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N. 80 - Agosto 2014 (CXI)

I CALCIATORI PIÙ AMATI DI SEMPRE

PARTE II - baggio
di Francesco Agostini

 

Quando un calciatore entra trasversalmente nel mondo della poesia, della letteratura e anche della musica, non c’è dubbio che sia stato veramente grande e che con le sue giocate abbia fatto volare la mente di tanti, tifosi e non.

 

Chi non riconoscerebbe immediatamente il suo volto sentendo pronunciare le parole Divin Codino?

 

E chi, di riflesso, non penserebbe subito a quel maledetto rigore sbagliato nella torrida estate americana del 1994?

 

Stiamo parlando, ovviamente, del più grande calciatore italiano di tutti i tempi: Roberto Baggio.

 

Come abbiamo detto all’inizio, la sua figura è una delle poche che è riuscita a entrare nel mondo dell’arte, sia in un ambiente giovane (specialmente di tipo musicale ma anche fumettistico) che in uno un po’ più maturo come quello della poesia.

 

Nel mondo dei fumetti, il calciatore è apparso addirittura in un numero di Topolino. Nello specifico, la puntata era “Topolino e il giallo della World Cup”, uscito nel 1994, poco prima dei mondiali americani.

 

In quella puntata era il campione Roberto Paggio al quale veniva tagliato il codino poco prima della competizione ed era un gran bel problema perché tutta la sua forza risiedeva proprio nel codino, a imitazione del Sansone delle Sacre Scritture.

 

Anche i grandi artisti dal canto loro hanno dato lustro a Roberto. In suo onore, infatti, il poeta contemporaneo Giovanni Raboni ha scritto un componimento dal titolo semplice ma significativo: “In lode a Roberto Baggio”.

 

Mica male, per un calciatore. Un altro grande artista, Lucio Dalla, ha scritto una canzone che porta il suo nome e il giovane cantante Cesare Cremonini lo ha citato in un verso di “Marmellata n. 25”, singolo uscito nel 2005. Il testo nello specifico diceva: “… da quando Baggio non gioca più… non è più domenica…”.

 

Ma come mai tanto interesse attorno alla figura di questo fenomenale giocatore? Forse, all’inizio, fu per un motivo prettamente mediatico.

 

L’inizio di carriera di Roberto è datato infatti alla metà degli anni ottanta, in una società che è sì uscita dai rivoluzionari anni settanta ma che risente altresì di un substrato cattolico di lunga durata: si pensi, ad esempio, al grande successo popolare di Papa Giovanni Paolo II.

 

In questo contesto si può leggere il “clamore” (sembra assurdo dirlo oggi ma all’epoca fu davvero così) che suscitò la scelta di Baggio di aderire al buddismo, in particolar modo alla Soka Gakkai di stampo giapponese.

 

In un paese ancora radicato nelle proprie convinzioni la sua scelta sollevò non poche polemiche e al tempo stesso gli diede anche una discreta popolarità. Non stiamo dicendo che Baggio divenne famoso grazie al buddismo per carità, ma, certo, fu un fattore che contribuì in maniera radicale a metterlo sulle copertine di tutti i giornali; per la prima volta nella storia un nostro campione non era un (fervente?) cattolico.

 

In secondo luogo, il talento: immenso, unico, inimitabile.

 

Dal punto di vista prettamente tecnico raramente si è visto un giocatore con le sue qualità, capace com’era di fare tutto quello che voleva con la palla al piede. Emblematici al riguardo alcuni goal che hanno segnato la storia del calcio.

 

Il primo nel mondiale italiano del 1990 contro la Cecoslovacchia: Roberto parte palla al piede dalla metà del centrocampo e, dopo uno scambio ravvicinato con un compagno, si invola da solo verso la porta, dribbla con un doppio passo un difensore e con il destro a incrociare insacca la palla in rete.

