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[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

N° 156 / DICEMBRE 2020 (CLXXXVII)


moderna

SULLA CRITICA ALLA CACCIA ALLE STREGHE

LE OPERE DI JOHANN WIER E FRIEDRICH SPEE

di Enrico Targa

 

Il mondo di una strega in Europa, alla fine del Cinquecento, appariva molto complesso; tuttavia se ancora molti erano coloro che prestavano fede all’esistenza delle streghe, lo scetticismo iniziava a seminare i suoi dubbi e a proclamare che i presunti poteri delle streghe si riducevano a niente.

 

Molti “cacciatori di streghe”, come testimonia il Trattato di demonologia o Compendium maleficarum (1605) che ci offre una rappresentazione esaustiva del sabba, della gerarchia dei demoni e degli usi dei veleni da parte delle fattucchiere scritto dal frate Francesco Maria Guaccio, credevano che alcuni esseri umani si riunissero notte-tempo, adorassero il diavolo, fossero capaci di guastare raccolti e uccidere il bestiame, e più in generale, fossero agenti del male nella storia.

 

Molti di questi cacciatori erano più preoccupati di limitare le cacce che non ad aumentarle e coloro che erano scettici al riguardo della stregoneria di rado abbandonavano tale credenza in nome della ragione o del materialismo e benché il mondo della stregoneria così come lo conobbe il secolo XVI sia ormai finito, pezzi importanti del mondo delle streghe sopravvivono ancora oggi e agiscono tra noi: basta pensare ai successi editoriali delle opere di Padre Gabriele Amorth, al Trattato di Demonologia di padre José Antonio Fortea Cucurull o al più recente libro Il mio nome è Satana. Storie di esorcismi dal Vaticano a Medjugorje giornalista e vaticanista Fabio Marchese Ragona.

 

Sia la forza che i limiti dello scetticismo rinascimentale nei confronti della stregoneria sono evidenti nel demonologo e medico olandese Johannes Wier, il più famoso tra tutti gli scrittori che nel Cinquecento criticarono la caccia alle streghe. Wier fu allievo di Agrippa e medico di Guglielmo V, duca di Cleves.

 

Oltre a rispecchiare l’atteggiamento negativo di Agrippa nei confronti della negromanzia e la tolleranza di Erasmo nei confronti degli accusati di stregoneria, il suo pensiero si rifaceva a una tradizione molte forte negli ambienti teologici luterani, che sulla base del Canone Episcopi sosteneva che le streghe erano ingannate dal diavolo. Wier criticò il Malleus Maleficarum e utilizzò forse per primo il termine “malato di mente” o melanconia per designare quelle donne accusate di praticare la stregoneria.

 

In un’epoca in cui i processi e le esecuzioni alle streghe stavano appena cominciando a essere comuni, cercò di derogare alla legge sul perseguimento di stregoneria. Affermò che non solo i casi di magia, di cui erano accusate molte donne soprattutto anziane, erano in gran parte non credibili, ma che il crimine di stregoneria era letteralmente impossibile, così che chiunque avesse confessato il crimine era probabilmente affetto da qualche disturbo mentale (principalmente “malinconia”, che a quel tempo era molto categoria flessibile con molti sintomi diversi).

 

Inoltre, secondo alcuni studiosi, Wier derise il concetto di gerarchia infernale che i precedenti grimori (libri di magia) avevano stabilito scrivendo due libri e intitolando il suo catalogo di demoni Pseudomonarchia Daemonum. L’opera conobbe ben otto edizioni e dal 1566 fu divisa in sei libri: il primo libro dell’opera tratta dell’origine e dei poteri del diavolo, il secondo dei maghi, il terzo delle streghe, il quarto degli indemoniati e di coloro che ritengono di essere vittime di malefici, il quinto della loro guarigione e il sesto della punizione da infliggere alle streghe e ai maghi. Sigmund Freud citò l’opera come uno dei dieci libri più rilevanti di tutti i tempi. Wier individua nell’azione del diavolo l’origine della credenza dei poteri che venivano attribuite alle cosiddette streghe: il diavolo otteneva il duplice scopo di ingannare tanto le donne, pervertendo le loro menti, quanto coloro che le giudicavano e le condannavano.

