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N. 31 - Luglio 2010 (LXII)

Il confine dell'eresia

il cammino neocatecumenale
di Lawrence M.F. Sudbury

 

È possibile che un movimento cristiano, nato tra e per i poveri su impulso dell’insegnamento del Concilio Vaticano II, cresciuto ammantato da un alone di ereticità rispetto al cattolicesimo ufficiale, possa trasformarsi in una sorta di “armata papale” e in un baluardo del conservatorismo tradizionalista?
 

Ebbene sì, è possibile, come dimostra la parabola del cosiddetto “cammino neocatecumenale”, l’associazione (o, secondo alcuni detrattori, la setta) nata in Spagna all’inizio degli anni ‘60 ad opera di un pittore e diffusasi, con la benedizione degli ultimi due Pontefici, in tutta Europa.

 

Per comprendere come un percorso così particolare sia stato possibile, è necessario andare ad esaminare le radici dei “neocatecumenali” fin dalla loro fondazione.

 

Come per moltissimi altri movimenti interni alla Chiesa, la nascita dell’esperienza neocatecumenale di confonde con l’esperienza di fede di un uomo solo, “punto 0” da cui il “cammino” è sorto.

 

Tale uomo, per altro ancora saldamente al vertice dell’organigramma neocatecumenale, risponde al nome di Kiko Argüello e, certamente, a lungo sarebbe potuto apparire il personaggio meno probabile per fungere da strumento per l’insorgenza di un gruppo cristiano.
 

Francisco José Gómez Argüello Wirtz era, alla fine degli anni ‘50, un giovanissimo pittore bohémien già di buona fama (laureato all’Accademia San Ferdinando di Madrid, a soli vent’anni, nel 1959, viene insignito del Premio Nazionale Straordinario di Pittura), completamente ateo e molto vicino, com’era di moda negli ambienti artistici del tempo, al pensiero esistenzialista di Sartre.

 

Nel 1960, per puro interesse artistico, fonda, con lo scultore Francisco Coomontes ed il maestro vetraio Carlos Muñoz de Pablos, un gruppo di ricerca sull’arte sacra denominato “Gremio 62”: l’obiettivo del gruppo è analizzare i rapporti tra arte sacra protestante e arte sacra cattolica e, in pieno fermento conciliare, “Kiko” ottiene una borsa di studio per viaggiare in Europa e portare avanti le sue ricerche.
 

È in questo periodo che comincia ad interessarsi alla spiritualità legata al pensiero di Henri Bergson, ma la vera svolta della sua vita avviene entrando in contatto con le esperienze di rinnovamento liturgico variamente presenti in altri Paesi e, soprattutto, studiando e interiorizzando il pensiero di Charles de Foucauld.
 

Il risultato di questi “incontri” è una profondissima crisi morale e psicologica che porta. nel 1964, il pittore e ricercatore ateo di un tempo a rigettare tutti i suoi convincimenti precedenti e persino la sua professione, per ritirarsi a vivere nella baraccopoli di Palomeras Altas, alla periferia di Madrid, una delle zone più degradate della città, abitata quasi unicamente da gitani, tossicodipendenti e sbandati di vario genere.

 

È in questo contesto di emarginazione che Kiko sente il bisogno (dopo aver avuto, secondo quanto da lui stesso affermato, una visione mariana) di iniziare un’opera di evangelizzazione che sia allo stesso tempo consolatoria e di incitamento per un cambio radicale della vita degli evangelizzati. In quest’ottica, dunque, dà vita ai primi “Cursillos de Cristianidad”, incontri con piccoli gruppi di persone a cui viene presentata una visione del Cristianesimo fortemente comunitaria.

 

È a Palomeras Altas che Kiko fa la conoscenza, tramite un’associazione per il reinserimento delle prostitute, dell’altra grande “colonna” di quella che diventerà l’esperienza neocatecumenale: Carmen Hernández, laureata in chimica, licenziata in teologia, missionaria laica vicina alle Carmelitane Scalze, che aveva deciso, sull’onda degli insegnamenti del Vaticano II, di svolgere la propria missione apostolica tra i poveri delle realtà urbane.

