N. 107 - Novembre 2016
(CXXXVIII)
La
campagna
d’Africa
nella
Seconda
Guerra
Mondiale
la
fine
della
quarta
sponda
italiana
di
Tommaso
Cherubini
Quando
il
10
giugno
del
1940
l’Italia
entrò
in
guerra
a
fianco
dei
tedeschi
contro
gli
Alleati,
Mussolini
era
convinto
che
il
secondo
conflitto
mondiale,
provocato
dalle
folli
mire
espansionistiche
di
Hitler,
non
si
sarebbe
protratto
per
molti
mesi
ancora
e
avrebbe
decretato
rapidamente
la
schiacciante
vittoria
della
macchina
bellica
tedesca.
Le
ambizioni
fasciste
di
partecipare
alla
rapida
spartizione
del
bottino
di
guerra
non
permisero
di
valutare
obiettivamente
il
reale
potenziale
bellico
italiano
che,
con
le
capacità
industriali
e
militari
insufficienti
ad
affrontare
una
lunga
guerra,
mancò
di
quelle
riserve
di
materiali,
armi,
munizioni
e
mezzi
militari
necessari
per
affiancare
efficacemente
il
dispositivo
militare
tedesco
e
contrastare
la
forza
degli
Alleati.
Lo
scacchiere
africano
si
rivelò,
dal
principio
della
contesa
militare,
il
principale
scenario
dell’intervento
italiano
nella
seconda
guerra
mondiale,
nel
quale
emersero
tutte
le
lacune
logistiche
e
militari
che
avrebbero
provocato
l’inesorabile
tramonto
delle
aspettative
di
gloria
dell’Italia
fascista.
L’Africa
del
Nord,
fino
al
1940,
era
spartita
tra
i
francesi,
presenti
nella
zona
tunisina
e
algerina,
che
in
Europa
stavano
per
arrendersi
ai
tedeschi,
gli
italiani
nelle
regioni
della
Tripolitania
e
Cirenaica,
attuale
Libia,
e
gli
inglesi
saldamente
insediati
in
Egitto.
Il
progetto
di
Mussolini
di
intraprendere
una
guerra
parallela
al
fianco
della
Germania,
però
nella
più
completa
autonomia,
si
dimostrò
in
poco
tempo
un
effimero
piano
che
le
deficienze
dell’apparato
militare
italiano
smascherarono
presto.
Dopo
l’occupazione
di
gran
parte
dell’Europa,
da
parte
della
Germania
nazista,
l’unico
fronte
militare
incerto
fu
quello
africano,
dove
gli
italiani
si
ritrovarono
soli
a
combattere
contro
le
truppe
inglesi
in
Egitto:
il
baricentro
delle
operazioni
militari
della
guerra
si
era
momentaneamente
spostato
nel
Nord
Africa.
Per
questo
motivo
Hitler,
informato
delle
carenze
dell’apparato
militare
italiano,
propose
immediatamente
al
Duce
di
inviare
in
Africa
mezzi
corazzati
tedeschi;
proposta
rifiutata
con
fermezza
da
Mussolini,
convinto
anche
dalle
notizie
ottimistiche
comunicate
dai
suoi
generali,
i
quali
tardarono
colpevolmente
nel
muoversi
verso
l’Egitto
contro
gli
inglesi,
vanificando
ogni
eventuale
successo
di
una
guerra
celere.
Il
Regno
Unito
in
quel
momento
dava
priorità
alla
difesa
del
suolo
patrio,
pensando
più
a
difendersi
da
un
eventuale
sbarco
tedesco
sulle
sponde
della
Manica
che
a
inviare
truppe
di
rinforzo
in
Egitto.