 

Condanne a morte tanto più ingiuste, perché basate, secondo Wier, su una erronea traduzione di un passo biblico - Esodo 22, 18: «non lascerai vivere la strega»  che in realtà si riferisce agli autori dei venefici. Gli argomenti trattati nell’opera avevano pertanto una natura teologica, portando le Scritture a testimonianza degli inganni diabolici, una filosofica, dimostrando in che modo il diavolo corrompesse l’immaginazione delle streghe, una medica, dimostrando come nel comportamento delle streghe vi fosse una causa morbosa, e una giuridica, rivelando, dopo aver distinto tra maghi, streghe e autori di venefici, come le streghe in realtà non fossero in grado di provocare alcun danno, non avendo esse alcun potere reale, si applicassero pene graduate secondo qualità e gravità dei delitti, diversamente da come attualmente veniva fatto. Come intese presentare la sua interpretazione del fenomeno stregonesco?

 

Intanto, sin dal titolo, volle concentrarsi maggiormente sugli artefici, i demoni, e non le streghe. Cercò di demolire l’edificio teorico seguendo quattro argomentazioni principali, teologica, filosofica, medico-scientifica e giurisprudenziale-legale: per l’aspetto teologico, avrebbe chiamato a testimone le Sacre Scritture per svelare gli inganni demoniaci; mentre, grazie alla filosofia, avrebbe indicato le ragioni naturali con cui i demoni illudevano e pervertivano l’immaginazione delle streghe, poi, con la medicina e la scienza, avrebbe individuato alcune malattie come origine di certi disturbi per cui le donne anziane erano predisposte all’azione dei demoni; ma, soprattutto, basandosi sul diritto penale e sulla giurisprudenza avrebbe discusso della diversa pena che ‘meritavano’ maghi, streghe e venefici.

 

Secondo Wier, il diavolo con il suo esercito governava il mondo delle tenebre e traeva vigore dalle menti offuscate, quindi con l’aiuto e la guida della luce del raggio divino e con la forza della ragione, si poteva illuminare la strada per contenere il regno delle tenebre e degli inganni. Le tenebre erano il labirinto nel quale si muoveva l’inganno del diavolo, per questo Wier aveva voluto rendere intelligibile l’ordito sotteso all’inganno. La materia si presentava complessa e intricata, per cui, adottando un criterio di selezione dall’argomento principale a quelli subordinati, decise di trattare prima dei poteri del diavolo, della sua origine e dei limiti imposti da Dio: se ne ricava una demonologia che, anche se tradizionale, aveva interessanti presupposti filosofici e per le fonti platoniche adottate.

 

Poi, seguendo la gerarchia degli argomenti e delle cause, Wier si occupò di maghi e streghe congiuntamente, degli indemoniati e di coloro che credevano di essere vittime dei malefici; della guarigione degli indemoniati e dei maleficiati. Infine, rivolse la sua analisi della questione della punizione da infliggere alle streghe, ‘sedotte dal diavolo o mosse dalla melancolia’ e ai maghi sacrileghi. Dalla causa prima, il diavolo, alle conseguenze ultime dell’azione di questo, il medico proponeva un percorso per uscire dall’«incantamentorum labyrinthus». Già con queste prime conclusioni, Wier dava risposta agli interrogativi relativi al perché Dio permettesse al diavolo di nuocere all’umanità.

 

Il filo disteso per uscire dal labirinto, inoltre, si impreziosiva dell’analisi filologica delle Scritture: così, per primo Wier giungeva a distinguere maghi, streghe e venefici e poteva sostenere che le streghe fossero vittime dell’azione demoniaca poiché erano delle povere donne melanconiche. Queste esigevano cure mediche, non certo di essere uccise. A suo avviso, la melanconia, ossia la prevalenza dell’umor nero, rendeva le donne anziane particolarmente fragili e predisposte all’azione demoniaca: con una dettagliata descrizione, osservava come il demone riuscisse a illudere la povera vecchierella di aver poteri soprannaturali.

 

Talvolta, ad esempio, il demone avvertiva dell’arrivo di un temporale e così la povera donna, con riti e pratiche, credeva di poter produrre ella stessa l’arrivo della pioggia, e si vantava minacciando i suoi vicini, ma si trattava soltanto di illusioni e prestigi, non di poteri reali. Per non dire dell’impossibilità di altri fatti, come la metamorfosi, l’omicidio, il congiungimento con il demone… tutte fantasie, illusioni demoniache di cui le povere donne si convincevano, ma si trattava sempre di atti che non trovavano alcun minimo fondamento nelle leggi di natura.