 

Dal loro incontro nasce, tra 1964 e 1967, quella “sintesi kerigmatico-catechetica” ispirata al dettato conciliare e fondata su riscoperta della Parola di Dio, interiorizzazione del senso delle liturgie sacramentali ed esperienza comunitaria che sarà poi il fondamento ultimo del “neocatecumenato”.
 

A poco a poco l’eco dell’opera di Kiko e Carmen, come vengono normalmente familiarmente chiamati dai neocatecumeni, superò gli angusti confini di Palomeras Altas, per giungere all’orecchio di Monsignor Casimiro Morcillo, Arcivescovo di Madrid, il quale, entusiasmato dai risultati di “kenosis” (cambiamento radicale dell’esistenza del singolo ad opera dell’azione dello Spirito Santo) ottenuti nella baraccopoli, chiese ai due giovani missionari laici di estendere la loro predicazione in alcune parrocchie madrilene e di Zamora.

 

Qui, però, Kiko e Carmen si resero conto che il risultato dei loro interventi era radicalmente differente: le loro conferenze venivano vissute dalle famiglie borghesi più come occasioni di crescita intellettuale che come momenti per una reale conversione ed è dalla presa di coscienza di questo “fallimento” che i due iniziarono ad elaborare il percorso di riscoperta del Battesimo (il “neo-catecumenato post-battesimale”) orientato alla preparazione spirituale degli adulti, che, successivamente, diventerà il “Cammino” vero e proprio.
 

La grande svolta di espansione del loro messaggio avviene, comunque, nel 1968, quando, su invito di Monsignor Torreggiani, fondatore dei Servi della Chiesa, e con una lettera di presentazione di Monsignor Morcillo per il Vicario di Papa Paolo VI, Cardinal Dell’Acqua, Kiko e Carmen si spostano a Roma, stabilendosi nelle baracche di Borghetto Latino e dando vita ad una predicazione che dal quartiere Nomentano si allargherà a tutta la città, poi a tutte le Diocesi italiane e nel mondo.

 

Di fronte alla insperata diffusione del loro messaggio, i due missionari laici, ora affiancati dall’allora Padre comboniano Don Mario Pezzi (oggi incardinato nella Diocesi di Roma), iniziarono a porsi il problema di sviluppare e formalizzare l’identità delle numerose comunità che si andavano formando nelle Parrocchie di tutta Europa e, nell’aprile 1970, a Majadahonda (Madrid), definirono i fondamenti del Cammino neocatecumenale come movimento organizzato e con una precisa struttura territoriale.

 

Prendendo spunto dalla Costituzione apostolica del Concilio Vaticano II Sacrosanctum Concilium sul catecumenato degli adulti, si decise, allora, di istituire un itinerario comunitario (nell’ideale della Sacra Famiglia di Nazareth) ispirato alle antiche forme di iniziazione catecumenale (con tappe come gli Scrutini battesimali, l’Iniziazione alla preghiera, la Traditio Symboli, la Redditio, ecc.), che prendesse il via con un ciclo di catechesi di quattordici incontri in due mesi, in preparazione al Kerigma, cioè l’annuncio della Resurrezione di Cristo per il riscatto dell’umanità. Dopo questo primo gradino, qualora possibile in base al numero dei partecipanti, si doveva procedere alla creazione di una nuova comunità, intesa come Chiesa - Corpo Mistico di Cristo, in cui i Neocatecumeni dovevano, sulla base del “Tripode” (Parola di Dio, Liturgia e Comunione fraterna) divenire “sacramento salvifico” all’interno della Parrocchia che li ospitava (e sempre in comunione con il Parroco) con il loro esempio di nuovo modo di vivere il Vangelo (che, comunque, non doveva rigettare nulla del passato ecclesiastico).

 

In sostanza, l’intero “cammino”, dal punto di vista spirituale, si sviluppa in tre momenti di “kenosis”, cioè abbandono dalle certezze precedenti e riscoperta del senso della Cristianità: il “Primo Passaggio” che consiste nella meditazione sul Mistero della Croce e nell’individuazione degli aspetti angoscianti della propria esistenza, la “Shemà” che si concretizza nella meditazione delle Scritture come pietra di paragone per la propria vita e il “Secondo Passaggio” in cui si ha l’abbandono dei propri idoli personali e l’abbandono in Cristo.

