N. 81 - Settembre 2014
(CXII)
I CALCIATORI PIÙ AMATI DI SEMPRE
PARTE III - Pelé
di Francesco Agostini
Classe
1940,
Pelé
è
indubbiamente
una
delle
maggiori
icone
del
calcio.
Dotato
di
un
talento
incredibile,
è
stato
considerato
a
lungo
il
miglior
calciatore
di
tutti
i
tempi,
alternandosi
con
l’argentino
Diego
Armando
Maradona.
I
due,
diversissimi
fra
loro
nel
modo
di
interpretare
lo
sport
e la
vita,
rappresentano
il
calcio
nella
loro
migliore
essenza:
impetuoso
e
completo
il
primo,
geniale
e
ipertecnico
il
secondo.
Eppure,
come
accade
spesso,
il
soprannome
del
giocatore
più
rappresentativo
di
tutti
i
tempi
nacque
quasi
per
caso.
Gli
fu
dato
da
un
suo
compagno
di
scuola,
durante
l’epoca
in
cui
il
giovane
Edson
Arantes
Do
Nascimento
giocava
sulla
spiaggia
con
un
pallone
fatto
di
stracci
legati
insieme
da
uno
spago:
l’occasione
fu
data
dal
fatto
che
Edson
non
riusciva
a
pronunciare
correttamente
il
nome
del
portiere
Bilé,
storpiandolo
in
Pelé.
Da
lì,
il
soprannome
che
lo
avrebbe
reso
famoso
in
tutto
il
mondo.
Quanto
alla
carriera
di
Pelé,
è
forse
superfluo
rammentare
tutte
le
sue
incredibili
vittorie.
Ci
basti
pensare
che
il
giocatore
brasiliano
è
stato
l’unico
a
vincere
addirittura
tre
Coppe
Rimet,
nome
che
si
dava
allora
agli
odierni
Mondiali.
Un
record
incredibile,
se
ci
si
sofferma
sù.
Pensate
alla
gioia
indicibile
dei
nostri
calciatori
alla
vittoria
del
2006
in
Germania
e
moltiplicatela
per
tre;
assurdo,
non
è
vero?
C’è
da
dire
però
che
quello
era
anche
un
altro
calcio.
Per
capire
la
diversità
di
quel
mondo
basti
pensare
che
Pelé
trascorse
praticamente
tutta
la
propria
carriera
in
Brasile,
al
Santos,
divenendone
la
bandiera
e il
giocatore
simbolo.
Al
giorno
d’oggi
questa
soluzione
è
alquanto
inverosimile,
visti
i
ricchi
proprietari
(nella
maggior
parte
dei
casi
sceicchi)
che
sono
a
capo
delle
maggiori
squadre
europee:
con
le
loro
offerte
milionarie
sono
in
grado
di
condizionare
l’intero
mercato
dei
calciatori,
in
barba
a
ogni
ideale
di
cuore
o di
bandiera.
Pelé
invece
rimase
in
Brasile
e
vinse
praticamente
tutto,
tra
cui
ben
dieci
titoli
paulisti,
prima
di
andare
a
svernare
in
America,
e
precisamente
nei
New
York
Cosmos.
Nel
1975,
a
trentacinque
anni,
Pelé
sbarcò
quindi
negli
Stati
Uniti
strappando
un
contratto
triennale
di
4,5
milioni
di
dollari
per
poi
ritirarsi
nel
1977,
sazio
di
denaro
e di
vittorie.
In
un
mondo
ancora
poco
internazionale
dal
punto
di
vista
televisivo,
era
chiaro
che
la
fama
e il
prestigio
del
giocatore
brasiliano
non
potesse
nascere
dalla
sua
militanza
nel
Santos;
per
quanto
la
squadra
paulista
avesse
un
certo
bacino
d’utenza,
non
era
certo
paragonabile
alla
visibilità
di
club
europei
come
Milan,
Real
Madrid
e
quant’altro.
Dunque,
a
cosa
si
deve
la
grande
popolarità
di
Edson
Arantes
Do
Nascimento
detto
Pelé?
Principalmente
alla
maglia
verdeoro
della
nazionale
brasiliana.
L’esordio
in
nazionale
di
Pelé
è
datato
addirittura
1957,
a
soli
diciassette
primavere
e
già
l’anno
seguente,
nel
1958,
è
titolare
in
un
Brasile
stellare.
