N. 91 - Luglio 2015
(CXXII)
LA CADUTA DI NAPOLEONE
DA LIPSIA A WATERLOO: LA FINE DELL’IMPERO FRANCESE
di Davide Galluzzi
Il
18
giugno
1815,
esattamente
duecento
anni
fa,
una
battaglia
decise
le
sorti
dell’Europa.
Ci
riferiamo,
ovviamente,
alla
battaglia
di
Waterloo
che
portò
alla
sconfitta
definitiva
di
Napoleone
Bonaparte
e
alla
vittoria
delle
forze
reazionarie
coalizzate.
La
conseguenza
fu
l’affermazione
dei
principi
sanciti
dal
Congresso
di
Vienna
dominato
dall’aristocrazia
intenzionata
a
portare
indietro
le
lancette
dell’orologio
della
Storia.
Abbiamo
già
analizzato,
seppur
brevemente,
il
Congresso
di
Vienna
e le
sue
decisioni.
In
questo
nuovo
articolo
analizzeremo,
altrettanto
brevemente,
il
ritorno
di
Napoleone
e la
sua
definitiva
caduta.
La
prima
caduta
di
Napoleone
La
disfatta
Russia
portò
con
sé
il
declino
dell’Impero
francese.
Anzitutto,
in
seguito
alla
sconfitta
napoleonica,
la
Prussia
si
schierò
al
fianco
della
Russia,
volgendo
quindi
le
armi
contro
la
Francia.
Il
traballante
dominio
napoleonico
riuscì
comunque
a
resistere
e a
respingere
più
volte
gli
attacchi
nemici,
giungendo
infine
ad
un
armistizio.
In
mezzo
a
tutto
questo
l’Austria
stava
a
guardare,
chiusa
in
una
incerta
neutralità.
Risulta
evidente
che
all’Impero
asburgico
toccava
il
ruolo
di
ago
della
bilancia:
il
suo
schieramento
a
fianco
dell’uno
o
dell’altro
attore
avrebbe
comportato
la
vittoria
di
una
delle
fazioni
in
lotta.
Dal
canto
suo
Napoleone
sperava
che
il
dominio
dinastico
(sua
moglie,
Maria
Luigia,
era
figlia
dell’imperatore
Francesco
I)
facesse
schierare
l’Austria
al
suo
fianco
o,
per
lo
meno,
la
spingesse
a
non
rompere
la
neutralità.
Le
speranze
napoleoniche
si
rivelarono
vane.
L’imperatore
dei
francesi
veniva
visto
ancora
come
un
parvenu
dalle
corti
europee,
veniva
visto
sempre
come
un
generale
corso
salito
al
potere
tramite
la
Rivoluzione
e di
questa
Rivoluzione,
sebbene
degenerata
in
impero,
ancora
figlio
e
rappresentante.
Il
solo
legame
dinastico,
peraltro
ottenuto
come
suggello
della
Pace
di
Vienna
(e
quindi
della
grave
sconfitta
asburgica),
non
poteva
rivelarsi
decisivo.
Ma
sulle
future
scelte
dell’Austria
non
pesavano
solo
motivi
ideologici,
ma
anche
motivi
più
materiali,
come
l’appoggio
finanziario
di
Londra,
necessario
nella
situazione
di
crisi
in
cui
versava
l’impero.
Il
26
giugno
1813
Napoleone
incontrò
Metternich
a
Dresda,
ma i
colloqui
austro-francesi
caddero
a
seguito
delle
pesanti
richieste
di
Vienna
(ritiro
francese
da
Polonia
e
Illiria,
scioglimento
della
Confederazione
del
Reno,
rinascita
della
Prussia…).
L’11
agosto
dello
stesso
anno
l’Austria
si
schierò
a
fianco
di
Inghilterra,
Prussia,
Russia
e
Svezia:
nasceva
la
sesta
coalizione.
L’apertura
di
numerosi
fronti
portò
alla
disfatta
dell’esercito
francese.
Dopo
una
prima
vittoria
a
Dresda
le
armate
napoleoniche
furono
sconfitte
a
Lipsia
dagli
eserciti
della
coalizione
(la
cosiddetta
“battaglia
delle
nazioni”).
Con
la
sconfitta
militare
l’Impero
francese
cominciò
a
sfaldarsi.
Non
solo
sempre
più
territori
sottomessi
abbandonavano
l’impero
schierandosi
a
fianco
della
coalizione,
ma
anche
nella
stessa
famiglia
imperiale
iniziò
a
serpeggiare
il
panico
e il
tradimento:
Gioacchino
Murat,
deciso
a
salvaguardare
il
proprio
dominio,
schierò
il
Regno
di
Napoli
a
fianco
dell’Austria.
Risultava
ormai
chiaro
che
il
destino
di
Napoleone
era
segnato,
ma
il
fronte
dei
vincitori
era
tutt’altro
che
compatto.
Riguardo
alla
successione
la
Russia
era
intenzionata
a
farla
finita
con
la
dinastia
napoleonica
e
voleva
sul
trono
il
generale
Bernadotte.