 

Il demone individuava una vittima debole e malata che poteva con estrema facilità soggiogare, permeandone la capacità immaginativa; per questo Wier affermava che il patto tra la strega e il demone è nullo. Uno dei due contraenti, la strega, è incapace, dal momento che la sua volontà è sedotta e non libera. Molto diverso è il coinvolgimento dei maghi; Wier riteneva, infatti, che i maghi cercassero di sottomettere i demoni al fine di impadronirsi di tecniche e conoscenze atte a cambiare il corso della natura: i maghi prendono le mosse per loro impulso da un’arte che hanno appresa da maestri o libri appositamente ricercati, e sono spinti ad essa da un’inclinazione a indagare propria della loro natura; mentre le streghe ricevono il loro impulso dall’esterno, giacché non hanno alcuna istruzione, né alcun precettore, né alcuno ne cercano: è il diavolo che si insinua nell’animo di quelle che ritiene di poter facilmente ingannare con i suoi strumenti di illusione.

 

Un’altra categoria ancora era quella dei veneficii, che, invece, per Wier, sono colpevoli di attentare alla salute attraverso veleni, spesso naturali. È proprio sulla base di questa tripartizione che si fondano le conclusioni sulla diversa pena. La pena di morte, concludeva Wier, doveva essere riservata solo agli omicidi dal momento che il monito di Esodo, 22, 18 non era rivolto alle streghe. Questa conclusione era corroborata anche dal richiamo alla versione greca dei Settanta, dove il termine era maschile e non femminile.

 

Lo scetticismo di Wier non era quindi assoluto dal momento che egli accettava la realtà del potere demoniaco del mondo ad esempio le possessioni esistevano ed erano opera del diavolo ma il demonologo olandese negava che la causa delle possessioni fossero le streghe stesse. Il medico olandese quindi non negò l’esistenza del Diavolo e di un numero enorme di altri demoni di alto e basso ordine tanto che in Scozia, sir George Mackenzie, il famoso difensore delle streghe e critico inveterato di coloro che le processavano, iniziò la sua esposizione sull’argomento con un attacco a Wier, «il grande patrono della stregoneria», dichiarando che le streghe dovevano essere messe a morte non solo per avvelenamento e omicidio, ma anche per ma anche per incantesimo e illusione del mondo.

 

A causa delle contraddizioni delle sue argomentazioni, le sue idee vennero furono quasi completamente screditate da demonologi meno scettici, che gli ponevano una obiezione di fondo: se il diavolo era capace di intervenire direttamente nel mondo naturale, perché non poteva compiere maleficia e coinvolgere agenti umani nella sua opera?

 

Senza una confutazione filosofica e teologicamente valida della credenza del potere del demonio, il trattato di Wier offriva il fianco agli attacchi che gli vennero mossi da una serie di demonologi tra i quali Thomas Erastus, medico e teorico della politica, il vescovo gesuita di Treviri Peter Binsfeld, l’avvocato Jean Bodin e il re scozzese Giacomo VI.

 

In ogni caso il suo pensiero è stato d’ispirazione per altri occultisti e demonologi, incluso un autore anonimo che scrisse il Lemegeton Clavicula Salomonis (Piccola Chiave di Salomone) e il trattato di stregoneria Discoverie of Witchcraft (1584) di Reginald Scot opera che considerava irrazionale e non cristiana la caccia alle streghe e per questo motivo il trattato di Scot verrà duramente criticato dal re d’Inghilterra Giacomo I Stuart che ordinò il rogo di tutte le copie che era possibile sequestrare.

 

Nel XVII secolo e all’inizio del XVII l’applicaizone della tortura in tutti i procedimenti penali, e in particolare in quelli per stregoneria, fu criticata in maniera smepre più decisa, e ciò finì per portare alla sua proibizione in tutte le giurisdizioni d’Europa. Le critiche più autorevoli vennero di Friedrich Spee von Langenfeld, un giurista tedesco titolare della cattedra di teologia morale presso l’università di Paderborn, che era stato testimone diretto di alcune cacce alle streghe in città e nelle regioni limitrofe. Il suo lavoro principale Cautio Criminalis fu un appassionato appello a favore degli accusati di stregoneria. Il libro fu stampato per la prima volta in forma anonima nel 1631 a Rinteln e attribuito a un “teologo romano sconosciuto”.