Pertanto,
nonostante
l’inspiegabile
ritardo
dell’attacco
italiano
ai
presidi
inglesi
in
Egitto,
avvenuto
solo
i
primi
di
settembre
del
1940,
truppe
italiane,
al
comando
del
Maresciallo
d’Italia
Rodolfo
Graziani,
riuscirono
a
conquistare
l’importante
caposaldo
egiziano
di
Sidi
El
Barrani.
L’errore
di
valutazione
dei
generali
italiani
di
attestarsi
per
mesi
nelle
posizioni
conquistate
anziché
continuare
a
penetrare
rapidamente
in
territorio
nemico
secondo
lo
schema
della
famigerata
blitzgrieg,
la
guerra
lampo
tedesca,
presto
si
rivelò
fatale,
permettendo
al
nemico
di
organizzarsi
per
una
successiva
controffensiva,
grazie
anche
ai
rifornimenti
di
mezzi
e di
truppe
australiane,
neozelandesi,
sudafricane
e
indiane,
provenienti
dalle
colonie
dell’impero
britannico.
Un
Mussolini
spazientito
dall’inattività
di
Graziani
fremeva
per
un’azione
rapida
che
dimostrasse
il
valore
delle
truppe
italiane,
convinto
che
fossero
in
grado
di
confrontarsi
alla
pari
con
i
tedeschi
nella
blitzkrieg;
ma
il
Maresciallo
d’Italia
optò
per
una
strategia
di
consolidamento
delle
posizioni
conquistate
piuttosto
che
per
un
rapido
movimento
diretto
a
nuovi
obiettivi.
Iniziò
così
un
autunno
che
non
fu
particolarmente
favorevole
ai
piani
di
Mussolini,
il
quale,
preso
da
delirio
di
onnipotenza,
ritenne
opportuno,
in
un
momento
di
stasi
nel
fronte
africano,
di
dare
il
via
all’invasione
della
Grecia,
obiettivo
che
non
aveva
alcuna
finalità
strategica
o
politica
se
non
quella
di
accrescere
il
prestigio
personale
del
Duce.
L’effimero
progetto
italiano
si
scontrò
subito
con
la
tenace
resistenza
dei
greci
che
cacciarono
rapidamente
dal
suolo
greco
gli
italiani,
costretti
a
difendersi
sul
territorio
albanese
dagli
stessi
occupato.
A
questa
disfatta
si
aggiunse
il
12
novembre
del
1940
la
distruzione,
da
parte
della
portaerei
britannica
Illustrious,
di
circa
la
metà
della
squadra
navale
italiana,
in
rada
nel
porto
di
Taranto:
terminava
così
la
superiorità
navale
italiana
nel
Mediterraneo.
Nel
fronte
africano
le
cose
non
andavano
meglio:
gli
italiani,
nonostante
il
tempo
a
disposizione,
non
riuscirono
a
organizzare
un’adeguata
linea
difensiva
per
contrastare
i
mezzi
corazzati
britannici.
Il
6
dicembre
il
generale
O’Connor
lanciò
l’Operazione
Compass,
con
la
quale
in
pochi
giorni
le
truppe
britanniche
ripresero
Sidi
El
Barrani
fino
ad
occupare
il
21
gennaio
del
1941
lo
strategico
porto
libico
di
Tobruk,
la
cui
agevole
conquista
fu
molto
più
di
quanto
era
logico
aspettarsi
dall’esiguo
esercito
britannico.
Il
generale
Graziani
decise
di
ritirarsi,
soverchiato
dalla
superiorità
organizzativa
e
logistica
nemica,
ben
rappresentata
non
solo
dai
mezzi
corazzati,
ma
anche
dalle
ingenti
scorte
alimentari
e
dalla
quantità
dei
rifornimenti
di
benzina:
il
31
gennaio
le
truppe
italiane
abbandonavano
la
regione
orientale
libica
della
Cirenaica
nelle
mani
degli
inglesi.
