arte
SULLA CALCOGRAFIA NAZIONALE
UN ESEMPIO DI INCONTRO TRA ANTICO E
CONTEMPORANEO
di Angelica Gatto
Nel 1978, in occasione dell’Anno
Piranesiano, l’allora Direttore della
Calcografia Nazionale, Carlo Bertelli,
promuove un’iniziativa che mette insieme
tre personalità artistiche di spicco
legate all’arte contemporanea – Luca
Maria Patella, Michelangelo
Pistoletto, Giulio Paolini –
chiamate a ideare un proprio personale
progetto che raccontasse la storia della
Calcografia rendendo omaggio al grande
maestro e teorico dell’architettura.
La cartella di lavoro, pubblicata nel
1980, con il titolo di Omaggio a
Piranesi, consta di tredici
opere realizzate dai tre artisti e
liberamente ispirate ad alcuni rami
conservati presso l’Istituto.
Giulio Paolini lavora sul Catalogo
generale delle stampe tratte dai rami
incisi posseduti dalla Calcografia
Nazionale edito dalla Libreria dello
Stato nel 1953; composta di 81 fogli che
riproducono i rami del catalogo generale
del 1953, l’opera di Paolini è stata
tirata in due esemplari: il primo
suddiviso in gruppi di tre fogli, il
secondo in gruppi di nove.
Michelangelo Pistoletto, invece, si
richiama apertamente all’opera di
Piranesi attraverso una libera
invenzione ispirata al Tempio della
tosse. Pistoletto propone una
sequenza di cinque fogli, in cui a
partire dal primo, tirato dal rame
originale dell’incisione piranesiana, si
passa nei fogli successivi a una
prospettiva ravvicinata che suggerisce
nelle intenzioni dell’artista un
confronto tra due tecniche di
riproduzione storicamente distinte: da
un lato appunto l’incisione, dall’altro
la fotografia. L’obiettivo della
macchina fotografica, suggerisce
Pistoletto, si pone di fronte
all’incisione di Piranesi come se fosse
collocato all’interno del Tempio della
tosse: esso introduce una dimensione
ulteriore all’interno dello spazio
fittizio riprodotto dall’incisore.
Il terzo degli artisti chiamati a
partecipare, Luca Maria Patella – già
legato alla Calcografia, e fortemente
interessato agli sviluppi delle tecniche
incisorie – declina in maniera del tutto
personale il medium attraverso un
tentativo di riattualizzazione. Il
progetto chiude idealmente per Patella
una fase di sperimentazione grafica
iniziata negli anni Cinquanta e getta
luce sulla reinterpretazione dei maestri
incisori da questi operata attraverso un
confronto con la tradizione incentrato
prima di tutto su una rivivificazione
del passato che si sostanzia di un
approccio e di una metodologia
analitiche basate sullo studio delle
fonti e sull’elaborazione di una
semiologia dell’immagine.
Patella in questa occasione realizza
cinque lastre; la prima, Rifletti in
2 sensi, è una scrittura incisa
all’acquaforte accostata a uno specchio
inclinato di 45° che ne consente la
lettura da parte dello spettatore. Nel
testo l’artista inizia col parlare di
quel rapporto tra incisione e stampa,
specularmente invertito, che egli invece
decide di ricomporre attraverso la
riflessione nello specchio, fornendo
delle indicazioni relative alla lettura
di tutta la sequenza delle opere
proposte.
La seconda lastra è incentrata su una
rilettura in chiave semantica, simbolica
e psicologica dell’incisione di
Pietro Testa, Il Liceo della
Pittura (1642 ca.), in cui
l’artista lucchese illustra le idee che
pone alla base del proprio Trattato,
una serie di annotazione che inizia a
scrivere a partire dal 1640: quella che
Patella elabora è una interpretazione
del foglio di Testa alla luce di un
articolo redatto da Elisabeth Cropper
intitolato Bound Theory and Blind
Practice: Il Liceo della Pittura. La
terza lastra è quella del «rovescio» del
Folo, stampa di colore marrone-rossastro,
originato dal processo di ossidazione
del rame, che allude al Grande vetro
duchampiano. Le dimensioni della matrice
impiegata da Patella sono le medesime
del «rovescio» dell’immagine di Eco
realizzata da Giovanni Folo.
Le ultime due lastre, intitolate A
Noir e Cauda Pavonis,
mostrano, non a caso, il recto
dell’incisione del Folo ma con alcuni
interventi di colore, una in
rosa-violaceo e l’altra in
verde-azzurro, compiuti da Patella. «Nera,
capovolta e proveniente dal quadrante
inconscio, si fa luce l’immagine
dell’Eco che in Cauda Pavonis assume i
colori “aurorali” dell’Attività
affettiva-effettiva e tende a «uscire» e
a farsi cosciente, in una più ampia
sintesi – non razionalizzante ma
dialettica – con le altre componenti o
funzioni psichiche: nel rapporto con il
mondo e con l’Altro».
Dunque, quella suggerita dall’artista
attraverso le cinque lastre è una
parabola (storica e attualizzata) nella
semantica psicologica profonda dello
Spazio e del Colore che passa attraverso
lo studio e l’applicazione pratica, tra
gli altri, di Jung e Lüscher; la
semantica dello spazio, d’altro canto,
riguarda la sequenza stessa delle
lastre, pensate secondo rapporti formali
e proporzionali. Esse risultano a tal
proposito interdipendenti e vanno lette
in un percorso continuo che dalla prima
arriva alla quinta e ultima, in
successione e con chiare indicazioni da
parte dell’artista la cui «dimostrazione
verte su aspetti profondamente storici –
e viceversa attualizzati (o ancora
attuali) – del fare arte e cultura.
