N. 15 - Marzo 2009
(XLVI)
L’antenato
di calcio e rugby
Viaggio alle
origini del calcio fiorentino
di
Simone Valtieri
Può capitare, passeggiando
per le vie di Firenze i primi giorni d’estate, di
incontrare per le vie del centro atletici energumeni con
indosso vesti cinquecentesche. Se si continua a
passeggiare, man mano che ci si avvicina a piazza di
Santa Croce, la folla si fa sempre più densa e questi
uomini robusti si moltiplicano alla vista. Arrivati in
piazza, se si riesce nell’impresa di farsi largo tra la
gente, si scorge un campo da gioco rettangolare, con
fondo in sabbia e con due lunghe reti tese su lati
opposti. È la rievocazione storica di una partita di
calcio fiorentino.
Tale gioco, conosciuto anche come calcio storico, calcio
in costume o calcio in livrea, era una particolare
disciplina diffusa a Firenze e nel granducato di Toscana
attorno al XV-XVI secolo. Sul vocabolario della Crusca
si può leggere: “È calcio anche il nome di un gioco,
proprio e antico della città di Firenze, a guisa di
battaglia ordinato, con una palla a vento,
rassomigliantesi alla sferomachia, passato da’ Greci a’
Latini e da’ Latini a noi”. La sferomachia era un gioco
con la palla diffuso nel Peloponneso e nell’antica
Grecia, e l’harpastum ne era il corrispettivo per gli
antichi Romani. Il calcio fiorentino discende da questi
due antenati ed è considerato a sua volta progenitore di
sport moderni come calcio, rugby e pallamano. Non è
forse un caso, infatti, che la diffusione di giochi con
la palla nell’Inghilterra seicentesca e settecentesca,
coincida con le numerose visite fiorentine da parte di
giovani studenti e studiosi d’oltremanica, impegnati in
viaggi di formazione nella penisola, che avrebbero
conosciuto, oltre alle arti, anche le tradizioni in uso
nella città toscana.
Notizie sul gioco antico si ricavano da alcuni testi
storici, come quello di Mercuriale, un medico padovano,
che nel 1569 scrisse il “De arte gymnastica” o ancora da
due opere di Giovanni de’ Bardi: “Discorso sopra il
giuoco del calcio” e “Memorie del calcio fiorentino”. Le
regole, se di regole si può parlare, di questo virile e
ancestrale sport sono presto dette. Un campo
rettangolare con due aree quadrate di dimensioni
variabili (tra i 40 e i 50 metri di lato), due lunghe
reti poste su due lati corti a delimitare le “porte” da
centrare, e due squadre di 27 giocatori, l’una contro
l’altra. Lo scopo è fare “caccia” portando o lanciando
la palla contro la rete avversaria con qualsiasi parte
del proprio corpo. Nel contempo si possono fermare gli
avversari in qualsiasi modo, che essi siano in possesso
di palla o meno. E’ facile immaginare che ciò che ne
derivi sia più simile ad una enorme rissa che a una
pratica fisica. E’ bene comunque rendersi conto che il
concetto di disciplina sportiva era al tempo ben lontano
da come la intendiamo noi oggi. Misurarsi in un incontro
di calcio fiorentino significava superare l’avversario
non solo nel punteggio, ma soprattutto nella forza, nel
coraggio e nello sprezzo del pericolo. Concetti come il
rispetto per l’avversario e per le regole erano allora
semisconosciuti e per raggiungere l’intento di mostrarsi
superiori, le vie intraprese potevano portare alla
sopraffazione totale del rivale, fin anche alla morte.
I giocatori, chiamati “calcianti”, erano, come detto, 27
per squadra. Tutti tra i diciotto e i quarantacinque
anni, e ognuno con indosso una sfarzosa veste
dell’epoca, si dividevano in 15 “corridori”, gli
attaccanti preposti a segnare, 5 “sconciatori”, il
corrispettivo dei centrocampisti nel calcio, 4 “datori
innanzi” e 3 “datori indietro”, ossia difensori e
portieri. Lo scopo del gioco era di fare, nei sessanta
minuti previsti, più “caccie” degli avversari. Era
previsto anche un punteggio intermedio, la “mezza
caccia”, da attribuire nel caso un tiro fosse finito
sopra la porta a causa della deviazione di un difensore
avversario o da sottrarre al punteggio se un tiro,
troppo alto, avesse sorvolato la rete senza esser stato
toccato dai rivali.
