N. 38 - Febbraio 2011
(LXIX)
alvaro Nuñez
La straordinaria avventura di "Capo di Vacca"
di Davide Amoroso
L’esplorazione
e la
successiva
conquista
dei
territori
del
Nuovo
Mondo
a
partire
dai
primi
decenni
del
XVI
secolo
vide
come
protagonista
la
corona
spagnola
e in
particolare
i
conquistadores,
uomini
d’arme
peculiarmente
appartenenti
al
mondo
iberico
che
per
conseguire
gloria
e
ricchezza
personale
si
recarono
nei
territori
di
recente
scoperta
per
conquistarli
ed
incidere
il
proprio
nome
nella
storia.
Differenti
furono
le
modalità
di
contatto
e
valutazione
di
rapporto
con
il
Nuovo
Mondo
e i
suoi
abitanti.
Di
fatti
i
conquistadores
vissero
eterogenee
avventure
che
li
portarono
a
maturare
diversi
atteggiamenti
nei
confronti
delle
popolazioni
indie
locali
e,
in
quest’ottica,
incredibile
e
unica
fu
l’avventura
di
Alvar
Nuñez
Cabeza
de
Vaca
il
quale,
per
l’atipicità
della
sua
avventura,
fu
tra
i
personaggi
più
straordinari
dell’epopea
della
conquista;
egli
si
configurò
come
un
mediatore
culturale
entrando
a
contatto
diretto
con
le
popolazioni
indigene,
imparando
a
conoscerne
tradizioni
e
costumi,
apprezzandone
i
caratteri
e le
alterità
rispetto
alle
categorie
tipiche
europee
e
adattandosi
alla
sua
particolare
situazione
di
conquistadores
paradossalmente
conquistato,
ma
non
assimilato,
dal
mondo
indio.
Cabeza
de
Vaca
(il
curioso
nome
“Cabeza
de
Vaca”
proveniva
dalla
madre
di
Alvar
Nuñez.
Secondo
la
tradizione,
uno
degli
antenati
del
conquistador
spagnolo
ebbe
un
antenato
che,
durante
la
guerra
contro
i
mori,
segnalò
con
una
testa
di
vacca
un
passo
pirenaico
sguarnito
da
guarnigioni
nemiche)
nacque
nei
pressi
della
cittadina
spagnola
di
Jerez
de
la
Frontera
attorno
al
1500.
Membro
di
una
famiglia
divenuta
nobile
in
seguito
ai
servigi
prestati
alla
corona
castigliana
durante
la
reconquista,
decise
di
perseguire
la
carriera
militare
partecipando
ad
alcune
spedizioni
in
Italia
e al
conflitto
tra
Carlo
d’Asburgo
e i
ribelli
comuneros
in
Spagna
,
prendendo
parte
anche
alla
decisiva
battaglia
di
Villalar
nel
1521.
La
carriera
politico
–
militare
intrapresa
lo
portò
ad
avere
la
possibilità
di
unirsi
alla
flotta
del
capitano
Panfilo
de
Narváez
il
quale
aveva
ricevuto
l’incarico
di
esplorare
la
Florida
nel
1527.
Partendo
dalla
Spagna
e
ricoprendo
il
ruolo
di
ufficiale,
fu
alla
guida
di
una
delle
navi
ma
la
spedizione
fallì
e
quasi
tutti
i
partecipanti
morirono.
Solo
Cabeza
de
Vaca
ed
alcuni
compagni
si
salvarono
naufragando
in
un’area
a
nord
dalla
Florida.
Nonostante
la
giovane
età,
il
conquistador
spagnolo
si
mostrò
lucido
e
malgrado
le
difficoltà
riuscì
a
sopravvivere
ai
successivi
avvenimenti
funesti
che
portarono
la
spedizione
dapprima
a
fallire
un
tentativo
di
esplorazione
dell’entroterra
per
giungere
alla
provincia
di
Apalache
(che
si
credeva
ricca
d’oro
ma
che
poi
si
rivelò
povera
e
abitata
da
indi
ostili)
e
successivamente,
costruite
imbarcazioni
di
fortuna,
a
naufragare
nell’area
dell’attuale
golfo
del
Messico.