 

È un goal straordinario che lo consacra al grande pubblico e che accende le speranze di vittoria di tutti gli italiani, oramai sempre più propensi a sognare. Baggio e Schillaci trascinano l’Italia che sarà costretta ad arrendersi ai calci di rigore di fronte all’Argentina del “napoletano” Diego Armando Maradona.

 

L’altro goal straordinario Baggio lo segna con l’ultima maglia che ha indossato, quella del Brescia, e la squadra avversaria è niente meno che la Juventus.

 

Dalla difesa giunge un lancio lunghissimo che pesca Baggio in area di rigore: Roberto riesce e stoppare la palla con il collo del piede, facendola sembrare una cosa semplicissima.

 

Non solo: ferma la palla e parallelamente scarta il portiere avversario lasciandolo di sasso e buttando la palla in rete. Dimenticavamo: il portiere è il campione del mondo Gianluigi Buffon, considerato da tutti il miglior portiere italiano e, forse, del globo.

 

In mezzo, c’è tutta la folgorante carriera di Roberto Baggio.

 

L’inizio è con il Vicenza, squadra con la quale mette subito in luce tutte le sue qualità e con la quale si guadagna il meritato passaggio alla Fiorentina. A Firenze diventa subito l’idolo dei tifosi che reagiscono malissimo al suo trasferimento alla Juventus qualche anno dopo.

 

Roberto, per vedere la sua carriera decollare accetta, ma resterà sempre legato ai colori viola come a una seconda pelle.

 

Il fatto è testimoniato da un episodio avvenuto in uno storico Fiorentina-Juventus giocatosi al Franchi: Baggio, sostituito dall’allenatore esce dal campo.

 

Da un settore della tribuna gli viene gettata una sciarpa della Fiorentina che Roberto inaspettatamente raccoglie, a sottolineare il fatto che i suoi sentimenti per la maglia viola non sono cambiati.

 

Con la Juventus Roberto è all’apice della propria carriera e nel 1993 conquista il Pallone d’ Oro.

 

Con queste premesse, Baggio è considerato da tutti la punta di diamante dell’Italia di Arrigo Sacchi e ne diviene, a tutti gli effetti, il vero e proprio trascinatore.

 

Decisivo il goal con la Nigeria, sue ancora le reti con la Bulgaria e con la Spagna che spianano la strada agli azzurri verso la finale con il Brasile. Roberto gioca la finale ma, essendo infortunato, non riesce a incidere nella partita e, ai calci di rigore, sbaglia il tiro decisivo. La palla finisce alta nel cielo di Pasadena e il resto è storia.

 

Tornato in Italia, inizia a girovagare da una squadra all’altra. Prima lo acquista il Milan con il quale fallisce e non gioca quasi mai titolare e dopo va al Bologna, in provincia, dove vive una seconda giovinezza.

 

Gioca talmente bene che Cesare Maldini decide di convocarlo al mondiale di Francia ‘98 dove giocherà in alternanza con Alessandro Del Piero.

 

In seguito è la volta dell’Inter e poi del Brescia, dove conclude la sua luminosissima carriera. D’altronde i numeri lo dimostrano: 27 goal in azzurro e 205 in serie A non si fanno certo per caso.

 

Per ultimo, Roberto Baggio scrive la propria autobiografia, “Una porta nel cielo”. Qui scoperchia il cassetto dei ricordi, soffermandosi sul suo rapporto con certi allenatori a volte buono, altre volte molto meno.

 

Elargisce parole al miele per Carletto Mazzone, ad esempio, suo allenatore ai tempi del Brescia, e lancia frecciate d’odio contro Marcello Lippi, l’allenatore/sergente di ferro avuto quando era all’Inter. Lippi, stando alle sue dichiarazioni, aveva colto il malumore della squadra e avrebbe chiesto a Baggio di fungergli da spia; il Divin Codino, da parte sua, avrebbe opposto un netto rifiuto e da lì sarebbe nata la grande antipatia.

 

Che sia vero oppure no, uno della moralità e della serietà di Baggio non avrebbe mai potuto fare una cosa del genere. Ed è per questo, forse, che è stato così amato.



 

 

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