 

In tutto il cammino, le armi di cui la Chiesa - Comunione dei Santi progressivamente dota il Neocatecumeno sono l’iniziazione alla preghiera (simbolicamente rappresentata dalla consegna della Liturgia delle Ore), la “traditio Symboli” (con la consegna del Credo) e la “redditio Symboli” (la recita pubblica del Credo) e l’abbandono a Dio (con la consegna del Padre Nostro). Al termine del processo kenotico, si apre la riscoperta dell’”elezione”, in cui i Neocatecumeni sono chiamati a “camminare nella lode” e, infine, il rinnovo delle promesse battesimali davanti al Vescovo.
 

Ogni comunità non possiede beni in proprio ma provvede alle proprie necessità organizzative tramite collette il cui ricavato in eccesso rispetto ai bisogni viene inviato alla Fondazione del Cammino Neocatecumenale di cui è Presidente è il Cardinale Camillo Ruini.

 

Tutte le comunità fanno capo ad una “équipe responsabile internazionale del Cammino neocatecumenale”, composta da Kiko Argüello, Carmen Hernández e Padre Pezzi, che, a sua volta, nomina un collegio elettivo (di circa un centinaio di membri nominati a vita).

 

Sempre dalla “ équipe internazionale” dipendo i “catechisti itineranti”, incaricati di formare le prime comunità nelle varie aree del mondo (sempre su invito del Vescovo locale e di almeno un Parroco), di mantenerne i contatti con i “vertici” del Cammino e di sorvegliarne la crescita.
 

Tali catechisti itineranti operano sempre in gruppi composti da un presbitero, da una coppia e da un celibe (oppure, se non si dispone di una coppia, da) un celibe e una nubile e sono tutti volontari che hanno scelto liberamente (e per un tempo a loro scelta) di abbandonare tutto e di affidarsi alla Provvidenza per diffondere il Cammino in zone che, di norma, vengono sorteggiate casualmente.

 

La naturale evoluzione di questo sistema di evangelizzazione è stato, a partire dagli anni ‘80, l’esperienza delle “Famiglie in missione”, nuclei famigliari che volontariamente si offrono di dedicarsi, con il sostegno morale e materiale della loro comunità di provenienza, alla “Implantatio Ecclesiae” in aree di forte secolarizzazione o di recente cristianizzazione (dal nord Europa nel primo caso, all’Africa e al Medioriente nel secondo), con l’aiuto di Sacerdoti formati sia nei Seminari diocesani che in quelli nel frattempo aperti dal Cammino in numerose località (ad oggi sono 72) e dedicati alla “Redemptoris Mater” (e, comunque, di appartenenza delle Diocesi di competenza territoriale).

 

Su queste basi, il minimo che si possa dire è che il Cammino si presenta come una Istituzione a dir poco meritoria, nata da e per il popolo cristiano. In effetti, tra l’altro, la sua strutturazione appare per molti versi simile a quelle delle Comunità Cristiane di Base e, conseguentemente, potrebbe apparire addirittura una esperienza progressista, nata com’è dal laicato sulla base delle indicazioni del Concilio.

 

Di fatto, però, le cose non stanno esattamente così.

 

Per quanto riguarda un giudizio complessivo sul movimento, i pareri all’interno della Chiesa sono stati da subito molto discordi.
 

Da un lato, infatti, fin dalla nota Preclarum Exemplar del 1974 dell’allora Segretario della Congregazione del Culto Divino (che aveva appena terminato una investigazione sul Cammino) il Vaticano ha sempre lodato l’esempio neocatecumenale.

 

Tale apprezzamento è stato ribadito, quello stesso anno, da Papa Paolo VI e, in seguito, molte volte da Papa Giovanni Paolo II, il quale ne ha elogiato il Carisma, l’itinerario spirituale e l’opera evangelizzatrice. Insomma, il Cammino neocatecumenale è una realtà ecclesiale pienamente riconosciuta dalla Chiesa cattolica e in piena comunione con il suo Magistero.

 

Nonostante ciò, molte sono state anche le voci dissenzienti nei suoi confronti.
 

I punti più controversi riguardano tre aspetti fondamentali:

- la “creatività” liturgica dei Neocatecumenali;

- un certo deviazionismo teologico di sapore para-luterano;

- un fortissimo settarismo di fondo.