Dall’altro
lato
l’Austria
era
intenzionata,
questa
volta
sì,
a
far
valere
il
legame
dinastico
e
proponeva
che
il
trono
francese
venisse
dato
al
figlio
di
Napoleone
e
Maria
Luigia,
alla
quale
sarebbe
andata,
ovviamente,
la
reggenza.
Metternich
propose
una
pace
basata
sulle
frontiere
naturali
della
Francia,
ma
Napoleone,
intenzionato
a
resistere,
non
accettò
l’offerta.
Altro
segno
di
frattura
all’interno
della
Francia:
il
Corpo
legislativo
approvò
una
mozione
che
vincolava
l’imperatore
ad
una
guerra
puramente
difensiva.
La
mozione
fu
rifiutata
e il
Corpo
legislativo
venne
aggiornato.
Se
le
defezioni,
i
tradimenti
e le
fratture
politiche
davano
l’idea
di
un
impero
sull’orlo
del
tracollo
le
successive
vittorie
militari
contro
Prussia
e
Austria
intimorirono
le
forze
della
coalizione.
La
svolta
arrivò
grazie
all’abile
lavoro
diplomatico
del
ministro
degli
esteri
inglese,
Lord
Castlereagh.
Il 9
marzo
1814
venne
firmato
il
Patto
di
Chaumont
che
impegnava
Austria,
Prussia,
Russia
e
Inghilterra
in
una
guerra
ventennale
contro
la
Francia
e
vietava
la
firma
di
paci
separate.
Trionfava
così
la
linea
della
guerra
a
oltranza:
le
armi
sarebbero
state
deposte
solo
in
caso
di
sconfitta
definitiva
di
Napoleone
(o,
è
pacifico,
della
coalizione).
Il
31
marzo
1814
gli
eserciti
della
coalizione
entrarono
a
Parigi.
L’inossidabile
Talleyrand
si
pose
a
capo
di
un
governo
provvisorio,
mentre
il
Senato
dichiarò
decaduto
Napoleone
e,
redatta
una
nuova
costituzione,
richiamò
sul
trono
Luigi
XVIII
di
Borbone.
Bonaparte,
dal
canto
suo,
si
ritirò
a
Fontainebleau,
intenzionato
a
resistere
a
oltranza.
Ci
pensarono
i
suoi
marescialli
a
farlo
desistere,
imponendogli
l’abdicazione
a
favore
del
figlio.
Fu a
questo
punto
che
lo
zar,
accortosi
che
né
l’esercito
né
la
nazione
appoggiavano
più
il
decaduto
imperatore,
impose
l’abdicazione
senza
condizioni.
Il
17
aprile,
travestito
da
soldato
austriaco
per
evitare
l’ostilità
del
popolo,
Napoleone
partiva
per
l’Isola
d’Elba,
la
cui
sovranità
ottenne
per
grazia
dei
vincitori.
Il
ritorno
di
Napoleone
Giunto
all’Elba
Bonaparte
guardava
con
un
occhio
gli
affari
dell’isola,
mentre
con
l’altro
osservava
attentamente
la
situazione
in
Francia,
aspettando
il
momento
adatto
per
il
ritorno
al
potere.
Quello
che
Napoleone
vide
lo
rincuorò.
Tornato
sul
trono
Luigi
XVIII
non
perse
tempo
e si
inimicò
ben
presto
la
nazione.
Da
un
lato
egli
rifiutò
il
principio
della
sovranità
popolare
e
rifiutò
la
costituzione
senatoriale
dichiarando
che
il
suo
potere
derivava
non
dal
popolo,
ma
dal
diritto
dinastico.
In
seguito
concesse
una
carta
(la
cosiddetta
carta
octroyée)
la
quale,
proprio
perché
concessa
dal
sovrano,
poteva
dal
sovrano
essere
ritirata.
Queste
decisioni
allontanarono
dal
trono
le
simpatie
della
borghesia.
Oltre
alla
borghesia
si
allontanò
dalla
monarchia
anche
l’esercito.
Altri
due
fattori
contribuirono
al
distacco
tra
monarchia
e
nazione:
i
vaneggiamenti
degli
ultra-reazionari
intenzionati
a
ristabilire
l’antico
regime
e le
decisioni
del
Congresso
di
Vienna,
che
riportarono
la
Francia
ai
confini
del
1792.
Sempre
più
francesi
vedevano
in
Luigi
XVIII
un
monarca
imposto
dalle
armi
nemiche,
vedevano
nel
re
il
simbolo
della
sconfitta
della
Francia.
Napoleone
capì
che
era
giunto
il
momento
di
agire:
il
1°
marzo
1815
Bonaparte
sbarcava
in
Francia,
accolto
festosamente
dal
popolo.
A
Parigi
si
decise
di
inviare
Ney
(ex
maresciallo
dell’Impero
che
costrinse
Bonaparte
ad
abdicare)
a
spazzare
via
Napoleone
e i
suoi.
