senza alcuna valutazione della prevedibile quantità di rifiuti prodotti e del conseguente servizio comunale da erogare per raccoglierli.

 

Nelle città che tendono da anni a risolvere il problema dei rifiuti attraverso la loro riduzione e la loro differenziazione all’origine, la misura dei rifiuti prodotti è un fattore virtuoso che determina  una serie di agevolazioni per incentivare la raccolta differenziata ed attribuisce ai rifiuti solidi urbani un valore economico, grazie alle possibilità di riciclo e di riconversione in impianti energetici e di compostaggio.

A Napoli, al di là di patetici e diversivi inviti rivolti  alla popolazione con il senno di poi perché ne pratichi la selezione, pur nell’assenza di adeguati servizi, non solo non esiste la possibilità di praticare  comportamenti utili che siano sistematicamente facilitati e premiati, ma vige addirittura un criterio di tassazione punitivo per chi si ritrova in un appartamento grande pur producendo quantità minime di rifiuti. La logica della locale amministrazione comunale è stata finora completamente l’opposto di quella che si dovrebbe far valere commisurando il tributo in relazione al servizio pubblico da rendere per la loro rimozione. Ma l’illogicità è ancor più clamorosamente manifesta in periodi di tempo come questi, sempre più frequenti e sempre più lunghi, nei quali al pagamento del tributo non corrisponde alcun servizio reso.

 

L’obiezione fiscale appare fondata nel caso dei rifiuti solidi urbani, per i lunghi periodi in cui questi non sono prelevati o il servizio è mal funzionante, ma vi sono altri casi ugualmente clamorosi, anche se meno evidenti, di imposizioni di tasse assolutamente ingiustificate che contribuiscono a far lievitare il costo di prodotti e di servizi… magari inesistenti.

Si pensi alle addizionali comunali e regionali, ai gravami fiscali che pesano sui carburanti, alcuni dei quali istituiti eccezionalmente e per brevi periodi, mai abrogati dopo il venir meno delle emergenze che ne avevano giustificato l’imposizione. Si pensi, a proposito di servizi inesistenti, ma pagati dai cittadini di Napoli e provincia, al tributo preteso in alcuni quartieri napoletani  e nei comuni viciniori a beneficio del Consorzio di bonifica delle paludi di Napoli e di Volla.

 

La tassa, imposta  per sostenere le spese per la bonifica delle zone acquitrinose  e paludose di Napoli e di Volla, ai primi decenni del secolo scorso (con buona pace dei Borbone che a lungo vi avevano provveduto in ampie zone del regno e con poderose opere che ancora resistono all’ingiuria del tempo),  grava tuttora sui residenti di una vasta area, con un’estensione di oltre 10.000 ettari di superficie, che comprende, grazie ad una “ridefinizione” operata dalla Giunta regionale della Campania nel 2003, i comuni di Casalnuovo, Casoria, Cercola, Sant’Anastasia, San Giorgio a Cremano, San Sebastiano al Vesuvio, Pollena Trocchia, Pomigliano d’Arco, Volla, Massa di Somma e Napoli, in tutto o in parte dei rispettivi territori.

I quartieri napoletani che si trovano a gravitare  nel comprensorio  assoggettato al tributo sono Ponticelli, Barra, San Giovanni, Mercato, Pendino, Vicaria-Vasto, Poggioreale e San Pietro a Patierno.

 

Alla palese iniquità del balzello, al quale sono tuttora obbligati i proprietari degli immobili ricadenti nell’area consortile, sebbene in mancanza di uno specifico e diretto beneficio, si aggiunge l’inosservanza di ogni criterio di oculatezza se si considera che, molto spesso, in una stessa zona e, addirittura, in uno stesso stabile rientrante nel perimetro del comprensorio  vi sono immobili soggetti al tributo  ed altri che ne sono esclusi.

Probabilmente il Consorzio, che pure si potrebbe ora occupare di ben altre bonifiche e che si adopera con un suo sito e con vario materiale per dimostrare la legittimità e la validità delle sue pretese, al momento di inviare i suoi avvisi di pagamento, con conseguenti iscrizioni a ruolo, non dispone di elenchi attendibili dei potenziali contribuenti o evita di volerne disporre per ridurre il contenzioso relativo ad obiettori  e inadempienti.

 

Molti “debitori”, tra l’altro,  hanno evitato fino ad ora di chiamare in giudizio l’ente impositore, in considerazione della progressiva attenuazione del gravame, del quale la Regione – bontà sua! -  si è accollato recentemente il 50% dell’importo. A questo proposito, è il caso di tener presente che in molti comuni la Tarsu comprende anche  il contributo per la raccolta delle acque reflue e l’attività fognaria ed è il caso di considerare che le competenze  attribuite  al commissariato Consorzio Paludi  per giustificarne l’esistenza  erano già e sono assegnate anche ad altri enti territoriali pinguemente finanziati con fondi pubblici.
      

Ora c’è da ritenere e da augurarsi, che, anche con azioni collettive esercitabili a loro tutela, i destinatari degli avvisi di pagamento della tassa per le paludi, facciano valere le loro rimostranze contro un tributo che, pur se di ridotta portata individuale, rappresenta una ridicola e ingiusta  imposizione. A Napoli, e in altre province della Campania, del Lazio e della Toscana, l’attività di bonifica è solo una memoria storica, ma continua a produrre oneri fiscali a carico dei cittadini.

 

 

 

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