contemporanea
Inchiesta sul 25 luglio 1943
PARTE I /
Le convulse giornate in cui crollò il
regime
di Federico Toscano
Roma, 24 luglio 1943 XXI E.F.
Palazzo Venezia e dintorni
Nella calura estiva la capitale
dell’Impero fascista si risveglia
frastornata. La città è impaurita dopo
il primo bombardamento delle “fortezze
volanti”, i grandi bombardieri
quadrimotore degli Alleati, che hanno
colpito pesantemente il quartiere San
Lorenzo il giorno 19, ma non rinuncia
almeno nelle strade del centro alla
vita, in un fine settimana afoso di
luglio.
I luoghi di ritrovo su via del Corso
sono affollati, in particolare il Caffè
Aragno, ai cui tavolini siedono da mezzo
secolo artisti, letterati e giornalisti
(qualche tempo addietro era frequentato
anche da un giovanissimo Galeazzo Ciano,
all’epoca immerso nella vita mondana e
nel clima bohémien che si
respirava nei circoli intellettuali
romani), che non fanno che domandarsi
cosa accadrà nell’imminente seduta del
Gran Consiglio del fascismo convocata
per le ore 17:00 a Palazzo Venezia.
A poche centinaia di metri da lì,
infatti, nella nuova sede (dal 16
settembre 1929) della Presidenza del
Consiglio, i 28 maggiorenti del regime
si stanno affrettando a raggiungere la
Sala del Pappagallo per dare vita
all’ultimo atto della dittatura
fascista.
Il Gran Consiglio del fascismo era stato
istituito nel 1923 (la prima seduta era
datata 12 gennaio presso le stanze
private di Mussolini al Grand Hôtel di
Roma) con funzioni inizialmente
consultive, fino al 1928, quando gli
vennero attribuite delle competenze
effettive che lo collocarono tra gli
organi di vertice dello stato. Esso
infatti deliberava sulla lista dei
candidati alla Camera dei Deputati,
almeno sino al 1939, quando quest’ultima
fu sostituita dalla Camera dei Fasci e
delle corporazioni di natura non
elettiva e doveva essere sentito per un
parere sulle più rilevanti questioni di
ordine costituzionale, tra le quali la
successione al Trono del Regno e le
attribuzioni e le prerogative della
Corona.
L’ultima seduta di questo organo prima
della convocazione del 24 luglio,
risaliva però alla notte tra il 7 e l’8
dicembre 1939 (era consuetudine che le
riunioni, che dovevano rimanere segrete,
iniziassero alle 22 la sera e spesso
esse si protraevano fino alle prime luci
dell’alba) allorché si confermò la
decisione della “non belligeranza” nella
guerra mondiale iniziata il 1°settembre
con l’attacco tedesco alla Polonia. Da
allora, tutte le decisioni più
rilevanti, compreso l’ingresso in guerra
del 10 giugno 1940, furono assunte dal
Duce senza consultare l’organo supremo
del regime.
Giunti però al luglio 1943 la situazione
militare imponeva una seria riflessione
sull’andamento del conflitto e sul
proseguimento dello sforzo bellico
affianco dell’alleato tedesco: il quadro
delle operazioni sul campo di mese in
mese si faceva sempre più difficile per
le forze dell’Asse, sul fronte orientale
la VI armata del feldmaresciallo Von
Paulus si era arresa nella sacca di
Stalingrado il 2 febbraio e da allora
l’Armata Rossa aveva ripreso
l’iniziativa contrattaccando
massicciamente e respingendo verso ovest
gli invasori tedeschi e quel poco che
rimaneva dell’Armir, mentre nel teatro
nordafricano le truppe di occupazione
coloniale italiane assieme all’Africa
Korps di Rommel venivano sbaragliate e
ricacciate in mare nel preludio
all’invasione dell’Italia che scattò il
10 luglio con lo sbarco dei primi
reparti alleati in Sicilia.
Stante così la situazione, venerdì 16
luglio, il segretario del PNF Carlo
Scorza assieme a una quindicina di
gerarchi si erano recati in udienza dal
Duce per sollecitare una convocazione
urgente del Gran Consiglio che
Mussolini, seppur con qualche mal di
pancia, avallò. Effettivamente il 21
luglio, dopo il colloquio bilaterale di
Feltre con Hitler, il Duce comunicò la
data della riunione fissata per quel
sabato 24.
L’atmosfera è carica di tensione in una
Piazza Venezia deserta: secondo le
disposizioni essa non può essere
attraversata in bicicletta, né vi si può
sostare, a meno che non si voglia essere
richiamati da qualche agente in borghese
della guardia presidenziale. Per
l’occasione non è stato nemmeno esposto
il gagliardetto dal celebre balcone, che
sta a indicare l’imminenza della
riunione della suprema assise, né è
prevista la presenza del reparto dei
“Moschettieri” del Duce, l’equivalente
fascista del corpo dei Corazzieri Reali.
Finalmente alle 17:15 Benito Mussolini
assieme al segretario del partito Scorza
varca la soglia della Sala del
Pappagallo e accomodandosi sullo scranno
rialzato da inizio ufficialmente alla
seduta.
Purtroppo non fu redatto un processo
verbale (validato dalla firma di tutti i
partecipanti) di quest’ultima riunione
del supremo organo del regime, dunque
non disponiamo di una versione univoca
dei fatti, bensì degli appunti
singolarmente presi dai vari gerarchi e
del racconto che della seduta si fece
nei memoriali usciti negli anni
successivi.