 

L’opera ritrae le esperienze vissute in prima persona dei casi di stregoneria lungo la valle del Reno in un momento di massima tensione sociale, di fanatismo religioso e di incessanti processi alle streghe episodi scaturiti dal clima di odio della sanguinosa Guerra dei Trent’anni. Spee era presente come confessore gesuita durante le sessioni di tortura e le esecuzioni.

 

«Se il lettore mi permette di dire qualcosa qui, confesso che io stesso ho accompagnato diverse donne alla morte in vari luoghi nel corso degli anni e ora sono così certo della loro innocenza che sento che non c’è nessuno sforzo che non varrebbe la pena il mio impegno a cercare di rivelare questa verità».

 

«Dichiaro dalla mia anima che per molto tempo non ho saputo che fiducia posso riporre in quegli autori Remy Binsfeld, Delrio e altri ... poiché praticamente ogni loro insegnamento sulle streghe non si basa su altri fondamenti che favole o confessioni estorte attraverso la tortura».

 

Spee lanciò un forte appello affinché venisse riformato il modo di processare le streghe con una nuova legge imperiale tedesca in materia introducendo la responsabilità per i danni da parte dei giudici. La sua opera Cautio Criminalis contiene 51 “dubbi” [dubiorum] che Spee ha discusso e accuratamente smontato. Tra le sue conclusioni più notevoli c’erano:

(Dubium 17) Che all’accusato dovrebbe essere fornito un avvocato e una difesa legale e l’enormità del crimine (Spee come Wier crede nell’esistenza del diavolo e scendere a patti con il demonio resta un peccato gravissimo) lo rende ancora più importante;

(Dubium 20) Che la maggior parte dei prigionieri confesserà qualsiasi cosa sotto tortura per fermare il dolore;

(Dubium 25) Condannare gli accusati per non aver confessato sotto tortura (cioè aver impiegato la cosiddetta “stregoneria del silenzio”) è assurdo;

(Dubium 27) La tortura non porta alla verità, poiché chi vuole fermare la propria sofferenza può fermarla con le bugie.

(Dubium 31) Documenta la barbara crudeltà e le aggressioni sessuali contro le donne, provocate dalla pratica della perquisizione e della rasatura completa [tonderi] di ogni parte del corpo del prigioniero prima della prima sessione di tortura.

(Dubium 44) Che le accuse contro presunti complici derivanti dalla tortura erano di scarso valore: o la persona torturata era innocente, nel qual caso non aveva complici, o era davvero in combutta con il diavolo, nel qual caso pronunciava delle false denunce alle quali non ci si poteva fidare; Spee era particolarmente preoccupato per i casi in cui una persona è stata torturata e costretta a denunciare (accusare) complici, che sono stati poi torturati e costretti a denunciare altri complici, fino a quando tutti sono stati sospettati e torturati: «Molte persone che incitano l’Inquisizione con tanta veemenza contro gli stregoni nelle loro città e villaggi non sono affatto consapevoli e non si accorgono né prevedono che una volta che hanno iniziato a chiedere a gran voce la tortura, ogni persona torturata deve denunciarne molti di più. I processi continueranno, quindi alla fine le denunce raggiungeranno inevitabilmente loro e le loro famiglie, poiché, come ho avvertito sopra, non si troverà fine finché tutti non saranno stati bruciati».

 

L’impatto morale creato dalla pubblicazione è stato considerevole: già nel XVII secolo apparvero numerose nuove edizioni e traduzioni e tra i membri dell’ordine dei Gesuiti di Spee il trattato trovò un’accoglienza favorevole. Spee come Wier non contesta l’esistenza delle streghe e inizia il libro dichiarando apertamente che le streghe esistono realmente e che la stregoneria era un crimine terribile quindi siamo lontani dal pensiero del giurista e filosofo tedesco Christian Thomasius il quale dichiarò con estrema chiarezza «la stregoneria è solo un reato immaginario».

 

Spee, tuttavia, è molto turbato dal fatto che persone innocenti vengano torturate e uccise insieme alle vere streghe. Sosteneva (Dubium 13) che la parabola della zizzania in Matteo 13,24-30 significava che a qualcuno dei colpevoli doveva essere concessa la libertà, così che anche gli innocenti non fossero condannati.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

J. Wier, Le streghe, a cura di A. Tacus, con un saggio di M. Isnardi Parente, Palermo, Sellerio, 1991.

F. von Spee, I processi contro le streghe, a cura di Anna Foa, traduzione di Mietta Timi, Salerno Editrice, Roma 2004.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]