Implica – meglio detto – una certa mia
interpretazione della struttura
psicologica profonda dell’intellettuale
e dell’artista» (affermazione questa
che chiude il cerchio se la si legge in
relazione a un progetto ispirato
all’omaggio al Maestro Piranesi).
Nella organizzazione dello spazio
formale e psichico del foglio, Patella
individua delle sfere di pertinenza
specifiche: lo spazio a sinistra e in
basso, dove è localizzato il massimo di
inconscio, e lo spazio in alto a destra,
dove ritroviamo invece il massimo della
coscienza. In tal modo, risulta chiaro
come ciascuna lastra, corrispondete alle
dimensioni di un foglio, rechi in sé un
significato intrinseco che Patella
individua in questa semantica dello
spazio e del colore.
Nel ricostruire l’iconografia della
stampa di Testa, l’artista si serve di
un diagramma attraverso il quale
ricompone, o meglio decripta, il
significato simbolico e la semantica de
Il Liceo della Pittura. Se, come
individuato da Cropper, i referenti
iconografici di Testa sono l’Iconografia
di Cesare Ripa e la tradizione di studi
aristotelici incentrati sull’Etica
Nicomachea, da cui deriverebbe per
altro la scelta del titolo Lyceum,
quella proposta da Patella è una
riattualizzazione della stampa antica a
partire da un’analisi dettagliata delle
fonti.
Gli interventi di colore condotti
sull’incisione del Testa risultano
minimi: lo stemma di Monsignor Gerolamo
Buonvisi colorato in blu e una piccola
scritta, “the Estate”, tracciata ancora
una volta in blu, colore che nella
teoria junghiana rimanda al pensiero
razionale. La scritta tracciata a matita
da Patella può avere una duplice
valenza: da un lato, se letta in
italiano, richiama la solarità di una
determinata stagione dell’anno, solarità
che, secondo quanto espresso da Patella,
è possibile rintracciare nelle
architetture disegnate da Testa;
dall’altro, letta in inglese, parla del
“Testamento” morale e spirituale
lasciato dal maestro lucchese.
Sulla base della sua rilettura Patella
traccia un primo grafico in cui mostra
l’intersezione di due campi concentrici,
il campo della Teoria-Intelligenza –
indicato nell’incisione con la lettera
greca Θ e rappresentato da una figura
nuda, con le mani avvinte e un compasso
in testa aperto verso l’alto – che
interseca un campo della Prassi-Uso,
individuato da Testa con il Π greco e
personificato da un cieco dotato di un
pennello alato e da una scimmia che gli
porge i colori.
I due cerchi del diagramma di Patella si
intersecano significativamente in
corrispondenza della Sapienza,
rappresentata nell’incisione dalla
statua di Minerva, posta in
corrispondenza di un obelisco egizio. Il
sapere teorico e quello pratico, il
pensiero contemplativo e quello attivo,
la filosofia naturale e il pensiero
morale sono idealmente ricongiunti sotto
l’egida della Sapienza.
Patella, dunque, desume la griglia dei
significati a partire
dall’interpretazione di Cropper e la
visualizza attraverso un grafico che
egli stesso definirebbe mentalsinergico.
L’interesse è interamente proteso alla
restituzione del concetto, attraverso un
percorso mentale che riconduce
l’immagine all’unità originaria con cui
la percepiamo.
Verrebbe da chiedersi come mai Patella
decida di recuperare, insieme all’Eco
del Folo, l’incisione di Testa. Questi,
nato da una famiglia di modeste origini
a Lucca intorno al 1611, data questa
piuttosto controversa così come le altre
informazioni biografiche in nostro
possesso, arriva a Roma nel 1629
entrando in contatto con gli artisti che
in quegli anni sono attivi in città –
tra gli altri Pier Francesco Mola,
Sandrart, Poussin e Cassiano Dal Pozzo –
e frequentando dapprima la Scuola di
Domenichino e in un secondo momento
quella di Pietro da Cortona.
Il sodalizio con Cassiano Dal Pozzo, che
gli commissiona alcuni disegni di
antichità romane, lo mette in contatto
con gli ambienti legati al classicismo e
impregnati degli ideali umanistici,
aspetto quest’ultimo che risulta
senz’altro centrale nell’organizzazione
delle allegorie e dei loro referenti
all’interno di questa come di altre
incisioni del Testa ispirate a soggetti
mitologici (Il suicidio di Didone,
Ettore trascinato da Achille, Il
suicidio di Catone).
Abile incisore dal temperamento ombroso
e suscettibile, Testa viene definito da
Patella un «artista problematico,
oltre tutto a livello psicologico […] In
questo soggetto razionalizzante – e,
ancor meglio, nella sua semantica
“seconda” – sono postulati storicamente
crisi e dissidi culturali, sociologici e
psicologici, che – fatte le debite
distanze temporali – ancora agitano
l’artista e intellettuale odierno».
Riferimenti bibliografici:
Paolini Patella Pistoletto, Istituto
Nazionale per la Grafica, Calcografia,
De Luca Editore, Roma 1980.
P. Bellini (a cura di), L’opera
incisa di Pietro Testa, Neri Pozza
Editore, Vicenza 1976.
E. Cropper, The ideal of painting.
Pietro Testa’s Düsseldorf Notebook,
Princeton University Press, Princeton
1984. |