Il periodo d’oro della disciplina si vive a cavallo tra
il XV e il XVI secolo. Venivano disputate numerose
partite anche nelle piazze più piccole, o in luoghi di
fortuna. Le cronache tramandano ad esempio di uno
storico incontro disputato sull’Arno ghiacciato nel
1490. Il numero dei giocatori poteva variare a seconda
delle dimensioni del campo da gioco scelto, ed essendo
praticamente delle risse legalizzate, le partite
turbavano sovente la quiete dei quartieri. In alcune
piazze perciò il gioco venne bandito dai signorotti
locali, che collocavano dei bandi in pietra per
segnalarlo. In ogni caso le partite importanti si
disputavano su ampi spazi, principalmente in Piazza di
Santa Croce, e vi partecipavano, tra gli altri, anche
notabili. Tra i calcianti famosi si ricordano alcuni
granduchi di Toscana quali Cosimo I, Francesco e Cosimo
II, o ancora il duca d’Urbino Lorenzo de’ Medici, il
duca di Mantova Vincenzo Gonzaga, Piero de’ Medici,
figlio di Lorenzo il Magnifico ed Enrico, principe di
Conde’. Si contano addirittura anche tre futuri Papi che
in età giovanile si sono cimentati con la palla di
cuoio: Giulio de’ Medici, Alessandro de’ Medici e Maffeo
Barberini, rispettivamente papa Clemente VII, Leone XI e
Urbano VIII.
Gli incontri più importanti di calcio storico venivano
disputati durante il periodo del Carnevale o in date e
occasioni particolari, come matrimoni o ricorrenze.
Vengono festeggiate ad esempio, con un incontro di
calcio in livrea, le nozze tra Alfonso d’Este e Leonora
de’ Medici nel 1558 o quelle tra Eleonora de’ Medici e
Vincenzo Gonzaga nel 1584 che vide tra i calcianti anche
il padre della sposa, Francesco de’ Medici. L’incontro
che però passa alla storia più di ogni altro è quello
disputato a Firenze in data 17 febbraio 1530.
All’epoca, il popolo fiorentino, dopo la cacciata dei
Medici avvenuta nel 1527, era assediato dall’esercito di
Carlo V, imperatore del Sacro Romano Impero, che aveva
concesso al Papa Clemente VII il suo appoggio per la
riconquista della città. Firenze resistette strenuamente
per dieci mesi, sotto la guida di Francesco Ferrucci, un
mercante improvvisatosi prode condottiero, fino alla
resa nella battaglia di Gavinana del 3 agosto 1530 in
cui Ferrucci fu catturato e successivamente ucciso dal
capitano di ventura Fabrizio Maramaldo. I fiorentini
firmarono la capitolazione nove giorni dopo e le milizie
imperiali restaurarono così il regime nella figura di
Alessandro de’ Medici, che due anni più tardi ricevette
il titolo di “Duca della repubblica fiorentina”. Cosa
c’entra il calcio in livrea con questa storia? In data
17 febbraio la città sotto assedio decise, soprattutto
per dare al nemico un segnale di forza e nonostante la
situazione critica dovuta alla scarsità di cibo, di non
rinunciare ai festeggiamenti del Carnevale, organizzando
una partita di calcio nella tradizionale piazza di Santa
Croce. La piazza era, per la sua posizione, ben visibile
agli assedianti accampati sulle colline circostanti, e
come se non bastasse, per meglio far comprendere ai
nemici cosa stesse succedendo, fu fatto salire sul tetto
della chiesa un gruppo di musici a suonare a festa. Le
cronache narrano che una palla di cannone fu allora
scagliata verso la piazza, ma sorvolò la chiesa senza
fare danni, tra lo scherno della folla e gli squilli di
tromba.
