N. 15 - Marzo 2009
(XLVI)
il
cammino di santiago
La Guida del
pellegrino
di Ilaria Sabbatini
Ad limina Sancti Jacobi
è l'espressione che definisce il viaggio presso una
delle principali mete di pellegrinaggio della
cristianità. E poiché gli orizzonti geografici
dell'epoca erano molto diversi dagli attuali, per
giungere a Santiago occorreva letteralmente andare "in
capo al mondo" ossia raggiungere gli estremi confini del
mondo conosciuto.
Si trattava di percorrere
le zone di confine con il mondo musulmano, incontrare
popolazioni non sempre ospitali e rischiare di
imbattersi in ladri, truffatori o assassini. Senza
contare le difficoltà materiali: guadare fiumi,
attraversare zone impervie e finanche superare i
Pirenei. Per questo motivo la scelta dell'itinerario
aveva grande importanza e poteva significare molto sia
sul piano della sicurezza che della durata. La
consuetudine e l'esperienza avevano permesso, sul finire
del secolo XI, di consolidare un itinerario, fermo
restando il fatto che – a parte le tappe consigliate per
motivi devozionali – è per noi quasi impossibile
ricostruire tutte le variazioni apportate al cammino
durante il viaggio.
Comunque, mano a mano che
la fama di Santiago richiamava sempre più pellegrini, la
strada veniva dotata di strutture materiali, sia di tipo
assistenziale che devozionale. In taluni punti, resi
particolarmente difficili dalle condizioni ambientali o
dalle contingenze sociali, la via era accudita da ordini
preposti a tale servizio. Questa strada equipaggiata
prendeva il nome di iter Sancti Jacobi ed era
segnalata dalla Guida del pellegrino di Santiago. La
cosiddetta Guida costituisce l'ultimo libro del Codex
Callistinus, un codice composito in cinque parti
dedicate a San Giacomo, al suo culto, alle sue orazioni
e al pellegrinaggio presso la sua sepoltura.
«Quatuor vie sunt que ad Sanctum Iacobum tendentes, in
unum ad Pontem Regine in horis Yspaniae coadunantur
[...]». L'incipit della guida ne definisce
immediatamente la natura e lo scopo, ossia descrivere
gli itinerari e tutto ciò che il pellegrino poteva
incontrare lungo la strada. Questo aspetto del libro è
un elemento specifico della letteratura dedicata al
pellegrinaggio compostelano.
La Guida rientra in quello
che può essere definito genere odeporico devozionale,
ossia una tipologia letteraria che tratta del viaggio a
scopo di culto. Ma rispetto ai testi di pellegrinaggio
gerosolimitani o romei, che si soffermano
particolarmente sulle descriptiones dei luoghi di culto,
qui prevale piuttosto la dimensione dell'itinerarium,
poiché è la strada e non già la meta a costituire
l'aspetto centrale dell'esperienza Quattro strade
dunque: la via tolosana che iniziava da Arlès presso il
cimitero di Alyscamps, la via podense che iniziava a
Notre-Dame du Puy, la via lemovicense che partiva da
Vezelay dove si venerava il corpo di Maria Maddalena, la
via turonense che partiva da Parigi. Le tappe dei vari
itinerari erano segnalate sulla Guida in base alla
percorrenza ma anche in funzione dei luoghi di culto che
i pellegrini dovevano visitare durante il viaggio. Si
trattava di luoghi che la venerazione delle reliquie
aveva reso celebri e che erano diventati punti di
riferimento per la devozione cristiana. Ovviamente non
sempre le reliquie erano autentiche, basti pensare ai
casi di santi di cui si conservavano diversi esemplari
delle stesse identiche parti del corpo.
Ma ciò che importava non
era tanto la veridicità dei trofei quanto il senso della
presenza fisica del santo. E in effetti la concretezza
del corpo ha un ruolo fondamentale quale cerniera tra
mondo materiale e mondo spirituale perché, come ben
compendia l'antropologo Favole, i resti erano legati a
triplice filo con il santo: come testimonianze della sua
vita, segni della sua presenza e garanzie della sua
futura resurrezione. La venerazione di quei resti era
tutt'altro che una sopravvivenza folclorica di usi
precristiani, bensì attingeva direttamente alla
tipologia di rapporto che il cristianesimo definiva tra
l'essere umano e la divinità. In un fenomeno cultuale
che poneva al centro del proprio interesse corpi
simbolici, era perfettamente coerente che ogni
manifestazione rimandasse a un significato altro,
allacciandosi alla modalità interpretativa che da sant'Agostino
in poi avrebbe sviluppato il tema delle due città (De
civitate Dei, XIV, 28).
Colui che si metteva in viaggio per raggiungere i luoghi
santi era accompagnato da due ordini di simboli: l'uno
riguardava l'abito e per così dire il corredo del
pellegrino, l'altro riguardava i riti di viaggio,
liturgici e paraliturgici. Per quel riguarda l'abito,
giacché era richiesto di fare vita da mendicanti,
consisteva in un abbigliamento piuttosto essenziale: non
era previsto che chi si poneva in cammino portasse con
sé bagagli di sorta se non poche cose essenziali. Questo
sia per necessità, dal momento che il cammino sarebbe
divenuto più faticoso, che per ottemperanza alla
raccomandazione evangelica: «et ait ad illos nihil
tuleritis in via neque virgam neque peram neque panem
neque pecuniam neque duas tunicas habeatis» (Lc. 9, 3).
Poiché pellegrini non si nasce ma lo si diventa era
stata elaborata una pratica liturgica che permetteva di
entrare nello stato riconosciuto di homo viator.