 

Analizziamo brevemente i primi due “nuclei problematici”, prima di sviluppare un ragionamento sul terzo.

 

La “creatività liturgica”, in fondo, è il grande retaggio del Vaticano II, sebbene appare piuttosto evidente che Kiko e Carmen si siano spinti un po’ oltre: lo spostamento della Messa al sabato sera può anche essere accettabile (in fondo anche nel “Cattolicesimo ufficiale” la “Funzione vespertina” del sabato ha validità precettuale), ma meno accettabili sono, alla luce proprio di quella Traditio Fidei che i Neocatacumenali sostengono di voler riscoprire, ritualità che prevedono un “dialogo” tra Celebrante e laici presenti, con monizioni laicali a volte addirittura preponderanti rispetto all’omelia del Presbitero (e, ancora una volta, se non fosse per la formalizzazione dell’atto e per l’uso smodato dell’elemento dialogico, saremmo ancora nella canonicità conciliare), la riformulazione dell’intero Messale e soprattutto la trasformazione della Celebrazione Eucaristica in una sorta di agape fraterna, in cui i fedeli siedono intorno all’altare e ricevono la Comunione sotto le due specie (cosa anche questa prevista dalla riforma conciliare) con pane azzimo e da seduti.

 

Ovviamente, aldilà del fatto che, di per sé, dietro ogni atto rituale risieda una motivazione teologica profonda e che, conseguentemente, ogni variazione dovrebbe essere motivata da motivazioni altrettanto profonde, potremmo parlare di questioni principalmente formali, che non alterano la profonda cattolicità dell’assunto neocatecumenale.

 

Ben più grave è l’aspetto riguardante le alterazioni dogmatiche rinvenibili nei ponderosi (e spesso segretissimi e riservati ai soli “catechisti”) Catechismi neocatecumenali, alterazioni contro cui si sono scagliati numerosi teologi ed ecclesiastici, ravvisandovi una grave deriva protestante in elementi quali:

- la impossibilità umana di evitare il peccato;

- la Salvezza possibile solo come atto di Grazia divina gratuitamente concessa (“sola Gratia”?) a chi ha Fede e si riconcilia per mezzo del Battesimo (“sola Fide”?);

- il Sacerdozio laicale completamente equiparato al Sacerdozio presbiteriale;

- l’auto-evidenza scritturale e la capacità interpretativa donata ad ogni essere umano in egual misura, anche senza bisogno di preparazione specifica (“sola Scriptura?);

- la negazione della Transustanziazione, sostituita da una visione della Comunione come atto simbolico;

- la Chiesa interpretata in senso non gerarchico e normativo ma unicamente carismatico;

- lo svilimento della figura presbiteriale, a volte addirittura vista come portavoce di una Chiesa Petrina, strettamente formalistica e statica (almeno nel periodo tra Costantino e il Concilio Vaticano II) in contrapposizione con la figura laicale del “catechista”, portavoce di una Chiesa Giovannea e mistico-spirituale.

 

In qualche modo, anche questa deriva può essere vista come un frutto deteriore di una interpretazione distorta di alcune indicazioni conciliari, lette grossolanamente e forse senza l’adeguata preparazione storico-filosofica.

 

Certamente così devono averla interpretata i molti alti Prelati che si sono opposti fermamente allo sviluppo del Cammino nelle loro Diocesi, dal Cardinal Piovanelli a Firenze al Cardinal Pappalardo a Palermo, dal Cardinal Hume a Westminster a Monsignor Alexander a Clifton.

 

Eppure... Eppure, ciò non ha impedito agli Statuti Neocatecumenali di essere approvati dalla Santa Sede.
 

Certo, il cammino è stato lungo: è cominciato il 29 giugno 2002, quando lo Statuto del Cammino neocatecumenale è stato approvato “ad experimentum” dal Pontificio Consiglio per i Laici, naturalmente dietro beneplacito di Papa Giovanni Paolo II (che espresse chiaramente il suo favore il 21 settembre 2002, quando ricevette in udienza a Castel Gandolfo Kiko e Carmen) e si è concluso con il Decreto di approvazione definitiva consegnanto dal Cardinal Rylko ai fondatori solo l’11 maggio 2008, dopo che erano ampiamente trascorsi i cinque anni canonici e, soprattutto, dopo che alcune “storture” erano state corrette.

