N. 88 - Aprile 2015
(CXIX)
Caio Giulio Cesare
Ritratto di un dictator perpetuus in lotta con il destino - Parte II
di Paola Scollo
Nel
graduale
percorso
di
Cesare
verso
la
conquista
del
potere
una
tappa
fondamentale
fu
l’assegnazione
del
governo
della
Gallia
Narbonese,
in
seguito
all’improvvisa
morte
di
Metello
Celere.
Veniva
così
a
prospettarsi
una
guerra
più
lunga
e
vasta,
ma
certamente
più
ambiziosa.
In
meno
di
dieci
anni
si
assicurò
più
di
ottocento
città,
assoggettò
trecento
popoli,
si
schierò
contro
tre
milioni
di
uomini,
uccidendone
un
milione
in
battaglia
e
facendone
altrettanti
prigionieri.
I
soldati
erano
ben
disposti
nei
suoi
confronti
e al
suo
seguito
divenivano
colmi
di
coraggio.
Era
proprio
Cesare
a
incentivare
tale
ardore,
compiacendo
i
soldati
e
premiandoli
senza
risparmio.
I
soldati
non
si
stupivano
tanto
per
l’amore
del
rischio
quanto,
piuttosto,
per
la
resistenza
alle
fatiche,
apparentemente
superiore
alle
possibilità
fisiche.
In
seguito
alla
prima
significativa
vittoria
su
Elvezi
e
Tugurini
nei
pressi
del
fiume
Arar
nel
58
a.C.,
Cesare
sostenne
una
seconda
guerra
contro
i
Germani.
Lasciato
l’esercito
a
svernare
nel
paese
dei
Sequani,
si
diresse
nella
Cisalpina,
provincia
a
lui
affidata.
I
ribelli
che
abitavano
lungo
la
riva
dell’Oceano
gli
si
arresero
senza
combattere;
di
contro,
fu
costretto
a
ingaggiare
una
spedizione
contro
i
Nervii,
che
vennero
massacrati.
In
tale
occasione
il
Senato
decretò
sacrifici
di
ringraziamento
agli
dèi
per
quindici
giorni,
«quanti
mai
per
nessuna
vittoria
precedente»
(Plut.,
Caes.
XX
10).
Rientrato
in
Gallia,
Cesare
dovette
far
fronte
al
conflitto
tra
le
popolazioni
germaniche
degli
Usipi
e
dei
Tenteriti.
In
diciotto
giorni
mise
a
fuoco
le
terre
dei
nemici.
Nella
narrazione
di
Plutarco
non
trovano
spazio
gli
eventi
militari
del
56
a.C.
L’attenzione
viene
piuttosto
focalizzata
sui
tentativi
di
Cesare
di
sistemare
la
situazione
politica
a
Roma.
Sul
filo
di
questa
direttrice,
la
guerra
gallica
non
era
che
una
parentesi.
Nell’aprile
del
56
a.C.
Cesare
si
recò
prima
a
Ravenna
e di
qui
a
Lucca
per
incontrare
Pompeo
e
Crasso.
Durante
i
colloqui
venne
concordata
la
candidatura
di
Pompeo
e
Crasso
al
consolato
per
il
55
a.C.
Inoltre,
Crasso
avrebbe
dovuto
ottenere
il
proconsolato
della
Siria
con
l’incarico
della
guerra
contro
i
Parti,
Pompeo
il
proconsolato
delle
due
Spagne
per
cinque
anni,
Cesare
la
proroga
del
proconsolato
delle
Gallie
per
altri
cinque
anni.
Pompeo
decise
poi
che
Gabinio,
governatore
della
Siria
e
già
tribuno
nel
67
a.C.,
avrebbe
dovuto
ricollocare
sul
trono
d’Egitto
il
re
Tolomeo
Aulete,
cacciato
in
seguito
a
una
rivoluzione.
Cesare
invece
avrebbe
dovuto
tenere
dieci
legioni
in
armi,
sostenute
con
i
soldi
dell’erario
pubblico.
Eletti
consoli
per
il
55
a.C.,
Pompeo
e
Crasso
si
impegnarono
a
trasformare
in
legge
tutti
i
provvedimenti
presi
nell’incontro
di
Lucca.
La
digressione
in
Plutarco
sul
convegno
costituisce
la
prova
decisiva
del
potere
smisurato
conquistato
da
Cesare.
Nel
novembre
del
55
a.C.
Crasso
si
recò
in
Oriente.
Pompeo,
trattenuto
nei
pressi
di
Roma
per
assolvere
l’incarico
dell’annona,
fu
costretto
a
inviare
ambasciatori
nelle
province.
Gabinio
portò
a
compimento
il
suo
incarico
in
Egitto.
Nel
53
a.C.
Crasso
fu
costretto
a
cedere:
i
Romani
sconfitti
dovettero
rinunciare
alla
Mesopotamia.
Mentre
a
Roma
la
situazione
appariva
drammatica,
Cesare
alla
fine
del
53
a.C.
fu
costretto
ad
affrontare
le
rivolte
dei
Galli,
guidati
da
Vercingetorige,
che
non
intendevano
rinunciare
all’indipendenza.
Pur
incontrando
notevoli
difficoltà,
riuscì
anche
in
questa
circostanza
a
confermare
la
propria
abilità
di
stratega.
La
resa
definitiva
dei
Galli
si
ebbe
nel
52
a.C.
con
la
caduta
di
Alesia.
Cesare
concesse
trattati
di
alleanza
ai
popoli
che
ne
avevano
facilitato
la
vittoria,
tra
cui
Edui,
Remi
e
Lingoni,
mentre
ridusse
gli
altri
in
condizione
di
tributari.