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N. 82 - Ottobre 2014 (CXIII)

I CALCIATORI PIÙ AMATI DI SEMPRE

PARTE IV - MARADONA
di Francesco Agostini

 

La vicenda umana e calcistica di Diego Armando Maradona è una delle più avvincenti, sconclusionate e romanzesche della storia.

 

Dotato dal cielo di una naturale vocazione al mondo del calcio, il campione argentino è riuscito a imprimere il suo segno distintivo durante tutti gli anni ottanta e parte dei novanta, consacrandolo come il miglior giocatore al mondo, al pari di Pelé.

 

Oltre che per le sue eccezionali prestazioni in campo, Maradona è forse diventato famoso più per le sue scelte (diciamo) poco consone nella vita privata che ne hanno segnato, sicuramente in negativo, la carriera.

 

In primis, la cocaina. Un vizio, nato come un gioco, risalente ai primi tempi del Napoli, quando il giovane e inesperto (?) Diego si ritrovò catapultato nella fervente e boccaccesca realtà partenopea che finì inevitabilmente per fagocitarlo al suo interno.

 

Tutto iniziò con delle amicizie sbagliate, legate perlopiù a clan camorristici che lo portarono a poco a poco a vivere una vita sempre più sconclusionata e lontana dal prototipo dell’atleta; notti brave dunque, condite con donne (e su questo punto torneremo più avanti) e tanta, tanta cocaina.

 

Il vizio si protrasse nel tempo a lungo, forse anche troppo, fino a che, nel 1991, fu scoperto e fermato dalla giustizia sportiva.

 

La condanna, per un giocatore di trentun anni com’era, lui fu pesantissima: quindici mesi di squalifica che volevano dire quasi un addio al calcio. Dopo il fermo ci furono le solite dichiarazioni di pentimento, paragonabili alle classiche lacrime di coccodrillo; il rammarico per aver deluso la famiglia e i suoi tifosi e la ferma promessa di non ricaderci più. Parole già sentite, insomma.

 

Invece la ricaduta ci fu, appena tre anni più tardi e ancora più rovinosa della prima. Durante il mondiale del 1994 Maradona fu fermato perché positivo al test antidoping perché i valori dell’efedrina risultarono fuori dal normale standard.

 

Questa volta l’argentino rispedì al mittente tutte le accuse, affermando di avere solo bevuto una bevanda energetica, la Ripped Flue, e che questa avesse alterato i valori dell’efedrina. La sua difesa non venne neppure presa in considerazione e Maradona fu squalificato.. un’altra volta.

 

Eppure Diego Armando per quel mondiale si era allenato strenuamente, dimagrendosi moltissimo e rimettendosi in gioco. Il fatto che non fosse ancora finito come giocatore lo dimostra il bellissimo goal siglato contro la Grecia: dopo uno scambio rapido, Maradona scaraventò con un potentissimo sinistro la palla sotto l’incrocio dei pali. In seguito ci fu la famosa corsa e l’urlo rabbioso contro la telecamera; un urlo in cui l’argentino condensò tutta la sua sofferta e avvincente vicenda umana.

 

L’altro tallone d’Achille, se così si può chiamare, furono le donne. Le relazioni del Pibe de oro furono molteplici e, quasi sempre, travagliatissime. Le prime figlie le ebbe già alla metà degli anni ottanta: le famosissime Dalma Nerea a Giannina Dinorah, forse le uniche davvero amate dal calciatore argentino.

 

In Italia, durante l’era scapestrata al Napoli, Maradona intrecciò una relazione con Cristiana Sinagra, dalla quale nacque l’omonimo figlio Diego, mai riconosciuto dal padre.

 

La donna portò in causa Maradona, il quale fu costretto dal giudice Maria Lidia De Luca a sborsare ben 4000 dollari al mese per il mantenimento del figlio, perché riconosciuto padre: Diego Armando, infatti, si rifiutò per ben tre volte di sottoporsi al test del DNA.

 

Era il segno evidente (come dimostrano i tratti somatici di Diego jr. del resto) della sua paternità. Ma non è finita qui. Nel 1996 gli venne riconosciuta un’altra figlia, Jena, e nel 2013 un maschio, il piccolo Diego Fernando: in tutto sono cinque. Cinque figli di Maradona sparsi fra Italia, Argentina ed Emirati Arabi.