 

In effetti, però, tali “storture” erano soprattutto quelle relative alle questioni liturgiche: già il 1 dicembre 2005 il Cardinal Arinze, Prefetto della Congregazione per il Culto Divino, aveva richiamato i Neocatecumenali per lettera, a nome del papa, a un’osservanza fedele delle regole liturgiche e tale esortazione era stata ribadita direttamente da Papa Benedetto XVI il 12 gennaio 2006 e il 22 febbraio 2007 (quando, in un’udienza al clero di Roma, il Papa aveva fatto capire che i nuovi Statuti non sarebbero stati approvati se il movimento non avesse obbedito ai richiami).
 

Alla fine, comunque, le pressioni hanno avuto effetto e il nuovo Statuto obbliga i Neocatecumenali a celebrare la Messa seguendo il Rito Romano (con la sola concessione del segno della pace scambiato prima dell’offertorio come già nel Rito Ambrosiano), con la Comunione ricevuta in piedi, l’omelia non sostituibile da interventi di laici e la funzione aperta a tutti.
 

Quest’ultimo elemento, questa volontà a lungo espressa dai Neocatecumenali di svolgere i propri Riti eucaristici in forma privata, ci introduce nel terzo grande nucleo di accuse che, nel tempo, hanno colpito i Neocatecumenali, quello relativo al loro settarismo.
 

E che ampi tratti di settarismo esistano è indubitabile: basti pensare alla segretezza che avvolge i catechismi interni, all’impegno di mutuo soccorso tra gli aderenti al movimento, ad un certo livello di culto della personalità tributato (molto probabilmente contro il loro stesso volere) a Kiko e Carmen, al notevole clima di esclusivismo che porta i Neocatecumenali a vedere se stessi come gli unici veri Cristiani, con un certo discredito per l’altrui religiosità, ad alcune pratiche psicologicamente problematiche a cui gli aderenti al gruppo finiscono per sottoporsi più o meno volontariamente (da molte parti, anche sulla base delle testimonianze di alcuni fuoriusciti, si è notato un notevole stato di soggezione psicologica del singolo al gruppo e un isolamento a cui chi decide di uscire dal Neocatecumenato viene sottoposto dalla comunità), quali l’abbandono dei beni materiali più cari durante la “Shemà” (tali beni, raccolti come rifiuti in un sacco nero durante il rito di “abbandono di Mammona, confluiscono poi nelle casse del Movimento, che, non a caso, dispone di notevoli possibilità finanziarie non sottoposte ad alcun controllo), la confessione pubblica dei propri peccati più gravi, la spiccata endogamia nei gruppi (spesso spinta, più o meno consapevolmente, dagli altri membri, in una classica dinamica di “noi e gli altri”) o la scelta da parte delle coppie sposate di non utilizzare neppure i metodi contraccettivi approvati dalla Chiesa per non limitare in alcun modo i “doni di Dio”, con il risultato di famiglie che arrivano ad avere dieci figli in dieci anni.
 

Eppure...

 

Eppure proprio queste regole così rigide, da setta estrema, sono la chiave di volta del successo neocatecumenali in tutti i sensi.
 

Dal punto di vista sociale, la domanda che dobbiamo porci è: perché in un periodo di estrema laicizzazione dei costumi il Cammino è riuscito a formare qualcosa come 35.000 comunità in tutti i continenti?

 

Quasi paradossalmente la risposta sta proprio nell’estrema durezza delle regole imposte ai fedeli: in fondo, quello che più piace del Cammino, che ne costituisce la forza, è proprio il suo essere una forma di ritorno integrale al Vangelo, al messaggio cristologico paolino, senza quei “compromessi” con il mondo che la Chiesa cattolica ha realizzato nel corso della sua storia bimillenaria al fine di trovare un modus vivendi tra Sacro e profano.
 

Insomma, piace la radicalità dell’impostazione, del linguaggio, del richiamo al Vangelo e ad una esperienza intima di Dio di stampo quasi proto-cristiano o medievale, in un’epoca come la nostra, ove il dubbio sembra aver eroso ogni certezza.

 

Ma è soprattutto dal punto di vista politico che questa forma estrema di impegno cattolico trova i suoi frutti migliori.