Qualche
giorno
prima,
il
19
gennaio,
Mussolini
incontrò
Hitler
nella
residenza
di
montagna
di
Berghof
e
questa
volta,
durante
l’analisi
dell’operazione
nel
Mediterraneo,
il
Duce
non
poté
rifiutare
l’umiliante
offerta
di
aiuto
tedesco
all’esercito
italiano
che,
nonostante
il
valore
dei
reparti,
stava
subendo
sconfitte
su
tutti
i
fronti.
Quest’accordo,
che
prevedeva
anche
lo
stazionamento
di
truppe
tedesche
sul
territorio
italiano,
stabiliva
l’invio
di
un
contingente
tedesco,
il
famoso
Afrika
Korps,
al
comando
del
generale
Erwin
Rommel:
Mussolini
doveva
definitivamente
abbandonare
l’ambizioso
progetto
di
una
guerra
parallela
italiana
e
legava
definitivamente
il
suo
destino
e
quello
dell’Italia
alla
Germania
nazista.
Il
generale
Rommel,
già
il
4
marzo,
attuò
il
piano
di
riconquista
della
Cirenaica
e
dopo
aver
raggiunto
Bengasi,
convinto
assertore
della
valenza
della
velocità
di
movimento
nel
campo
di
battaglia,
si
mise
all’inseguimento
del
nemico
in
ritirata.
Rommel,
che
nel
frattempo
si
guadagnò
il
soprannome
di
Volpe
del
Deserto
per
la
sagacia
dimostrata
in
battaglia,
in
un
mese
circa,
riuscì
a
occupare
gran
parte
della
Cirenaica,
senza
però
riconquistare
lo
strategico
porto
di
Tobruk
che
rimase
saldamente
in
mano
agli
inglesi.
La
linea
di
rifornimento
italo-tedesca
si
era
allungata
e
l’unica
via
di
approvvigionamento,
il
mare,
era
controllato
dalla
marina
inglese
che
dall’isola
di
Malta
faceva
partire
gli
attacchi
ai
convogli
italiani.
La
situazione
peggiorò
nel
momento
in
cui
gli
inglesi,
appoggiati
da
una
buona
linea
logistica,
decisero
un’offensiva
che
permise
loro
di
penetrare
per
circa
50
km
attraverso
le
linee
italo-tedesche.
Ancora
una
volta
però
le
sorti
della
guerra
africana
non
erano
segnate:
la
Volpe
del
deserto,
dopo
una
ritirata
strategica,
il
21
gennaio
del
1942
lanciò
una
nuova
offensiva
che
permise
di
riconquistare
gran
parte
dei
territori
persi
in
precedenza.
Rommel,
eludendo
più
di
una
volta,
con
i
suoi
imprevedibili
piani,
i
servizi
di
spionaggio
inglesi
che
contavano
con
la
decrittazione
dei
dispacci
tedeschi
inviati
attraverso
la
nota
macchina
Enigma,
in
poco
tempo
e
con
esigue
perdite
giunse
a
Bengasi
dove
riuscì
a
recuperare
dal
nemico
mezzi
e
viveri
in
abbondanza.
L’offensiva
dell’Armata
Corazzata
italo-tedesca,
che
poteva
contare
su 5
Divisioni
di
fanteria
italiane,
2
Divisioni
motorizzate,
una
italiana
e
una
tedesca,
3
Divisioni
corazzate
di
cui
una
italiana
e
due
tedesche,
si
protrasse
tra
vicende
altalenanti
fino
alla
fine
di
giugno
quando
le
truppe
di
Rommel
giunsero
nei
pressi
del
presidio
difensivo
britannico
di
el
Alamein,
tra
il
Golfo
degli
Arabi
e la
depressione
di
al
Qattara.
Durante
l’offensiva
le
truppe
italo-tedesche
riuscirono
a
riconquistare
Tobruk.
