moderna
SULLA CRITICA ALLA CACCIA ALLE STREGHE
LE OPERE DI JOHANN WIER E FRIEDRICH SPEE
di Enrico Targa
Il mondo di una strega in Europa, alla
fine del Cinquecento, appariva molto
complesso; tuttavia se ancora molti
erano coloro che prestavano fede
all’esistenza delle streghe, lo
scetticismo iniziava a seminare i suoi
dubbi e a proclamare che i presunti
poteri delle streghe si riducevano a
niente.
Molti “cacciatori di streghe”, come
testimonia il Trattato di demonologia
o Compendium maleficarum (1605) che
ci offre una rappresentazione esaustiva
del sabba, della gerarchia dei demoni e
degli usi dei veleni da parte delle
fattucchiere scritto dal frate Francesco
Maria Guaccio, credevano che alcuni
esseri umani si riunissero notte-tempo,
adorassero il diavolo, fossero capaci di
guastare raccolti e uccidere il
bestiame, e più in generale, fossero
agenti del male nella storia.
Molti di questi cacciatori erano più
preoccupati di limitare le cacce che non
ad aumentarle e coloro che erano
scettici al riguardo della stregoneria
di rado abbandonavano tale credenza in
nome della ragione o del materialismo e
benché il mondo della stregoneria così
come lo conobbe il secolo XVI sia ormai
finito, pezzi importanti del mondo delle
streghe sopravvivono ancora oggi e
agiscono tra noi: basta pensare ai
successi editoriali delle opere di Padre
Gabriele Amorth, al Trattato di
Demonologia di padre José Antonio
Fortea Cucurull o al più recente
libro Il mio nome è Satana. Storie di
esorcismi dal Vaticano a Medjugorje
giornalista e vaticanista Fabio Marchese
Ragona.
Sia la forza che i limiti dello
scetticismo rinascimentale nei confronti
della stregoneria sono evidenti nel
demonologo e medico olandese Johannes
Wier, il più famoso tra tutti gli
scrittori che nel Cinquecento
criticarono la caccia alle streghe. Wier
fu allievo di Agrippa e medico di
Guglielmo V, duca di Cleves.
Oltre a rispecchiare l’atteggiamento
negativo di Agrippa nei confronti della
negromanzia e la tolleranza di Erasmo
nei confronti degli accusati di
stregoneria, il suo pensiero si rifaceva
a una tradizione molte forte negli
ambienti teologici luterani, che sulla
base del Canone Episcopi
sosteneva che le streghe erano ingannate
dal diavolo. Wier criticò il Malleus
Maleficarum e utilizzò forse per
primo il termine “malato di mente” o
melanconia per designare quelle donne
accusate di praticare la stregoneria.
In un’epoca in cui i processi e le
esecuzioni alle streghe stavano appena
cominciando a essere comuni, cercò di
derogare alla legge sul perseguimento di
stregoneria. Affermò che non solo i casi
di magia, di cui erano accusate molte
donne soprattutto anziane, erano in gran
parte non credibili, ma che il crimine
di stregoneria era letteralmente
impossibile, così che chiunque avesse
confessato il crimine era probabilmente
affetto da qualche disturbo mentale
(principalmente “malinconia”, che a quel
tempo era molto categoria flessibile con
molti sintomi diversi).
Inoltre, secondo alcuni studiosi, Wier
derise il concetto di gerarchia
infernale che i precedenti grimori
(libri di magia) avevano stabilito
scrivendo due libri e intitolando il suo
catalogo di demoni Pseudomonarchia
Daemonum. L’opera conobbe ben otto
edizioni e dal 1566 fu divisa in sei
libri: il primo libro dell’opera tratta
dell’origine e dei poteri del diavolo,
il secondo dei maghi, il terzo delle
streghe, il quarto degli indemoniati e
di coloro che ritengono di essere
vittime di malefici, il quinto della
loro guarigione e il sesto della
punizione da infliggere alle streghe e
ai maghi. Sigmund Freud citò l’opera
come uno dei dieci libri più rilevanti
di tutti i tempi. Wier individua
nell’azione del diavolo l’origine della
credenza dei poteri che venivano
attribuite alle cosiddette streghe: il
diavolo otteneva il duplice scopo di
ingannare tanto le donne, pervertendo le
loro menti, quanto coloro che le
giudicavano e le condannavano.