Naufragato
insieme
a
pochi
compagni,
il
giovane
conquistador
spagnolo
riuscì
a
stabilirsi,
nei
sette
anni
seguenti
l’avvenimento,
nell’isola
india
(sita
presso
l’attuale
area
del
fiume
Mississippi)
ribattezzata
Malhado
dove
rimase
per
un
anno
prima
di
intraprendere
un
lungo
viaggio
verso
la
Nuova
Spagna,
dapprima
solo
e
poi
con
tre
compagni
naufraghi
(Andrés
Dorante,
Alonso
del
Castillo
ed
il
servo
mauritano
Estebanico)
che
ritrovò
lungo
il
cammino,
tra
le
varie
tribù
indie
dell’area
meridionale
degli
attuali
Stati
Uniti.
Dopo
anni
di
spostamenti,
nel
1535
Alvar
Nuñez
e i
suoi
compagni
arrivarono
a
sud
dell’attuale
Arizona
e
qui
incontrarono
alcune
tracce
del
passaggio
degli
spagnoli
e
indi
in
fuga
dalla
conquista.
Finalmente
i
quattro
sopravvissuti
riuscirono
a
penetrare
in
territorio
spagnolo
–
più
precisamente
in
Nuova
Galizia
dove
vennero
accolti
dal
governatore
Nuño
Beltrán
de
Guzmán
–
svincolandosi
dagli
indigeni
e
venendo
accolti
in
modo
solenne
dalle
autorità
spagnole
dato
che
la
loro
storia
aveva
avuto
grande
eco
nell’area.
Successivamente
ebbero
anche
l’occasione
di
raccontare
la
loro
avventura
dapprima
al
viceré
Antonio
de
Mendoza
e
poi
addirittura
a
Cortés.
Ovviamente,
in
quanto
ufficiale
del
regio
esercito,
l’avventura
venne
posta
sottoforma
di
relazione
ufficiale
dallo
stesso
Cabeza
de
Vaca
che
la
consegnò,
sulla
via
del
ritorno
in
patria,
a
l’Havana
recapitandola
poi
all’Audiencia
di
Santo
Domingo
(1539).
Di
fatti,
l’originario
testo
fu
redatto
come
rapporto
ufficiale
prendendo
il
titolo
di “Relación
… de
los
acaescido
en
las
Indias
…”
e
venne
poi
inviato
all’Archivio
de
Indias
in
Spagna
e
successivamente
fatto
oggetto
di
attenzioni
da
parte
di
numerosi
stampatori
–
editori
finché
nel
1540
lo
stesso
Cabeza
de
Vaca
intervenne
aggiungendo
allo
scritto
originario
la
narrazione
degli
eventi
seppure
in
modo
romanzato
ma
non
per
questo
poco
veritiero.
Di
fatti,
il
testo
si
presenta
molto
realistico
e
incisivo
nel
descrivere
la
realtà
circostante:
il
paesaggio,
la
flora,
le
varie
popolazioni
indigene
e le
loro
usanze.
Tornato
in
Spagna,
nel
1537,
grazie
anche
alle
risorse
economiche
di
cui
disponeva
la
sua
famiglia,
riuscì
ad
ottenere
e
finanziare
una
nuova
spedizione
verso
il
Nuovo
Mondo
dirigendosi
in
sud
America,
nella
regione
del
Paranà
con
l’incarico
di
aiutare
i
membri
sopravvissuti
della
spedizione
di
Pedro
de
Mendoza
(1487
–
1537).
Secondo
la
capitolazione
stipulata
prima
di
partire
(1540),
il
soccorritore
era
nominato
governatore,
adelantado
e
capitano
generale
della
colonia
di
Rio
de
la
Plata,
fondata
a
nord
dall’attuale
argentina,
proprio
dal
capitano
Pedro
de
Mendoza
nel
1534.
Partito
da
Cadice,
questa
volta
come
capo
della
spedizione,
con
400
uomini,
giunse
nell’area
di
Rio
de
Janeiro
e
qui
divise
la
spedizione:
una
parte
proseguì
in
nave
mentre
una
seconda
colonna
di
soldati
e
alleati
indi,
guidata
dallo
stesso
Cabeza
de
Vaca,
proseguì
verso
l’interno
giungendo
nel
1542
nella
colonia
di
Asunción
–
fondata
dai
soldati
spagnoli
in
fuga
dalla
colonia
di
Buenos
Aires
poiché
sconfitta
dalle
coalizioni
delle
bellicose
popolazioni
indie
dell’area
delle
pampas
argentine
–
dove
il
capitano
Domingo
Martínez
de
Irala
(1509
–
1556),
divenuto
capo
della
colonia
in
seguito
alla
scomparsa
di
molti
altri
ufficiali,
gli
cedette
il
comando.