L’ossessione
di
riconquistare
Tobruk
aveva
animato
Rommel
a
riorganizzare,
nel
corso
di
quella
offensiva,
le
proprie
truppe
in
vista
di
un’azione
militare
decisiva
contro
lo
strategico
porto
libico,
nonostante
i
dubbi
dei
generali
italiani
e
dello
stesso
feldmaresciallo
Kesserling,
comandante
generale
delle
truppe
tedesche
dello
scacchiere
sud:
questi
ultimi
ritenevano
prioritario
procedere
all’occupazione
di
Malta,
presidio
inglese
che
tanti
danni
aveva
provocato
alle
forze
italiane
e
che
si
era
dimostrato
una
spina
nel
fianco
per
i
rifornimenti
alle
truppe
di
Rommel.
Il
forte
ascendente
della
Volpe
del
deserto
sul
Fürher
permise
l’attuazione
in
via
prioritaria
dei
piani
d’attacco
su
Tobruk
piuttosto
che
su
Malta.
Rommel
contò
così
sull’impiego
di
nuovi
reparti,
mezzi
e
aerei
in
principio
destinati
all’operazione
contro
Malta.
Successivamente
si
constatò
che
i
gravi
errori
strategici
di
rinviare
sine
die
l’operazione
di
distruzione
del
potenziale
bellico
maltese
e di
proseguire
il
tentativo
di
occupare
l’Egitto
attraverso
una
massiccia
operazione
terrestre,
condizionò
pesantemente
il
buon
esito
della
strategia
di
Rommel,
che,
nel
frattempo,
con
la
presa
di
Tobruk
il
21
giugno
del
1942,
si
godeva
i
frutti
del
successo
tattico
con
la
promozione
a
Feldmaresciallo.
L’euforia
per
il
successo
di
Tobruk
e
l’enorme
bottino
recuperato
durante
questa
battaglia,
composto
da
mezzi,
armi,
munizioni,
viveri
e
soprattutto
carburanti,
spinse
Rommel
a
proseguire
l’avanzata
fino
a el
Alamein,
dove
però
lo
slancio
bellico
dell’esercito
italo-tedesco
arrivò
quasi
allo
stremo.
Quella
che
comunemente
viene
chiamata
battaglia
di
el
Alamein
in
realtà
fu
un
evento
bellico
che
durò
dal
30
giugno
al 4
novembre
del
1942
suddiviso
in
tre
fasi
nelle
quali
furono
lanciate
offensive
e
controffensive
da
entrambi
gli
schieramenti.
Dall’esito
dei
tre
giorni
di
combattimento
della
prima
battaglia,
Rommel
capì
che
l’armata
britannica
si
era
riorganizzata
ed
era
decisa
a
resistere
tenacemente
contrattaccando
a
più
riprese.
I
comandanti
di
entrambi
gli
schieramenti
erano
consapevoli
della
necessità
di
riorganizzare
le
proprie
truppe,
sfinite
da
un
mese
di
combattimenti
dall’esito
incerto.
Le
truppe
italo-tedesche
avevano
maggiori
difficoltà
nell’approvvigionamento:
l’unica
via
utile
per
i
rifornimenti
alle
truppe
dell’Asse
era
costituita
dalla
Via
Balbia,
direttrice
Tripoli-Bengasi-Tobruk,
fatta
costruire
dal
defunto
governatore
della
Libia
Italo
Balbo.
Le
roccaforti
italiane
in
Libia
lontane
centinaia
se
non
migliaia
di
chilometri
dal
fronte
dovevano
essere
a
loro
volta
rifornite
dall’Italia,
ma a
quel
punto
si
dovette
constatare
il
grave
errore
di
aver
abbandonato
il
piano
di
occupazione
della
base
navale
inglese
di
Malta.