Ciò su cui tutti furono concordi è che,
in seguito alla relazione iniziale del
Capo del Governo, fu presentato nel
corso del consueto dibattito, l’ordine
del giorno a prima firma Dino Grandi che
proponeva di ristabilire la pienezza di
funzioni a tutti gli organi dello Stato
che erano stati progressivamente
svuotati delle loro prerogative nel
corso di venti anni di regime:
Parlamento, Governo e in special modo la
Corona alla quale si richiedeva di
assumere il comando supremo ed effettivo
delle forze armate e le responsabilità
affidategli dall’art. 5 dello Statuto
Albertino in ordine alla possibilità di
avviare trattative per una pace
separata.
Evidentemente questo atto, che a tarda
notte fu approvato dall’assise di
Palazzo Venezia (19 voti favorevoli, 1
astenuto e 8 contrari), costituiva in
primo luogo una vera e propria sfiducia
politica, almeno nelle intenzioni di
Grandi, nei confronti dell’operato del
Capo del Governo e della sua linea di
stretta intesa con la Germania, vista
ormai come deleteria per gli interessi e
l’integrità nazionale nonché un pesante
affondo nei confronti dell’intera
condotta strategica delle operazioni
belliche che Mussolini aveva assunto dal
giugno 1940.
Una volta tolta la riunione a notte
inoltrata, il Duce si trattiene nel suo
studio con Scorza e i gerarchi a lui più
vicini prima di chiudere la giornata di
lavoro rientrando a Villa Torlonia, dove
una preoccupata donna Rachele, sua
moglie, lo attende ancora sveglia.
Roma, 25 luglio 1943 XXI E.F.
abitazione privata dell’avvocato Mario
Zamboni
Sono passate le 2:30 del mattino quando
giungono in casa del consigliere
nazionale e amico fidato di Grandi Mario
Zamboni, entrando da due ingressi
distinti, il Presidente della Camera dei
Fasci e delle Corporazioni e il Ministro
della Real Casa, duca Pietro Acquarone
per un colloquio sugli sviluppi della
situazione politica. Grandi inizia con
il riferire che ormai il dado è tratto e
che Mussolini è stato sfiduciato: è
adesso necessario, a sua detta, formare
un nuovo esecutivo tecnico-militare che
avvii al più presto un negoziato con gli
Alleati per lo sganciamento dell’Italia
dall’Asse.
A tal proposito, Acquarone riportava le
intenzione del Sovrano di nominare come
nuovo Capo del Governo, il maresciallo
d’Italia Pietro Badoglio, ma Grandi
reagiva con preoccupazione indicando nel
maresciallo Enrico Caviglia un nome più
consono per il ruolo di Primo Ministro,
non essendo egli compromesso con il
regime e godendo anche della stima di
alcuni osservatori internazionali, in
particolare britannici e aggiungendo che
avrebbe ben visto al ministero degli
esteri Alberto Pirelli, noto
imprenditore e manager con parecchi
contatti nel mondo della finanza
internazionale. La riunione infine
terminava con l’impegno da parte dei
convenuti a tenersi in stretto contatto
nei giorni avvenire.
Roma, 25 luglio 1943 XXI E.F.
Villa Savoia
Sono le 17:00 quando l’automobile,
guidata dal fido Ercole Boratto, con a
bordo Benito Mussolini e il suo
segretario particolare Nicolò De Cesare
varca l’ingresso della residenza reale
sulla via Salaria e si ferma davanti
l’ingresso dove il Re Vittorio Emanuele
III attende il suo Primo Ministro.
Durante la mattina era stata chiesta e
accordata un udienza per discutere della
situazione militare sempre più
compromessa in Sicilia e per riferire
circa gli esiti della riunione fiume del
Gran Consiglio.
Il Sovrano accoglie dunque in una
atmosfera tesissima Mussolini e lo fa
accomodare, non prima di aver intascato
una rivoltella fornitagli per ogni
evenienza dal suo aiutante di campo,
generale Paolo Puntoni e di aver
predisposto una sorveglianza pronta a
intervenire al di là della porta.
Il colloquio di breve durata serve in
realtà solamente per comunicare la
decisione di sostituire il Duce con il
maresciallo Pietro Badoglio e infatti
uno sconsolato Mussolini, dopo appena
venti minuti, esce dimissionario e non
fa in tempo a scendere gli scalini
dell’ingresso della villa, che viene
raggiunto da due carabinieri.
I due militari, il capitano Paolo
Vigneri e il suo collega Raffaele
Aversa, con la scusa di sottrarlo ai
pericolosi tumulti della popolazione e a
possibili aggressioni alla sua persona
lo traggono in realtà in arresto e dopo
averlo caricato su un autoambulanza, lo
traducono in gran segreto nella caserma
dei Carabinieri Reali “Podgora”.
Qui, alloggiato nel circolo ufficiali,
inizia la sua detenzione Benito
Mussolini.
Riferimenti bibliografici:
E. Gentile, 25 luglio 1943,
Laterza, Bari 2018.
P.L. Vercesi, La notte in cui
Mussolini perse la testa, Neri
Pozza, Vicenza 2019.
A. Petacco, S. Zavoli, Dal Gran
Consiglio al Gran Sasso,
Mondadori, Milano 2013. |