Condanne a morte tanto più ingiuste,
perché basate, secondo Wier, su una
erronea traduzione di un passo biblico -
Esodo 22, 18: «non lascerai vivere la
strega» che in realtà si riferisce agli
autori dei venefici. Gli argomenti
trattati nell’opera avevano pertanto una
natura teologica, portando le Scritture
a testimonianza degli inganni diabolici,
una filosofica, dimostrando in che modo
il diavolo corrompesse l’immaginazione
delle streghe, una medica, dimostrando
come nel comportamento delle streghe vi
fosse una causa morbosa, e una
giuridica, rivelando, dopo aver distinto
tra maghi, streghe e autori di venefici,
come le streghe in realtà non fossero in
grado di provocare alcun danno, non
avendo esse alcun potere reale, si
applicassero pene graduate secondo
qualità e gravità dei delitti,
diversamente da come attualmente veniva
fatto. Come intese presentare la sua
interpretazione del fenomeno
stregonesco?
Intanto, sin dal titolo, volle
concentrarsi maggiormente sugli
artefici, i demoni, e non le streghe.
Cercò di demolire l’edificio teorico
seguendo quattro argomentazioni
principali, teologica, filosofica,
medico-scientifica e
giurisprudenziale-legale: per l’aspetto
teologico, avrebbe chiamato a testimone
le Sacre Scritture per svelare gli
inganni demoniaci; mentre, grazie alla
filosofia, avrebbe indicato le ragioni
naturali con cui i demoni illudevano e
pervertivano l’immaginazione delle
streghe, poi, con la medicina e la
scienza, avrebbe individuato alcune
malattie come origine di certi disturbi
per cui le donne anziane erano
predisposte all’azione dei demoni; ma,
soprattutto, basandosi sul diritto
penale e sulla giurisprudenza avrebbe
discusso della diversa pena che
‘meritavano’ maghi, streghe e venefici.
Secondo Wier, il diavolo con il suo
esercito governava il mondo delle
tenebre e traeva vigore dalle menti
offuscate, quindi con l’aiuto e la guida
della luce del raggio divino e con la
forza della ragione, si poteva
illuminare la strada per contenere il
regno delle tenebre e degli inganni. Le
tenebre erano il labirinto nel quale si
muoveva l’inganno del diavolo, per
questo Wier aveva voluto rendere
intelligibile l’ordito sotteso
all’inganno. La materia si presentava
complessa e intricata, per cui,
adottando un criterio di selezione
dall’argomento principale a quelli
subordinati, decise di trattare prima
dei poteri del diavolo, della sua
origine e dei limiti imposti da Dio: se
ne ricava una demonologia che, anche se
tradizionale, aveva interessanti
presupposti filosofici e per le fonti
platoniche adottate.
Poi, seguendo la gerarchia degli
argomenti e delle cause, Wier si occupò
di maghi e streghe congiuntamente, degli
indemoniati e di coloro che credevano di
essere vittime dei malefici; della
guarigione degli indemoniati e dei
maleficiati. Infine, rivolse la sua
analisi della questione della punizione
da infliggere alle streghe, ‘sedotte dal
diavolo o mosse dalla melancolia’ e ai
maghi sacrileghi. Dalla causa prima, il
diavolo, alle conseguenze ultime
dell’azione di questo, il medico
proponeva un percorso per uscire dall’«incantamentorum
labyrinthus». Già con queste prime
conclusioni, Wier dava risposta agli
interrogativi relativi al perché Dio
permettesse al diavolo di nuocere
all’umanità.
Il filo disteso per uscire dal
labirinto, inoltre, si impreziosiva
dell’analisi filologica delle Scritture:
così, per primo Wier giungeva a
distinguere maghi, streghe e venefici e
poteva sostenere che le streghe fossero
vittime dell’azione demoniaca poiché
erano delle povere donne melanconiche.
Queste esigevano cure mediche, non certo
di essere uccise. A suo avviso, la
melanconia, ossia la prevalenza
dell’umor nero, rendeva le donne anziane
particolarmente fragili e predisposte
all’azione demoniaca: con una
dettagliata descrizione, osservava come
il demone riuscisse a illudere la povera
vecchierella di aver poteri
soprannaturali.
Talvolta, ad esempio, il demone
avvertiva dell’arrivo di un temporale e
così la povera donna, con riti e
pratiche, credeva di poter produrre ella
stessa l’arrivo della pioggia, e si
vantava minacciando i suoi vicini, ma si
trattava soltanto di illusioni e
prestigi, non di poteri reali. Per non
dire dell’impossibilità di altri fatti,
come la metamorfosi, l’omicidio, il
congiungimento con il demone… tutte
fantasie, illusioni demoniache di cui le
povere donne si convincevano, ma si
trattava sempre di atti che non
trovavano alcun minimo fondamento nelle
leggi di natura.