Altre storiche dispute furono quei rari incontri
avvenuti fuori dal suolo fiorentino, come ad esempio nel
1570, quando si giocò un’incontro a Roma, nelle terme di
Diocleziano, o cinque anni più tardi a Lione, in onore
di Enrico III. Nel 1605 si tornò a giocare sull’Arno
ghiacciato, in una eccezionale condizione di freddo che
durò a Firenze per circa due mesi, ma è del 1650 la
partita che le cronache tramandano come la più
“combattuta” di sempre, quando tra le squadre dei
“Piacevoli” e dei “Piattelli” si scatenò un’incontro a
suon di “caccie” e di colpi proibiti che continuò anche
oltre il tempo regolamentare, più simile a una
gigantesca battaglia che a una partita di calcio. Col
passare degli anni la tradizione di giocare partite
ufficiali nelle grandi piazze cittadine andò
attenuandosi. L’ultimo evento di cui si ha notizia è del
1766, a Livorno, in occasione della venuta delle altezza
granducali Pietro Leopoldo I e Maria Luisa. Il gioco
rimase però vivo tra i giovani fiorentini che
continuarono a praticarlo nei propri rioni e lo
accompagneranno, di generazione in generazione, fino ai
primi decenni del XX secolo.
Nel 1580 Giovanni de’ Bardi aveva descritto in 33
“capitoli”, o meglio sarebbe dire articoli, le regole
del gioco. Basandosi su quei 33 dogmi, si decise nel
1930, su iniziativa del gerarca Alessandro Pavolini, di
organizzare il primo torneo tra i rioni della città. A
quattrocento anni esatti di distanza dalla storica
partita dell’assedio di Carlo V, si decise così di
ripristinare il gioco sotto forma di una rievocazione
storica. Si organizzò un torneo, diviso in due
eliminatorie e una finale, con quattro squadre
partecipanti in rappresentanza dei quartieri storici di
Firenze: i Bianchi di Santo Spirito, gli Azzurri di
Santa Croce, i Rossi di Santa Maria Novella e i Verdi di
San Giovanni. Si decise inoltre che la rievocazione
doveva culminare con la finale in data 24 giugno, in
concomitanza con i festeggiamenti per il santo patrono
della città, San Giovanni Battista, e non più dunque nel
periodo carnevalesco. Prima di ogni incontro venne
istituito un corteo storico in costume rinascimentale, e
fu anche deciso che alla squadra vincitrice, oltre al
palio, dovesse andare in premio una vitella di razza
Chianina, consegnata loro direttamente dal “Maestro di
Campo”, la massima istituzione giuridica del calcio
fiorentino.
Da allora, la rievocazione storica del calcio fiorentino
è diventata una delle più seguite manifestazioni
folcloristiche italiane, al pari del Palio di Siena o
della corsa dei Ceri di Gubbio. Le partite, oggi come
ieri, sono ricche di agonismo e talvolta sconfinano i
limiti dell’agonismo degenerando in rissa. Nel 2006 fece
scalpore ciò che accadde durante il primo incontro del
torneo tra i Bianchi e gli Azzurri, che fu sospeso
subito dopo l’inizio a causa di numerosi pestaggi che
avevano trasformato la festa in una zuffa gigantesca. 45
persone furono denunciate e il torneo fu annullato.
L’anno successivo le partite non si disputarono mancando
sufficienti garanzie di sicurezza. Solo nel 2008, grazie
al cambio di regolamento volto ad evitare altre
situazioni grottesche, vietando ad esempio la
partecipazione a chiunque avesse riportato condanne
penali, il torneo è ripreso. E’ così che il 24 agosto
scorso, al termine dell’ultimo incontro del torneo,
disputato tra Azzurri e Rossi e terminato in favore dei
primi per 9 “caccie” e mezzo a 4, i calcianti delle due
formazioni si sono scambiati abbracci e strette di mano,
in un finale più vicino a quelli di una partita del
“figlio” rugby piuttosto che del “genitore” calcio
fiorentino.
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