 

Proviamo a ragionare per un istante sulla posizione dei Neocatecumenali. Abbiamo visto che la loro ritualità ha portato agli estremi le istanze di rinnovamento, chiaramente di stampo progressista, del Concilio Vaticano II, tanto da necessitare la correzione vaticana, e abbiamo avuto modo di notare come alcune loro impostazioni teologiche di fatto superino addirittura in termini para-eretici i confini della Cattolicità.

 

Ebbene, come si spiega, a partire da questi assunti, l’appoggio che due Papati chiaramente e dichiaratamente conservatori come quelli di Papa Wojtyla e di Papa Ratzinger abbiano appoggiato molto nettamente un gruppo di questo genere (e, più in generale, un certo numero di movimenti analoghi)?
 

La risposta più ovvia è che i Neocatecumenali riescono a riportare in seno alla Chiesa un numero impressionante di giovani, che ad ogni raduno papale oceani di figli spirituali di Kiko e Carmen accorrono ad acclamare il Santo Padre (si parla di 40.000 presenti per il viaggio apostolico a Fatima, organizzati dal Sostituto alla Segreteria di Stato, Monsignor Filoni, neocatecumenale egli stesso, e di un numero paritetico per il raduno in sostegno del Pontefice organizzato dal Cardinal Bagnasco a San Pietro), che, caso più unico che raro, tra i Neocatecumenali fioriscono vocazioni missionarie in numero addirittura largamente eccedente le necessità (nonostante le condizioni di estrema precarietà e, molto spesso, di completa impreparazione in cui le “famiglie in missione” partono per gli angoli più sperduti del mondo, affidandosi unicamente alla Provvidenza).
 

Eppure ... Eppure, tutto questo non basta ancora a spiegare un favore così evidente, così come appaiono francamente eccessive le teorie espresse dall’ex-”focolarino” Gordon Urquhart relative ad una strategia vaticana di supporto ai movimenti per tenere a freno le tendenze autonomistiche delle Conferenze episcopali nazionali e rafforzare l’autorità pontificia.

 

Il punto critico sta nella consonanza ideologico-morale tra Pontefici che vogliono “ricristianizzare e rimoralizzare” un mondo laicizzato e senza punti di riferimento tramite l’impeto di un “pensiero forte” ai limiti del tradizionalismo pre-conciliare e un movimento che del “pensiero forte” fa la sua bandiera, che, pur partito da istanze oggettivamente progressiste, si è radicalizzato in un fondamentalismo morale addirittura più stringente delle richieste pontificie, spingendosi, in questo senso, ai margini più conservatori della Chiesa.
 

Il dubbio, allora, diventa uno solo: se un ritorno ad un Cristianesimo delle origini sia oggi possibile senza provocare fratture interne alla Cattolicità e senza negare le conquiste di una Chiesa più aperta alla voce locale dei Vescovi di fronte ad un Papato fin troppo tentato di guardare ad un passato assolutistico.

 

 

Riferimenti bibliografici:


Bergier, Report about Psychologic Conditioning in Religious Sects, Amberville 2008

R. Blazquez, Las Comunidades Neocatecumenales, Desclée De Brouwer 2009

J. Bogarín Díaz, La Institucionalización del Camino Neocatecumenal. Comentario a sus Estatutos, Universidad Pontificia de Salamanca 2002

G. Conti, Neocatecumenali al Bivio. Sussidio per una Scelta, Edizioni Segno 2001

E. Marighetto, I Segreti del Cammino Neocatecumenale, Edizioni Segno 2001

G. Nappi, Catecumenato. Tradizione della Chiesa e Cammino Neocatecumenale, Pellegrini 2002

E. Pasotti (a cura di), Il Cammino Neocatecumenale. Secondo Paolo VI e Giovanni Paolo II, San Paolo Edizioni 1995

G. Urquhart, Le Armate del Papa, Ponte delle Grazie 1996

E. Zoffoli, I Neocatecumenali - Chi Sono - Quale il Loro “Credo” - Cosa Pensarne, Edizioni Segno 1990;

E. Zoffoli, Eresie del Cammino Neocatecumenale, Edizioni Segno 1992

E. Zoffoli, Verità del Cammino Neocatecumenale, Edizioni Segno 1996



 

 

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