 

Dopo le donne e la cocaina, la salute, sempre precaria. Fortemente provato da anni e anni di abusi, il corpo di Maradona iniziò lentamente a cedere: nel 2000 e nel 2002 ci furono ben due ricoveri per problemi cardiaci. Nello specifico, due infarti.

 

I disturbi al cuore erano dovuti, oltre alle passate gozzoviglie, anche alla forte obesità dell’ex campione argentino. Basti pensare che arrivò a pesare ben 120 kg che, a fronte di solo 165 cm di altezza, erano veramente un’enormità. Ad aggiungersi a questi, anche un’epatite maturata ai tempi del Barcellona che a causa degli eccessi con l’alcol si fece sentire ancora di più.

 

Infine, i problemi col fisco italiano che lo hanno portato a essere debitore di ben trentuno milioni di euro nei confronti dello Stato. Al centro delle polemiche i maxi stipendi che i giocatori del Napoli ricevevano dal presidente Ferlaino, gonfiati ad arte per evadere le esigenti casse del Fisco italiano.

 

A fronte di quest’umana tragedia, il calciatore. Ciò che resta di Maradona sono i suoi trionfi con il Napoli, che valgono almeno come dieci scudetti, e il mondiale vinto da capitano nel 1986: due eventi che restano tuttora nella memoria collettiva di tanti tifosi.

 

Dopo un inizio in Argentina nel Boca Juniors (squadra di cui è grandissimo tifoso) e il passaggio al Barcellona, Diego Armando approdò al Napoli, squadra di cui cambiò per sempre il volto: infatti, alla fine dell’annata 1986/1987 arrivò il primo scudetto della squadra partenopea. Il capoluogo della Campania esplose per la prima volta nella sua storia e Maradona divenne per sempre un’icona della città destinata a durare nel tempo.

 

Diego Armando entrò a tal punto nel tessuto cittadino che moltissimi ragazzi nati in quel periodo vennero chiamati col suo nome in suo onore; un segno evidentissimo di un rapporto viscerale che lo portò a diventare il re delle strade di Napoli. L’episodio si ripeterà nel 1990, suscitando lo stesso calore.

 

L’anno di Diego fu però il 1986, quando vinse il mondiale. La partita simbolo fu sicuramente quella contro l’Inghilterra, dove El Pibe de oro siglò due goal rimasti nella storia: il primo, famosissimo, fu l’inarrestabile corsa dell’argentino iniziata a metà campo e terminata direttamente nella porta avversaria.

 

Nel mezzo, il campione argentino dribblò tre uomini più il portiere avversario e depositò la palla in rete. Ma fu il secondo gol a dargli la fama internazionale: il famosissimo goal di mano, tipico del giocatore smaliziato quale era Diego Armando Maradona.

 

La partita, che vide l’Argentina vincitrice, si rivelò non solo una semplice partita di calcio ma divenne il pretesto per una cosiddetta “vendetta” contro gli inglesi che li avevano sconfitti quattro anni prima nella Guerra delle Falkland. Con la vittoria calcistica, gli Argentini avevano una volta per sempre “sistemato la faccenda” contro l’Inghilterra del primo ministro Margaret Tatcher.

 

Una volta calato il sipario sulla carriera da giocatore, El Pibe de oro darà vita a una modesta carriera da allenatore, ricca di cocenti sconfitte e umiliazioni.

 

Una su tutte, il fallimento della Nazionale Argentina al mondiale del 2010 che era alla vigilia del torneo una delle squadre più accreditate alla vittoria: la spedizione invece finì presto e Diego Armando Maradona fu prontamente sollevato dall’incarico di commissario tecnico.

 

Nonostante tutti i suoi difetti e le sue vicende controverse, una cosa non si può dire di Maradona: che non sia stato un uomo vero e sincero, nel bene e nel male.

 

Lampante in questo senso il suo rapporto di dichiarato odio nei confronti degli U.S.A. ed emblematica la scritta che mostrò su una maglietta: “Stop Bush”. Non sarebbe potuto essere più chiaro.



 

 

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