Il demone individuava una vittima debole
e malata che poteva con estrema facilità
soggiogare, permeandone la capacità
immaginativa; per questo Wier affermava
che il patto tra la strega e il demone è
nullo. Uno dei due contraenti, la
strega, è incapace, dal momento che la
sua volontà è sedotta e non libera.
Molto diverso è il coinvolgimento dei
maghi; Wier riteneva, infatti, che i
maghi cercassero di sottomettere i
demoni al fine di impadronirsi di
tecniche e conoscenze atte a cambiare il
corso della natura: i maghi prendono le
mosse per loro impulso da un’arte che
hanno appresa da maestri o libri
appositamente ricercati, e sono spinti
ad essa da un’inclinazione a indagare
propria della loro natura; mentre le
streghe ricevono il loro impulso
dall’esterno, giacché non hanno alcuna
istruzione, né alcun precettore, né
alcuno ne cercano: è il diavolo che si
insinua nell’animo di quelle che ritiene
di poter facilmente ingannare con i suoi
strumenti di illusione.
Un’altra categoria ancora era quella dei
veneficii, che, invece, per Wier, sono
colpevoli di attentare alla salute
attraverso veleni, spesso naturali. È
proprio sulla base di questa
tripartizione che si fondano le
conclusioni sulla diversa pena. La pena
di morte, concludeva Wier, doveva essere
riservata solo agli omicidi dal momento
che il monito di Esodo, 22, 18 non era
rivolto alle streghe. Questa conclusione
era corroborata anche dal richiamo alla
versione greca dei Settanta, dove il
termine era maschile e non femminile.
Lo scetticismo di Wier non era quindi
assoluto dal momento che egli accettava
la realtà del potere demoniaco del mondo
ad esempio le possessioni esistevano ed
erano opera del diavolo ma il demonologo
olandese negava che la causa delle
possessioni fossero le streghe stesse.
Il medico olandese quindi non negò
l’esistenza del Diavolo e di un numero
enorme di altri demoni di alto e basso
ordine tanto che in Scozia, sir George
Mackenzie, il famoso difensore delle
streghe e critico inveterato di coloro
che le processavano, iniziò la sua
esposizione sull’argomento con un
attacco a Wier,
«il
grande patrono della stregoneria»,
dichiarando che le streghe dovevano
essere messe a morte non solo per
avvelenamento e omicidio, ma anche per
ma anche per incantesimo e illusione del
mondo.
A causa delle contraddizioni delle sue
argomentazioni, le sue idee vennero
furono quasi completamente screditate da
demonologi meno scettici, che gli
ponevano una obiezione di fondo: se il
diavolo era capace di intervenire
direttamente nel mondo naturale, perché
non poteva compiere maleficia e
coinvolgere agenti umani nella sua
opera?
Senza una confutazione filosofica e
teologicamente valida della credenza del
potere del demonio, il trattato di Wier
offriva il fianco agli attacchi che gli
vennero mossi da una serie di demonologi
tra i quali Thomas Erastus, medico e
teorico della politica, il vescovo
gesuita di Treviri Peter Binsfeld,
l’avvocato Jean Bodin e il re scozzese
Giacomo VI.
In ogni caso il suo pensiero è stato
d’ispirazione per altri occultisti e
demonologi, incluso un autore anonimo
che scrisse il Lemegeton Clavicula
Salomonis (Piccola Chiave di
Salomone) e il trattato di
stregoneria Discoverie of Witchcraft
(1584) di Reginald Scot opera che
considerava irrazionale e non cristiana
la caccia alle streghe e per questo
motivo il trattato di Scot verrà
duramente criticato dal re d’Inghilterra
Giacomo I Stuart che ordinò il rogo di
tutte le copie che era possibile
sequestrare.
Nel XVII secolo e all’inizio del XVII l’applicaizone
della tortura in tutti i procedimenti
penali, e in particolare in quelli per
stregoneria, fu criticata in maniera
smepre più decisa, e ciò finì per
portare alla sua proibizione in tutte le
giurisdizioni d’Europa. Le critiche più
autorevoli vennero di Friedrich Spee von
Langenfeld, un giurista tedesco titolare
della cattedra di teologia morale presso
l’università di Paderborn, che era stato
testimone diretto di alcune cacce alle
streghe in città e nelle regioni
limitrofe. Il suo lavoro principale
Cautio Criminalis fu un appassionato
appello a favore degli accusati di
stregoneria. Il libro fu stampato per la
prima volta in forma anonima nel 1631 a
Rinteln e attribuito a un “teologo
romano sconosciuto”.