Infatti,
nonostante
gli
attacchi
aerei
dell’Asse
avessero
decimato
mesi
prima
la
potenza
navale
ed
aerea
maltese,
gli
inglesi
con
il
rinnovato
potenziamento
delle
forze
aeree
sull’isola
e
unitamente
alle
forze
navali
di
stanza
ad
Alessandria,
riuscirono
a
costituire
un’efficace
rete
di
interdizione
aereo-navale
che
ostacolò
pesantemente
la
linea
logistica
marittima
tra
l’Italia
e la
Libia,
infliggendo
gravi
perdite
con
l’affondamento
delle
navi
di
rifornimento
italiane.
I
numeri
rendono
l’idea
della
gravità
della
perdita
di
materiale
logistico
di
rifornimento:
tra
la
fine
del
1941
e la
fine
del
1942,
nella
cosiddetta
battaglia
dei
convogli,
vennero
perse
43
unità
navali
da
guerra
e
268
navi
mercantili
oltre
a
270
velivoli
nel
solo
1942.
Sul
piano
logistico
ebbero
la
meglio
gli
inglesi
che,
contando
sull’appoggio
degli
Stati
Uniti,
scaricarono
in
Egitto,
attraverso
il
Golfo
di
Suez,
ingenti
quantità
di
viveri,
aerei,
carri
armati
e
semoventi
più
moderni
e
potenti
di
quelli
italiani
e
tedeschi.
Nel
frattempo
nel
mese
di
agosto
Churchill,
nel
tentativo
di
dare
una
scossa
alla
situazione,
nominava
al
posto
di
Auchinleck
il
generale
Alexander
comandante
delle
truppe
in
Oriente
e il
generale
Bernard
Montgomery
comandante
dell’VIII
armata.
L’armata
italo-tedesca
invece
era
stata
rinforzata
da
due
unità
tedesche,
la
164
Divisione
fanteria
e la
brigata
paracadutisti
Ramke,
e da
una
divisione
italiana
di
recente
costituzione:
si
trattava
della
Divisione
paracadutisti
Folgore.
A
fine
agosto,
dopo
aver
ripianato
gli
organici
e
nonostante
uno
scarso
rifornimento
di
carburante
e
munizioni,
la
Volpe
del
deserto
decise
di
attaccare
una
seconda
volta
una
rivitalizzata
VIII
armata.
Il
1
settembre
fu
il
giorno
più
critico
per
le
truppe
italo-tedesche
perché,
a
causa
del
rallentamento
delle
operazioni
di
sminamento
e
della
penuria
di
carburante,
dovettero
arrestarsi
e
subire
di
conseguenza
un
forte
attacco
dei
cacciabombardieri
e
delle
artiglierie
inglesi.
Rommel
fu
costretto
a
ordinare
il
ripiegamento
sulle
posizioni
di
partenza
con
un
forte
bilancio
di
perdite
italiane
e
tedesche:
quasi
2500
furono
gli
uomini
fuori
combattimento
tra
caduti,
feriti
e
dispersi.
Ancora
una
volta
la
Volpe
del
deserto
dovette
constatare
la
forte
reazione
degli
inglesi
che
oltre
al
consueto
dispositivo
militare
potevano
contare
su
un’arma,
più
efficiente
di
qualsiasi
arma
da
fuoco,
che
si
sarebbe
rivelata
determinante
nel
corso
del
conflitto
mondiale.
Infatti,
i
movimenti
delle
truppe
italo-tedesche,
non
solo
nello
scacchiere
africano,
ma
in
tutti
gli
scenari
della
seconda
guerra
mondiale,
non
potevano
contare
sul
fattore
sorpresa
perché
i
piani
tedeschi
venivano
scoperti
in
anticipo
dagli
inglesi,
grazie
alla
decrittazione
dei
messaggi
inviati
dai
tedeschi
con
la
macchina
Enigma.
Lo
stesso
Rommel
non
dubitò
mai
dell’efficienza
del
congegno
Enigma,
attribuendo
qualsiasi
falla
riscontrabile
nell’apparato
spionistico
tedesco
all’inaffidabilità
italiana.
