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[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

N° 157 / GENNAIO 2021 (CLXXXVIII)


arte

SULLA CALCOGRAFIA NAZIONALE
UN ESEMPIO DI INCONTRO TRA ANTICO E CONTEMPORANEO

di Angelica Gatto

 

Nel 1978, in occasione dell’Anno Piranesiano, l’allora Direttore della Calcografia Nazionale, Carlo Bertelli, promuove un’iniziativa che mette insieme tre personalità artistiche di spicco legate all’arte contemporanea – Luca Maria Patella, Michelangelo Pistoletto, Giulio Paolini – chiamate a ideare un proprio personale progetto che raccontasse la storia della Calcografia rendendo omaggio al grande maestro e teorico dell’architettura.

 

La cartella di lavoro, pubblicata nel 1980, con il titolo di Omaggio a Piranesi, consta di tredici opere realizzate dai tre artisti e liberamente ispirate ad alcuni rami conservati presso l’Istituto.

 

Giulio Paolini lavora sul Catalogo generale delle stampe tratte dai rami incisi posseduti dalla Calcografia Nazionale edito dalla Libreria dello Stato nel 1953; composta di 81 fogli che riproducono i rami del catalogo generale del 1953, l’opera di Paolini è stata tirata in due esemplari: il primo suddiviso in gruppi di tre fogli, il secondo in gruppi di nove.

 

Michelangelo Pistoletto, invece, si richiama apertamente all’opera di Piranesi attraverso una libera invenzione ispirata al Tempio della tosse. Pistoletto propone una sequenza di cinque fogli, in cui a partire dal primo, tirato dal rame originale dell’incisione piranesiana, si passa nei fogli successivi a una prospettiva ravvicinata che suggerisce nelle intenzioni dell’artista un confronto tra due tecniche di riproduzione storicamente distinte: da un lato appunto l’incisione, dall’altro la fotografia. L’obiettivo della macchina fotografica, suggerisce Pistoletto, si pone di fronte all’incisione di Piranesi come se fosse collocato all’interno del Tempio della tosse: esso introduce una dimensione ulteriore all’interno dello spazio fittizio riprodotto dall’incisore.

 

Il terzo degli artisti chiamati a partecipare, Luca Maria Patella – già legato alla Calcografia, e fortemente interessato agli sviluppi delle tecniche incisorie – declina in maniera del tutto personale il medium attraverso un tentativo di riattualizzazione. Il progetto chiude idealmente per Patella una fase di sperimentazione grafica iniziata negli anni Cinquanta e getta luce sulla reinterpretazione dei maestri incisori da questi operata attraverso un confronto con la tradizione incentrato prima di tutto su una rivivificazione del passato che si sostanzia di un approccio e di una metodologia analitiche basate sullo studio delle fonti e sull’elaborazione di una semiologia dell’immagine.

 

Patella in questa occasione realizza cinque lastre; la prima, Rifletti in 2 sensi, è una scrittura incisa all’acquaforte accostata a uno specchio inclinato di 45° che ne consente la lettura da parte dello spettatore. Nel testo l’artista inizia col parlare di quel rapporto tra incisione e stampa, specularmente invertito, che egli invece decide di ricomporre attraverso la riflessione nello specchio, fornendo delle indicazioni relative alla lettura di tutta la sequenza delle opere proposte.

 

La seconda lastra è incentrata su una rilettura in chiave semantica, simbolica e psicologica dell’incisione di Pietro Testa, Il Liceo della Pittura (1642 ca.), in cui l’artista lucchese illustra le idee che pone alla base del proprio Trattato, una serie di annotazione che inizia a scrivere a partire dal 1640: quella che Patella elabora è una interpretazione del foglio di Testa alla luce di un articolo redatto da Elisabeth Cropper intitolato Bound Theory and Blind Practice: Il Liceo della Pittura. La terza lastra è quella del «rovescio» del Folo, stampa di colore marrone-rossastro, originato dal processo di ossidazione del rame, che allude al Grande vetro duchampiano. Le dimensioni della matrice impiegata da Patella sono le medesime del «rovescio» dell’immagine di Eco realizzata da Giovanni Folo.

 

Le ultime due lastre, intitolate A Noir e Cauda Pavonis, mostrano, non a caso, il recto dell’incisione del Folo ma con alcuni interventi di colore, una in rosa-violaceo e l’altra in verde-azzurro, compiuti da Patella. «Nera, capovolta e proveniente dal quadrante inconscio, si fa luce l’immagine dell’Eco che in Cauda Pavonis assume i colori “aurorali” dell’Attività affettiva-effettiva e tende a «uscire» e a farsi cosciente, in una più ampia sintesi – non razionalizzante ma dialettica – con le altre componenti o funzioni psichiche: nel rapporto con il mondo e con l’Altro».

 

Dunque, quella suggerita dall’artista attraverso le cinque lastre è una parabola (storica e attualizzata) nella semantica psicologica profonda dello Spazio e del Colore che passa attraverso lo studio e l’applicazione pratica, tra gli altri, di Jung e Lüscher; la semantica dello spazio, d’altro canto, riguarda la sequenza stessa delle lastre, pensate secondo rapporti formali e proporzionali. Esse risultano a tal proposito interdipendenti e vanno lette in un percorso continuo che dalla prima arriva alla quinta e ultima, in successione e con chiare indicazioni da parte dell’artista la cui «dimostrazione verte su aspetti profondamente storici – e viceversa attualizzati (o ancora attuali) – del fare arte e cultura. Implica – meglio detto – una certa mia interpretazione della struttura psicologica profonda dell’intellettuale e dell’artista» (affermazione questa che chiude il cerchio se la si legge in relazione a un progetto ispirato all’omaggio al Maestro Piranesi).