Quel
Brasile
poteva
vantare
al
suo
interno
campioni
assoluti
del
calibro
di
Vavà,
Didì
e
Garrincha,
gente
che
avrebbe
fatto
la
storia
con
le
loro
incredibili
qualità.
Al
mondiale
di
Svezia
del
’58
dunque,
Pelé
è la
ciliegina
sulla
torta
di
una
squadra
già
forte
di
suo
e
lì,
in
quel
torneo,
esplode
definitivamente:
realizza
ben
sei
reti,
di
cui
una
nella
finale
contro
i
padroni
di
casa
battuti
per
5-2.
Il
3-1,
siglato
appunto
Pelé,
è da
manuale
del
calcio:
il
giovane
attaccante
supera
con
un
pallonetto
(in
gergo
calcistico,
sombrero)
un
difensore
svedese
e
tira
di
collo
destro,
scaraventando
la
palla
in
rete.
Per
la
sua
bellezza
e
difficoltà
è
stata
scelta
come
la
terza
rete
più
bella
della
storia
dei
mondiali.
Quattro
anni
dopo
il
Brasile
vince
nuovamente
la
Coppa
Rimet
ma
Pelé
non
è il
protagonista:
in
Cile
s’infortuna
subito
ed è
sostituito
da
Amarildo.
Grazie
a
Garrincha
però,
i
sudamericani
ottengono
il
bis,
affermandosi
come
i
migliori
al
mondo
nel
gioco
del
fùtbol.
Dopo
il
fallimento
del
mondiale
inglese
del
1966,
il
Brasile
si
presenta
come
una
delle
favorite
alla
vittoria
di
Messico
’70:
Pelé,
all’età
matura
di
trent’anni
era
ancora
considerato
uno
dei
giocatori
più
forti
e
temibili
affiancato
com’era
da
giocatori
fortissimi
come
Carlos
Alberto,
Jairzinho
e
Rivelino.
Confermando
le
previsioni,
infatti,
il
Brasile
arriva
facilmente
in
finale,
dove
incontra
un’Italia
stanca,
provata
com’è
dalla
faticaccia
patita
in
semifinale
contro
la
Germania:
lo
storico
4-3
ai
supplementari
ci
aveva
visto
sì
vincenti,
ma
anche
completamente
prosciugati
di
ogni
singola
energia.
Infatti,
com’era
prevedibile,
l’Italia
subisce
una
sonora
sconfitta
per
4-1
e
ancora
una
volta
Pelé
imprime
la
sua
firma
alla
partita,
siglando
un
imperioso
goal
di
testa
su
cross
di
Rivelino.
Nonostante
la
sua
bassa
statura
(1,72
cm)
Pelé
era
dotato
anche
di
una
grande
elevazione
e di
un
letale
colpo
di
testa,
simbolo
del
suo
infinito
bagaglio
di
soluzioni
a
disposizione.
Dopo
una
carriera
così
straordinaria,
Pelé
decise
di
non
rimanere
in
maniera
attiva
nel
mondo
del
calcio.
Non
divenne
dunque
né
allenatore
né
presidente
di
alcuna
squadra,
ma
si
dedicò
a
diversi
progetti
che
lo
videro
sempre
in
prima
linea.
Fu,
per
esempio,
ambasciatore
delle
nazioni
Unite.
Molti
però
lo
ricorderanno
anche
per
un
piccolo
ruolo
cinematografico
che
ebbe
nel
film,
oramai
storico,
Fuga
per
la
vittoria.
Il
cast,
oltre
all’ingombrante
presenza
di
Pelé
nel
ruolo
di
Luis
Fernandez,
comprendeva
altri
calciatori
come
Bobby
Moore
e
l’argentino
Ardiles.
Famosissima
fu
una
delle
ultime
sequenze
del
film:
durante
la
cosiddetta
partita
della
morte
fra
nazisti
e
alleati,
un
cross
proveniente
da
destra
giunge
proprio
verso
Luis
Fernandez.
Lui
guarda
la
palla
e
con
un’incredibile
rovesciata
gonfia
la
rete
dei
nazisti,
siglando
uno
straordinario
goal
acrobatico.
Uno
dei
tanti
gesti
tecnici
fenomenali
che
il
grande,
grandissimo
Edson
Arantes
Do
Nascimento
aveva
fatto
nella
sua
lunga
carriera.