[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

N° 154 / OTTOBRE 2020 (CLXXXV)


contemporanea

INCHIESTA SUL 25 LUGLIO 1943
parte iV /LA SOLIDARIETÀ CHE MENO TI ASPETTI

di Federico Toscano

 

Un Panzer IV appartenente alla I divisione corazzata SS “Leibstandarte Adolf Hitler” irrompe nella mattina meneghina spezzando la routine di un giorno feriale ai piedi della Madonnina. L’“operazione Alarich” è iniziata e la Wehrmacht sta occupando le principali città della penisola senza che il Regio Esercito sia in grado di opporre efficace resistenza.

 

Questo ci racconta l’immagine iconica in copertina all’articolo. Essa è stata realizzata nel settembre 1943, ma sarebbe potuta essere scattata già alla fine di luglio. Per comprendere perché ciò non sia accaduto, occorre spostarsi di qualche centinaio di chilometri, da Milano alle calli della città lagunare.

 

 

Venezia, 1° agosto 1943, Hotel Danieli

 

In una saletta privata si incontrarono per un colloquio riservato il generale Cesare Amé, comandante del SIM e un piccolo entourage di personalità tedesche composto da due colonnelli, Erwin von Lahousen e Wessel Freytag von Loringhoven che accompagnavano l’ammiraglio Wilhelm Franz Canaris, a capo dell’Abwehr, il servizio segreto militare germanico.

 

Ufficialmente l’incontro era parte di una normale prassi di scambio di informazioni tra i vertici dell’intelligence di due paesi alleati, ma l’occasione era ghiotta per i convenuti per esprimere francamente le loro posizioni sulla situazione militare dell’Asse e sulla possibilità di concludere anzitempo il conflitto mondiale prima che le rispettive nazioni venissero distrutte economicamente e materialmente dalla strabiliante potenza degli Alleati.

 

Non a caso, il generale Amé che nutriva una certa stima nei confronti di Canaris non perse tempo per aggiornarlo sugli sviluppi della situazione politica italiana, raccontando della seduta del Gran Consiglio del 24 luglio e del successivo arresto di Mussolini l’indomani a opera dei militari, su ordine del Sovrano.

 

Dall’altra parte scoprì, ma se lo aspettava, un interlocutore particolarmente interessato: Canaris non era un nazista ortodosso, anzi era ormai persuaso da tempo della necessità di organizzare una congiura di palazzo anche in Germina per estromettere il Führer e la sua cricca di fanatici e concludere una pace che avrebbe risparmiato al suo paese le devastazioni che poi effettivamente patì.

 

L’ammiraglio dopo aver ascoltato il racconto del suo omologo decise di rivelare ad Amé, pregandolo, con fare preoccupato di avvertire il Maresciallo Badoglio, che Hitler era determinato a dare il via all’operazione Alarico, il piano segreto di invasione della penisola.

 

Il progetto tedesco assumeva il nome di un antico sovrano visigoto, Alarico per l’appunto, che riuscì a mettere a sacco Roma nell’anno 410 d.C. ed era stato elaborato nel corso dei mesi precedenti il luglio fatidico del 1943. Già dalla primavera stavano giungendo, infatti, al comando supremo tedesco voci allarmistiche circa la possibilità di un colpo di mano per estromettere il Duce dal potere: il colonnello delle SS di stanza nella Capitale, Eugen Dollmann, sempre ben informato degli affari italiani, riferendo a Himmler, si era detto sicuro dell’esistenza “di piani neppure troppo segreti di un colpo di Stato dei circoli ben noti” e anzi già faceva valutazioni su chi l’avrebbe alla fine spuntata in un conflitto armato tra i fascisti e i monarchici.

 

Stante queste notizie, il Comando supremo, riunitosi il 19 e 20 maggio, prese i primi provvedimenti, non solo di rafforzamento delle difese costiere e di invio di divisioni nell’Italia meridionale, in previsione di un probabile e prossimo sbarco alleato, ma anche per cautelarsi dalla non più remota possibilità di una defezione italiana.

 

Iniziò in questo modo l’organizzazione dell’operazione Alarico con l’affidamento del comando del gruppo di armate B che avrebbero dovuto occupare il nord Italia al feldmaresciallo Erwin Rommel: egli era una personalità che suscitava il rispetto e anche l’ammirazione di molti fascisti italiani e che si riteneva potesse con la sua fama, acquisita sui cambi di battaglia in nordfrica, coinvolgere nella lotta quanti più uomini possibile.

 

La zona settentrionale della penisola era, infatti, di vitale importanza per il Reich, che intendeva sfruttarla da un punto di vista produttivo per accrescere le sue capacità di resistenza rispetto all’impatto con le superiori potenze economiche americane e sovietiche.

 

A questo scopo era stato già predisposto un piano da parte dell’ufficio armamenti della Wehrmacht, nella persona del generale di divisione von Horsting, per traferire in tutta segretezza le materie prime essenziali e buona parte degli impianti utili all’industria bellica dal mezzogiorno, che dunque assurgeva a ruolo di mero campo di battaglia, fino all’Italia settentrionale, settore funzionale all’economia di guerra.

