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N. 23 - Aprile 2007

I giorni e le ore del calendariO romano

Lo scorrere del tempo per i Romani

di Tiziana Bagnato

 

Molte similitudini ma anche molte incongruenze: il calcolo del trascorrere del tempo all’epoca dei Romani era solo apparentemente molto simile a quello che utilizziamo oggi.

 Dopo la riforma giuliana del 46 a.C., il calendario dei Romani si fondava sulla durata della rotazione terrestre intorno al sole.

 

I dodici mesi conservano ancora l’ordine, la lunghezza e i nomi assegnati da Cesare ed Augusto. La fede astrologica aveva diffuso, infatti, oltre alla divisione ufficiale in calende (il primo di ogni mese), none ( il 5 e il 7 di ogni mese) e idi (il 13 e il 15 di ogni mese), anche l’uso delle settimane di sette giorni, subordinate ai sette pianeti, i cui movimenti si riteneva governassero l’universo.

 

I giorni della settimana erano considerati divisi in 24 ore ciascuno, il cui punto di partenza era a metà della notte, ovvero, a mezzanotte.

 

Alla fine del IV secolo a.C., i Romani si limitavano, infatti, a dividere il giorno solo in due parti, una prima di mezzogiorno e l’altra dopo. A dover segnalare il passaggio del sole al meridiano, era un messo dei consoli, il quale lo annunciava al popolo, che stava presso il foro, e alle parti in causa che dovevano comparire in tribunale prima di mezzogiorno.

 

Al tempo della guerra di Pirro, venne introdotta la divisione di ogni metà del giorno in due sezioni: da una parte, la mattina e l’antemeriggio, dall’altra, il pomeriggio e la sera. Solo nel 263 a.C. le ore dei greci e l’orologio arrivarono nell’Urbe.  Il console M. Valerio Messala portò,infatti, nel bottino di Sicilia,  il quadrante solare di Catania, e lo fece montare sul comitium. Da lì, per più di tre generazioni, le linee tracciate dispensarono ore senza alcun rapporto concreto con la realtà, perché erano state tracciate per un’altra latitudine.

 

Solo nel 164 a.C., Q. Marcio Filippo fece realizzare un orologio adatto a Roma. In seguito,i censori P. Cornelio Scipione Nasica e M. Popilio Lenate, affiancarono al quadrante solare un orologio ad acqua che supplisse al primo nei giorni di foschia e durante la notte.

 

Vitruvio descrive alcuni orologia ex aqua muniti di galleggianti automatici, i quali ad ogni mutamento di ora lanciavano in aria sassi o uova, oppure emettevano dei sibili. Nella seconda metà del primo secolo e in tutto il secondo secolo d.C., infatti, la “moda”degli orologi ad acqua si era affermata sempre di più ed erano diventati simbolo di agiatezza.

 

Ma la precisione di accordo tra lo gnomone e l’orologio ad acqua era quasi sempre dubbia. Lo gnomone era fedele solo nella misura in cui i sottoscrittori lo avevano adattato alla latitudine del luogo. L’orologio ad acqua, invece, misurava tutti i giorni in ugual modo, senza tener conto del fatto che durante l’anno, la loro lunghezza è diversa.

 

Le ore diurne e quelle notturne erano uguali solo due volte l’anno, durante gli equinozi. Prima e dopo l’equinozio, le ore variavano in misura inversa fino ai solstizi, in cui lo scarto tra loro raggiungeva il massimo.

 

Così, al solstizio d’inverno le ore diurne si succedevano in questo modo:

           

I dalle 7,33 alle 8,17

II dalle 8,17 alle 9,2

III dalle 9,2 alle 9,46

IV dalle 9,46 alle 10,31

V dalle 10,31 alle 11,15

VI dalle 11,15 a mezzogiorno

VII da mezzogiorno alle 12,44

VIII dalle 12,44 all’1,29

IX dall’1,29  alle 2,13

X dalle 2,13 alle 2,58

XI dalle 2,58 alle 3,42

XII dalle 3,42 alle 4,27

 

Invece, al solstizio d’estate, le ore diurne si disponevano così:

  

I dalle 4,27 alle 5,42

II dalle 5,42 alle 6,58

III dalle 6,58 alle 8,13

IV dalle 8,13 alle 9,29

V dalle 9,29 alle 10,44

VI dalle 10,44 a mezzogiorno

VII da mezzogiorno all’1,15

VIII dall’1,15 alle 2,31

IX    dalle 2,31 alle 3,46

X dalle 3,46 alle 5,2

XI dalle 5,2 alle 6,17

XII dalle 6,17 alle 7,33

 

Le ore notturne riproducevano inversamente il dispositivo delle ore diurne, con la loro durata massima estiva spostata al solstizio d’inverno e la durata minima invernale al solstizio d’estate.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

Jerome Carcopino, La vita quotidiana a Roma, Laterza, 1982, Bari

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