Fin dal secolo VIII la
Chiesa aveva elaborato alcune preghiere pro fratribus in
via dirigendis. Il sermone Veneranda Dies, riportato nel
primo libro del Codex Callistinus, è un esempio di ciò
che implicava la liturgia in questi casi: il nodo
centrale consisteva nella benedizione della bisaccia e
del bordone che erano il corredo essenziale del
pellegrino cui venivano attribuiti significati simbolici
ben precisi. La bisaccia era un sacchetto di pelle privo
di legacci e di piccole dimensioni. Questa
caratteristica, glossava il Veneranda Dies, stava a
simboleggiare che il pellegrino riponeva la sua fiducia
nel Signore, perciò portava con sé solo una piccola e
modica scorta. La pelle dell'animale morto alludeva alla
mortificazione dei vizi e delle concupiscenze nelle
privazioni che il viaggio comportava.
L'assenza di legacci
significava infine che il pellegrino era disposto a
condividere i propri averi con i fratelli, prima di
tutto con i poveri, ed era sempre pronto a dare come a
ricevere. Del resto era la chiesa stessa che stabiliva
che chi andava in pellegrinaggio dovesse assumere la
condizione di pauper, poiché il pellegrinaggio doveva
essere a vantaggio dell'anima e quindi supportato con
penitenze e sacrifici. Il sermone si occupava poi del
bordone, un bastone che accompagnava il pellegrino
durante il cammino. Il significato simbolico era quello
di fornire al viandante un aiuto che alludeva alla fede
nella Trinità capace di sostenere il cammino del
cristiano.
L'abito consisteva in una
veste ruvida all'insegna della mortificazione della
carne e il capo era protetto da un largo cappello cui
veniva appuntata la conchiglia in segno dell'avvenuto
pellegrinaggio. Una volta completati i riti della
partenza, che col tempo divennero sempre più elaborati
fino a prevedere una vestizione sul modello del costume
cavalleresco, ci si metteva in strada e si raggiungeva
uno dei capillari che costituivano la rete viaria. Le
quattro strade francesi di cui abbiamo parlato
convergevano su due punti di passaggio nei Pirenei: Cize
vicino a Roncevaux, che dava sostanza alla memoria dei
paladini di Carlo, e Somport dove l'ospizio di Sainte
Christine offriva rifugio ai viandanti. Riunendosi a
Ostabat convergevano su Cize le tre vie settentrionali,
mentre su Somport giungeva la via tolosana. Iniziava
qui, in terra spagnola, il cammino di Santiago.
Il Liber Sancti Jacobi giunse alla forma definitiva dopo
il 1150 a seguito di un'elaborazione durata alcuni
decenni. Facevano parte del progetto iniziale il primo e
il secondo libro, ovvero la parte che raccoglie i testi
liturgici e il racconto dei ventidue miracoli ottenuti
per intercessione del santo. L'intenzione iniziale era
quella di esaltare il culto di San Giacomo mentre se ne
divulgava la specifica liturgia. Il terzo libro,
aggiunto in seguito, aveva lo scopo di mostrare
l'antichità del culto insistendo sulla traslazione delle
reliquie e sul loro ritrovamento in Galizia. Il quarto
libro aveva la funzione di unire la figura di Carlo
Magno al santuario compostelano secondo un criterio di
reciproca legittimazione. Il quinto libro, l'ultimo ad
essere elaborato, rappresentava uno strumento utile a
chi volesse intraprendere il pellegrinaggio.
La datazione del Codex Callinistinus si può collocare
tra il 1139 e il 1173. Il terminus ante quem è stabilito
da una lettera che il benedettino Arnaldo del Monte, del
monastero di Ripoll, invia al proprio abata per
informarlo di aver completato il lavoro di copiatura
affidatogli. La lettera riporta la data del 1173, quindi
il codice era già esistente prima di quella data. Mentre
il terminus post quem si ricava dalla narrazione di un
miracolo del 1139 riportata dal codice che è stato
certamente composto dopo quella data. Circa
l'attribuzione del Liber Sancti Jacobi secondo un
documento apocrifo l'autore è un prete poitevino, Aimery
de Picaud.
Data la diversa
provenienza degli elementi raccolti nel codice, è oggi
prevalente la teoria che attribuisce al liber un'origine
composita: più che ad un autore si dovrebbe pensare ad
un ordinatore e coordinatore di testi di vari autori. Il
nome di Codex Callistinus deriva dal fatto che il
manoscritto si apre con una lettera apocrifa di papa
Callisto II il quale rivendica la paternità dell'opera.
L'autore della Guida
sembra avere un solo grande interesse: far riconoscere e
avallare il Liber Sancti Jacobi dall'autorità
ecclesiastica romana, conferendo ad essa carattere
ufficiale. Ora, benché la lettera prefatoria Liber
Sancti Jacobi sia apocrifa, essa testimonia la
realtà storica dell'interesse per Santiago di papa
Callisto il cui nome, di certo, è servito per dare
prestigio all’intera composizione.
Riferimenti
bibliografici:
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Histoire des pèlerinages chrétiens des origins à nos
jours, Paris, Hachette, 1995.
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Guida del pellegrino di Santiago. Libro V del Codex
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Compostela, 1995, pp. 423-430.
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strade, i santuari, Milano, Jaca Book, 1988 (tit.
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Idem, Vie di pellegrinaggio e santuari da Gerusalemme
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R. Stopani, Le vie di pellegrinaggio del Medioevo.
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J. Sumption, Monaci santuari e pellegrini, Roma,
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medieval religion, London, Faber & Faber, 1975)
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