 

 

Roma, 1° agosto 1943, via Bruxelles, abitazione privata di Pietro Badoglio

 

Il Capo del Governo, appresa la notizia dell’imminente azione militare tedesca, rimase evidentemente sconcertato e iniziò a temere seriamente per la sua sorte e per quella della Corona ma nonostante ciò agì con prontezza e mandò subito a chiamare, per un incontro privato nel suo appartamento romano, l’addetto militare presso l’ambasciata germanica Enno von Rintelen: i due si conoscevano da diversi anni, avendo frequentato i medesimi circoli monarchici dove si intrattenevano saggiando liquori e vini di prima qualità tra una partita a bridge e l’altra.

 

Badoglio confidava di convincere l’amico tedesco ad attivarsi in ogni modo per bloccare l’iniziativa hitleriana.

 

Poco dopo il generale von Rintelen era nel suo appartamento, e l’anziano Maresciallo, nel farlo accomodare era coscio che l’unica possibilità di poter scongiurare una invasione dell’Italia risiedeva nel far leva sui sentimenti monarchici dell’addetto militare tedesco e sulla sua estraneità rispetto alla causa nazista: infatti sia quest’ultimo che l’ambasciatore von Mackensen erano di estrazione aristocratica e avevano aderito al regime nazista più per salvare i privilegi, le rendite e il peso economico dell’antica casta prussiana, minacciata dai rivolgimenti sociali degli anni trenta, che per reale condivisione dei programmi politici e ideologici nazionalsocialisti.

 

In buona sostanza temevano che il loro ceto, anacronismo ottocentesco, venisse spazzato via dall’emergere del movimento operaio e contadino con le sue rivendicazioni di redistribuzione della ricchezza, di una fiscalità più equa e di maggiori garanzie sui diritti sociali e furono ben felici di avallare l’ascesa del nazismo che prometteva di stroncare il movimento comunista.

 

Le camicie brune (SA), del resto, già prima del gennaio 1933, avevano dato vita a brutali pestaggi e omicidi di sindacalisti e leader politici delle formazioni di sinistra e una volta divenuto cancelliere fu lo stesso Hitler a far arrestare e deportare nei primi campi di concentramento i parlamentari socialdemocratici, liberali e chiunque si opponesse al nascente regime.

 

Ma i tempi erano cambiati e dieci anni dopo, il rapporto tra aristocrazia tedesca e nazismo si andava incrinando: le sorti del conflitto mondiale si facevano sfavorevoli per la Germania e il pericolo comunista, nonostante i propositi di annientamento hitleriani, era ancor più temibile che in precedenza e dunque gli esponenti della casta militare prussiana erano adesso disposti a smarcarsi dalla linea politica e militare del Führer.

 

Tra questi vi era il generale Rintelen, che nel corso dell’incontro sopracitato annotò su un taccuino le argomentazioni del Capo del Governo e sulla base delle posizioni ideologiche predette, una più di tutte lo convinse a imbarcarsi sul primo volo diretto in Germania. Badoglio infatti, nel congedarlo gli disse: “se il mio governo crolla, sarà sicuramente sostituito da un altro a tinta bolscevica. E questo, caro amico, non è nel nostro e neppure nel vostro interesse”.

 

 

Turbato dalle previsioni alquanto nefaste del maresciallo, Rintelen, rapidamente si mise in viaggio alla volta della Tana del Lupo per una missione quasi disperata: lo attendeva infatti il Führer. Era quest’ultimo, già particolarmente diffidente nei confronti dei diplomatici tedeschi a Roma, che l’addetto militare doveva convincere circa la buona fede del nuovo governo italiano.

 

Egli in un primo momento, con l’aiuto di alcuni generali vicini a Hitler, dubbiosi quanto lui circa l’opportunità di avviare Alarico, riuscì a prendere tempo, rinviando la decisione finale all’esito di un incontro tra gli stati maggiori generali italo-tedeschi da tenersi a Tarvisio.

 

Ma proprio quando tutto sembrava ormai perduto, giunse un inaspettato aiuto al povero Rintelen: il generale delle SS Josep Dietrich, fedelissimo del Führer e a capo della potente ed efficiente divisione corazzata “Leibstandarte Adolf Hitler” era arrivato a Roma per predisporre personalmente l’arresto del Re Vittorio Emanuele III, del Principe ereditario Umberto e di tutto il governo italiano.

 

Egli parlando con il colonnello Dollmann, si era persuaso della intempestività dell’azione tedesca, utile solamente per fornire il pretesto per una plateale rottura dell’alleanza da parte dell’Italia. Dietrich temeva che in quel frangente si sarebbe solamente aperto un ulteriore fronte di combattimento nelle retrovie in un quadro di pesante incertezza militare.

 

Da lui arrivò quindi la spinta decisiva, che convinse definitivamente Hitler a sospendere l’esecuzione di Alarico il 3 agosto, dando la possibilità così al Colpo di Stato del 25 luglio di ottenere un successo, quantomeno insperato alla vigilia.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

A. Petacco, S. Zavoli, Dal Gran Consiglio al Gran Sasso, una storia da rifare, Mondadori, Milano, 2013.

L. Klinkhammer, L’occupazione tedesca in Italia 1943-1945, Bollati Boringhieri, Torino, 1993 (ed. or., Zwischem Bündnis und Besatzung. Das nationalsozialistiche Deutschland und die Rupublik von Salò 1943 bis 45, Max Niemeyer Verlag GmbH & Co. KG, Tübingen, 1993).

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]