 

Nella organizzazione dello spazio formale e psichico del foglio, Patella individua delle sfere di pertinenza specifiche: lo spazio a sinistra e in basso, dove è localizzato il massimo di inconscio, e lo spazio in alto a destra, dove ritroviamo invece il massimo della coscienza. In tal modo, risulta chiaro come ciascuna lastra, corrispondete alle dimensioni di un foglio, rechi in sé un significato intrinseco che Patella individua in questa semantica dello spazio e del colore.

 

Nel ricostruire l’iconografia della stampa di Testa, l’artista si serve di un diagramma attraverso il quale ricompone, o meglio decripta, il significato simbolico e la semantica de Il Liceo della Pittura. Se, come individuato da Cropper, i referenti iconografici di Testa sono l’Iconografia di Cesare Ripa e la tradizione di studi aristotelici incentrati sull’Etica Nicomachea, da cui deriverebbe per altro la scelta del titolo Lyceum, quella proposta da Patella è una riattualizzazione della stampa antica a partire da un’analisi dettagliata delle fonti.

 

Gli interventi di colore condotti sull’incisione del Testa risultano minimi: lo stemma di Monsignor Gerolamo Buonvisi colorato in blu e una piccola scritta, “the Estate”, tracciata ancora una volta in blu, colore che nella teoria junghiana rimanda al pensiero razionale. La scritta tracciata a matita da Patella può avere una duplice valenza: da un lato, se letta in italiano, richiama la solarità di una determinata stagione dell’anno, solarità che, secondo quanto espresso da Patella, è possibile rintracciare nelle architetture disegnate da Testa; dall’altro, letta in inglese, parla del “Testamento” morale e spirituale lasciato dal maestro lucchese.

 

Sulla base della sua rilettura Patella traccia un primo grafico in cui mostra l’intersezione di due campi concentrici, il campo della Teoria-Intelligenza – indicato nell’incisione con la lettera greca Θ e rappresentato da una figura nuda, con le mani avvinte e un compasso in testa aperto verso l’alto – che interseca un campo della Prassi-Uso, individuato da Testa con il Π greco e personificato da un cieco dotato di un pennello alato e da una scimmia che gli porge i colori.

 

I due cerchi del diagramma di Patella si intersecano significativamente in corrispondenza della Sapienza, rappresentata nell’incisione dalla statua di Minerva, posta in corrispondenza di un obelisco egizio. Il sapere teorico e quello pratico, il pensiero contemplativo e quello attivo, la filosofia naturale e il pensiero morale sono idealmente ricongiunti sotto l’egida della Sapienza.

 

Patella, dunque, desume la griglia dei significati a partire dall’interpretazione di Cropper e la visualizza attraverso un grafico che egli stesso definirebbe mentalsinergico. L’interesse è interamente proteso alla restituzione del concetto, attraverso un percorso mentale che riconduce l’immagine all’unità originaria con cui la percepiamo.

 

Verrebbe da chiedersi come mai Patella decida di recuperare, insieme all’Eco del Folo, l’incisione di Testa. Questi, nato da una famiglia di modeste origini a Lucca intorno al 1611, data questa piuttosto controversa così come le altre informazioni biografiche in nostro possesso, arriva a Roma nel 1629 entrando in contatto con gli artisti che in quegli anni sono attivi in città – tra gli altri Pier Francesco Mola, Sandrart, Poussin e Cassiano Dal Pozzo – e frequentando dapprima la Scuola di Domenichino e in un secondo momento quella di Pietro da Cortona.

 

Il sodalizio con Cassiano Dal Pozzo, che gli commissiona alcuni disegni di antichità romane, lo mette in contatto con gli ambienti legati al classicismo e impregnati degli ideali umanistici, aspetto quest’ultimo che risulta senz’altro centrale nell’organizzazione delle allegorie e dei loro referenti all’interno di questa come di altre incisioni del Testa ispirate a soggetti mitologici (Il suicidio di Didone, Ettore trascinato da Achille, Il suicidio di Catone).

 

Abile incisore dal temperamento ombroso e suscettibile, Testa viene definito da Patella un «artista problematico, oltre tutto a livello psicologico […] In questo soggetto razionalizzante – e, ancor meglio, nella sua semantica “seconda” – sono postulati storicamente crisi e dissidi culturali, sociologici e psicologici, che – fatte le debite distanze temporali – ancora agitano l’artista e intellettuale odierno».

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

Paolini Patella Pistoletto, Istituto Nazionale per la Grafica, Calcografia, De Luca Editore, Roma 1980.

P. Bellini (a cura di), L’opera incisa di Pietro Testa, Neri Pozza Editore, Vicenza 1976.

E. Cropper, The ideal of painting. Pietro Testa’s Düsseldorf Notebook, Princeton University Press, Princeton 1984.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]