Da
qui,
il
conquistador
di
Jerez
de
la
Frontera,
intraprese
l’esplorazione
dei
territori
del
Paranà
(alla
ricerca
anche
di
un
fantomatico
re
dell’argento
indios)
dove
entrò
in
contatto
con
nuove
popolazioni
con
le
quali
instaurò
un
rapporto
collaborativo
e
rispettoso,
probabilmente
memore
del
suo
passato
a
contatto
con
le
tribù
amerinde.
Il
suo
ruolo
e la
sua
politica
nei
confronti
degli
indigeni
però,
portò
alla
creazione
di
forti
inimicizie
tra
le
fila
degli
uomini
politici
legati
alle
colonie
americane
e
ciò
lo
portò
ad
essere
destituito
ed
imprigionato
dai
suoi
rivali
capeggiati
nuovamente
dall’Irala
che
si
era
autoproclamato
teniente
gobernador
(vicegovernatore).
Portato
segretamente
in
Spagna
nel
1545
(dove
poi
morì
nel
1560),
subì
processo
che
lo
condannò
all’esilio
nella
località
di
Orano.
Dopo
un
breve
periodo
fu
nuovamente
in
Spagna
dove
esercitò
la
professione
di
giudice
a
Siviglia
e
scrisse
una
nuova
edizione
delle
sue
avventure
in
America
del
nord
e
America
del
sud,
intitolandoli
“Naufragios”
e “Comentarios”.
Il
testo
–
oltre
a
presentarsi
come
un’accurata
e
dettagliata
relazione
degli
avvenimenti
dell’esplorazione,
con
la
precisa
descrizione
delle
varie
tappe
che
videro
impegnate
le
imbarcazioni
guidate
dal
Narváez,
nel
Nuovo
Mondo
– fu
l’unico
degli
scritti
spagnoli
relativi
alla
conquista
dell’area
centro
e
nord
americana
ad
essere
concepito
come
racconto
per
un
vasto
pubblico
di
lettori
e
non
quindi
solamente
come
una
relazione
dove
si
narrassero,
esaltandole,
avventure
tendenti
a
sottolineare
l’audacia
delle
proprie
gesta
e
del
proprio
coraggio.
Proprio
questa
differenza
porta
il
testo
ad
essere
più
scorrevole
e ad
avere
una
costruzione
meno
militare
–
politica
rispetto
alle
relazioni
tradizionali
delle
avventure
dei
conquistador
nel
Nuovo
Mondo.
Proprio
per
questa
sua
caratteristica,
il
testo
di
Cabeza
de
Vaca
fu
forse
lo
scritto
più
realistico
riguardo
la
visione
dei
vincitori
sull’epoca
delle
conquiste;
esso
si
presentò
come
l’atipica
visione
dell’uomo
d’arme
che
volle
solamente
raccontare,
dal
punto
di
vista
di
un
semplice
uomo
europeo
naufragato
in
terra
straniera,
il
contatto
con
l’«altro»
e
quindi
in
questa
accezione
lo
scritto
si
propone
come
il
più
vero
e
sincero
esempio
di
esposizione
narrativa
delle
impressioni
sulla
cultura
india
da
parte
di
un
tipico
gentiluomo
spagnolo,
membro
delle
classi
alte
ispaniche,
che
visse
a
diretto
contatto
con
questa
civiltà,
immergendovisi
completamente
e
venendone,
nolente
o
volente,
coinvolto
totalmente.
Riferimenti
bibliografici:
Giovanni
Battista
Ramusio,
Navigazioni
e
viaggi,
Vol.
VI,
a
cura
di
M.
Milanesi,
Einaudi,
Torino
1978.
Aldo
Albònico
e
Giuseppe
Bellini,
Nuovo
Mondo:
gli
spagnoli,
Einaudi,
Torino
1992.