Sia
Ney
che
i
suoi
uomini
disobbedirono
agli
ordini
e si
schiararono
a
fianco
di
Napoleone,
il
quale
continuò
la
sua
rapida
e
trionfante
marcia
fino
a
Parigi.
Luigi
XVIII,
accortosi
che
il
suo
dominio
era
giunto
alla
fine,
fuggì
in
esilio.
Il
20
marzo
Napoleone
entrava
trionfalmente
alle
Tuileries.
L’imperatore
capì
subito
che
il
suo
ritorno
sul
trono
fu
causato
dallo
schieramento
al
suo
fianco
dei
lavoratori
(contadini
e
operai),
mentre
la
borghesia
rimaneva
fredda
e
neutrale.
Intenzionato
a
non
cedere
ad
una
nuova
ondata
rivoluzionaria
e
desideroso
di
ingraziarsi
la
borghesia,
Napoleone
propose
a
Benjamin
Constant,
rappresentante
dei
liberali,
di
redigere
una
riforma
imperiale.
Constant
pensò
subito
ad
una
nuova
costituzione
liberale,
ma
l’imperatore
lo
fermò:
egli
desiderava
solo
ad
un
Atto
addizionale
alla
costituzione
imperiale.
Apparve
dunque
chiara,
al
di
là
dei
proclami
liberali,
la
continuità
con
la
politica
reazionaria
del
vecchio
Impero,
cosa
che
allontanò
ancora
di
più
la
borghesia,
la
quale
decise
di
seguire
passivamente
il
corso
degli
eventi
in
attesa
di
un
ritorno
di
Luigi
XVIII,
nella
speranza
che
la
monarchia
borbonica
potesse
dimostrarsi
più
“liberale”
dell’impero
napoleonico.
In
mezzo
al
distacco
tra
borghesia
e
impero,
al
“segreto”
tradimento
di
Fouché
e
all’insurrezione
realista
in
Vandea,
Napoleone
volse
il
suo
sguardo
alla
politica
internazionale,
conscio
del
fatto
che,
difficilmente,
i
suoi
vecchi
nemici
lo
avrebbero
lasciato
sul
trono
di
Francia.
Le
potenze
europee,
infatti,
rinnovarono
subito
il
Patto
di
Chaumont,
decisi
a
farla
finita
una
volta
per
tutte
con
l’esperienza
bonapartista.
L’imperatore
dei
francesi,
dal
canto
suo,
decise
di
non
proclamare
la
leva
di
massa
e si
affidò
al
solo
esercito,
nettamente
inferiore
di
numero
rispetto
alle
armate
della
coalizione.
Waterloo
e la
seconda
caduta
di
Napoleone
Comprendendo
che
la
guerra
era
inevitabile
Napoleone
decise
di
agire
rapidamente
ed
entrò
in
Belgio.
La
sorte
sembrò
arridergli.
Le
armate
napoleoniche
sconfissero
le
truppe
del
prussiano
Blücher
a
Ligny.
Fu
in
seguito
a
questa
battaglia
che
Bonaparte
commise
uno
degli
errori
che
risulteranno
poi
fatali:
divise
le
sue
armate.
Mentre
con
una
parte
delle
truppe
proseguì
l’avanzata
l’imperatore
ordinò
ad
un
altro
settore
dell’esercito,
comandato
da
Grouchy,
di
inseguire
le
truppe
di
Blücher,
intenzionato
ad
impedire
una
unione
dell’esercito
prussiano
con
quello
inglese.
Giunto
a
Waterloo
Napoleone
affrontò
le
armate
di
Wellington.
Nonostante
la
tenace
resistenza
dei
soldati
inglesi
disposti
in
una
formazione
a
quadrato,
le
sorti
della
battaglia
sembrarono
a
lungo
incerte.
Solo
in
serata,
con
l’arrivo
di
Blücher,
la
sconfitta
francese
fu
definitiva.
Nonostante
l’esercito
in
rotta
Bonaparte
pensò
subito
a
riorganizzare
la
resistenza
a
Parigi,
appoggiato
dal
popolo
e
dal
fratello
Luciano.
Fu
nuovamente
la
Camera
a
voltare
le
spalle
a
Napoleone,
imponendogli
l’abdicazione
in
favore
del
figlio.
In
seguito
una
commissione
esecutiva,
guidata
questa
volta
da
Fouché,
impose
al
deposto
imperatore
di
allontanarsi
dalla
capitale.
Risultava
ormai
chiaro
il
distacco
definitivo
tra
l’imperatore
e la
borghesia
che,
a
lungo,
fu
la
base
del
suo
potere.
Giunto
a
Rochefort
Bonaparte
pensò
per
un
momento
di
ritirarsi
a
vita
privata
negli
Stati
Uniti,
ma
in
seguito
decise
di
consegnarsi
alle
autorità
britanniche
presentandosi
spontaneamente
al
vascello
Bellerophon.
Il 9
agosto
1815
Bonaparte,
imperatore
decaduto
destinato
ad
entrare
nella
leggenda,
partiva
per
la
sperduta
isola
di
Sant’Elena,
dalla
quale
non
sarebbe
mai
tornato.