La
battaglia
di
Alam
el
Halfa
fu
l’ultima
massiccia
offensiva
italo-tedesca;
da
quel
momento
l’iniziativa
passava
nelle
mani
del
generale
Montgomery,
che
preferì
una
tattica
attendista.
Prima
di
lanciare
una
nuova
offensiva
il
generale
britannico
potenziò
la
propria
armata
con
nuovi
approvvigionamenti.
Rommel,
invece,
constatata
l’impossibilità
di
riportare
la
propria
armata
a
livelli
offensivi
accettabili,
non
poteva
che
predisporre
una
solida
difesa
fortificando
le
postazioni,
estendendo
i
campi
minati
e
rafforzando
il
più
possibile
le
file
dei
reparti
con
forze
di
complemento.
L’offensiva
inglese
iniziò
il
23
ottobre
del
1942
quando
Rommel
era
rientrato
in
Europa
per
un
periodo
di
licenza
necessario
a
ristabilirsi
dalla
malattia
che
lo
aveva
colpito
nel
mese
di
agosto.
Nei
giorni
successivi
gli
inglesi,
che
superarono
le
linee
di
sicurezza
nemiche
solo
in
alcuni
punti,
non
riuscirono
a
penetrare
le
difese
nemiche,
incontrando
una
forte
resistenza
soprattutto
a
sud
del
fronte
dove
si
schierò
la
divisione
Folgore
che
contrastò
eroicamente
le
forze
nemiche
numericamente
superiori.
Il
28
ottobre
Rommel,
convinto
che
le
unità
italo-tedesche
non
erano
in
grado
di
sostenere
l’impatto
delle
forze
avversarie,
tentò
un
ripiegamento
verso
posizioni
più
arretrate,
ma
l’incessante
pressione
avversaria
e il
perentorio
ordine
del
Führer
di
resistere
fino
alla
vittoria
o
all’estrema
conseguenza,
la
morte,
costrinsero
il
maresciallo
tedesco
a
disporre
l’interruzione
della
ritirata.
Dopo
otto
giorni
di
furiosi
combattimenti
in
cui
la
difesa
italo-tedesca,
falcidiata
dal
nemico,
continuò
a
resistere
strenuamente,
il
1
novembre
Montgomery
lanciò
l’attacco
decisivo,
la
denominata
operazione
Super
charge,
con
tutta
la
potenza
di
fuoco
disponibile.
L’operazione
prevedeva
l’occupazione
di
una
collina
dietro
le
truppe
di
Rommel
e lo
sfondamento
del
fronte
in
modo
da
penetrare
nelle
retrovie
nemiche
e
provocare
il
collasso
delle
unità
italo-tedesche.
Le
forze
inglesi
ormai
erano
preponderanti
e
l’azione
delle
truppe
dell’Asse
era
mossa
solo
dall’orgoglio
e la
caparbietà
di
resistere.
Dopo
dodici
giorni
di
battaglia
la
sera
del
4
novembre
il
corpo
d’armata
corazzato
italiano
fu
annientato.
Nei
mesi
successivi
l’VIII
armata
inglese
continuò
nell’inseguimento
del
nemico
in
ritirata,
arrivando
a
conquistare
Tripoli
il
23
gennaio
del
1943:
il 5
febbraio
furono
disciolte
le
ultime
truppe
libiche
rimaste
fedeli
agli
italiani
e
venne
soppresso
il
Comando
supremo
italiano
in
Libia.
La
guerra
del
deserto
stava
mestamente
terminando
e
con
essa
il
sogno
italiano
della
Quarta
sponda
(Cuarta
Orilla)
svaniva
definitivamente.
Cominciava
la
battaglia
per
la
Tunisia
che
avrebbe
decretato
la
fine
e lo
scioglimento
di
ciò
che
era
rimasto
della
Panzerarmee
in
Africa
(Afrika
Korps).
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