L’opera ritrae le esperienze vissute in
prima persona dei casi di stregoneria
lungo la valle del Reno in un momento di
massima tensione sociale, di fanatismo
religioso e di incessanti processi alle
streghe episodi scaturiti dal clima di
odio della sanguinosa Guerra dei
Trent’anni. Spee era presente come
confessore gesuita durante le sessioni
di tortura e le esecuzioni.
«Se
il lettore mi permette di dire qualcosa
qui, confesso che io stesso ho
accompagnato diverse donne alla morte in
vari luoghi nel corso degli anni e ora
sono così certo della loro innocenza che
sento che non c’è nessuno sforzo che non
varrebbe la pena il mio impegno a
cercare di rivelare questa verità».
«Dichiaro
dalla mia anima che per molto tempo non
ho saputo che fiducia posso riporre in
quegli autori Remy Binsfeld, Delrio e
altri ... poiché praticamente ogni loro
insegnamento sulle streghe non si basa
su altri fondamenti che favole o
confessioni estorte attraverso la
tortura».
Spee lanciò un forte appello affinché
venisse riformato il modo di processare
le streghe con una nuova legge imperiale
tedesca in materia introducendo la
responsabilità per i danni da parte dei
giudici. La sua opera Cautio
Criminalis contiene 51 “dubbi” [dubiorum]
che Spee ha discusso e accuratamente
smontato. Tra le sue conclusioni più
notevoli c’erano:
(Dubium 17) Che all’accusato
dovrebbe essere fornito un avvocato e
una difesa legale e l’enormità del
crimine (Spee come Wier crede
nell’esistenza del diavolo e scendere a
patti con il demonio resta un peccato
gravissimo) lo rende ancora più
importante;
(Dubium 20) Che la maggior parte
dei prigionieri confesserà qualsiasi
cosa sotto tortura per fermare il
dolore;
(Dubium 25) Condannare gli
accusati per non aver confessato sotto
tortura (cioè aver impiegato la
cosiddetta “stregoneria del silenzio”) è
assurdo;
(Dubium 27) La tortura non porta
alla verità, poiché chi vuole fermare la
propria sofferenza può fermarla con le
bugie.
(Dubium 31) Documenta la barbara
crudeltà e le aggressioni sessuali
contro le donne, provocate dalla pratica
della perquisizione e della rasatura
completa [tonderi] di ogni parte del
corpo del prigioniero prima della prima
sessione di tortura.
(Dubium 44) Che le accuse contro
presunti complici derivanti dalla
tortura erano di scarso valore: o la
persona torturata era innocente, nel
qual caso non aveva complici, o era
davvero in combutta con il diavolo, nel
qual caso pronunciava delle false
denunce alle quali non ci si poteva
fidare; Spee era particolarmente
preoccupato per i casi in cui una
persona è stata torturata e costretta a
denunciare (accusare) complici, che sono
stati poi torturati e costretti a
denunciare altri complici, fino a quando
tutti sono stati sospettati e torturati:
«Molte
persone che incitano l’Inquisizione con
tanta veemenza contro gli stregoni nelle
loro città e villaggi non sono affatto
consapevoli e non si accorgono né
prevedono che una volta che hanno
iniziato a chiedere a gran voce la
tortura, ogni persona torturata deve
denunciarne molti di più. I processi
continueranno, quindi alla fine le
denunce raggiungeranno inevitabilmente
loro e le loro famiglie, poiché, come ho
avvertito sopra, non si troverà fine
finché tutti non saranno stati bruciati».
L’impatto morale creato dalla
pubblicazione è stato considerevole: già
nel XVII secolo apparvero numerose nuove
edizioni e traduzioni e tra i membri
dell’ordine dei Gesuiti di Spee il
trattato trovò un’accoglienza
favorevole. Spee come Wier non contesta
l’esistenza delle streghe e inizia il
libro dichiarando apertamente che le
streghe esistono realmente e che la
stregoneria era un crimine terribile
quindi siamo lontani dal pensiero del
giurista e filosofo tedesco Christian
Thomasius il quale dichiarò con estrema
chiarezza
«la
stregoneria è solo un reato immaginario».
Spee,
tuttavia, è molto turbato dal fatto che
persone innocenti vengano torturate e
uccise insieme alle vere streghe.
Sosteneva (Dubium 13) che la
parabola della zizzania in Matteo
13,24-30 significava che a qualcuno dei
colpevoli doveva essere concessa la
libertà, così che anche gli innocenti
non fossero condannati.
Riferimenti bibliografici:
J. Wier, Le streghe, a cura di A.
Tacus, con un saggio di M. Isnardi
Parente, Palermo, Sellerio, 1991.
F. von Spee, I processi contro le
streghe, a cura di Anna Foa,
traduzione di Mietta Timi, Salerno
Editrice, Roma 2004. |