contemporanea
JACOB BURCKHARDT
LA CONCEZIONE DELLA STORIA DELLO
STUDIOSO SVIZZERO
di Giovanni Pellegrino & Mariangela
Mangieri
In questo articolo prenderemo in
considerazione la concezione della
storia di Jacob Burkhardt, uno dei più
importanti filosofi della storia. Per
prima cosa dobbiamo evidenziare che il
fine di Burckhardt non fu quello di
costruire una vera e propria filosofia
della storia, bensì quello di elevare a
“saggezza” il sapere storico. La storia
non era per Burckardt una scienza di
fatti neutrali, bensì un resoconto di
fatti che un’epoca trova importanti in
un’altra.
Per
Burckhardt ogni generazione deve
continuamente richiamare alla memoria il
proprio passato attraverso un processo
di interpretazione per non dimenticarlo
e per non perdere l’essenza del suo
passato. Un’interpretazione del passato
di questo tipo implica un processo di
selezione e di valutazione.
Solo attraverso tale interpretazione
selettiva dei fatti storici si può
determinare quali siano in generale i
fatti storici rilevanti, significativi
ed essenziali. Burckhardt afferma a
chiare lettere che non vuole e non può
costruire una vera e propria filosofia
della storia. Egli rifiuta di costruire
un sistema che ha come oggetto la storia
universale. La filosofia della storia è
per lui una contraddizione in termini
perché la storia coordina delle
osservazioni mentre la filosofia le
subordina a un principio di carattere
universale.
Allo stesso modo Burckardt rifiuta la
teologia della storia, perché egli pensa
che per costruire una teologia della
storia sia necessaria la fede, cosa che
Burckardt non pretende di possedere.
Egli cita i tentativi di Hegel e di
Agostino come i più rilevanti tra quelli
finalizzati a spiegare la storia secondo
un principio sistematico sia esso Dio o
lo Spirito Assoluto che realizza nella
storia i suoi propositi.
In opposizione alla Teodicea di Hegel,
Burckardt insiste sul fatto che la
razionalità della storia rimane
inaccessibile alla nostra conoscenza dal
momento che non possiamo comprendere
cose che vanno al di là delle nostre
capacità cognitive. Contro
l’interpretazione di Agostino egli
afferma solamente: ”non ci riguarda”.
Ambedue le interpretazioni trascendono
le possibilità dell’umana
conoscenza. La
filosofia e la teologia della storia si
occupano di principi e di fini ultimi,
mentre lo storico profano non può
preoccuparsi ne’ degli uni ne’ degli
altri.
In sintesi lo storico può comprendere
solo il centro permanente della storia
ossia l’uomo che lotta e agisce, così
com’è, come è sempre è stato e come
sarà.
Il risultato inevitabile di rifiuto di
Burckhardt di occuparsi dei fini ultimi
della storia è la rinuncia a trovare un
significato ultimo negli avvenimenti
storici.
Tuttavia per Burckhardt nel fluire
stesso della storia vi è una sorta di
permanenza e cioè la continuità storica.
Per Burckhardt la continuità storica
implica lo sforzo cosciente di
conservare e rinnovare la nostra eredità
storica invece di accettare
semplicemente la consuetudine.
La continuità storica è quindi un
interesse essenziale dell’esistenza
umana. Se poi questa continuità storica
persiste anche al di fuori
dell’esistenza umana di uno spirito
divino che si interessa alla storia
degli uomini, non siamo in grado ne’ di
affermarlo, ne’ di immaginarlo.
Il motivo personale delle ricerche
storiche di Burckhardt e del suo
attaccamento quasi disperato alla
continuità storica era un’appassionata
reazione alla tendenza rivoluzionaria
della sua epoca.
Burckhardt comprese che la restaurazione
avvenuta dal 1815 al 1848 non era che un
intermezzo in un’era di rivoluzioni
ancora non conclusa iniziatasi con la
rivoluzione francese. Burckhardt
difendendo la continuità storica cercava
di ritardare la dissoluzione sociale
dovuta all’era delle rivoluzioni.
Burckardt era contrario sia allo spirito
rivoluzionario, sia al militarismo dal
momento che pensava che entrambi erano
dannosi per la cultura. Per Burckhardt
le due branche della tenaglia tra le
quali veniva stretta la cultura erano la
classe rivoluzionaria dei lavoratori dal
basso e i militari dall’alto.
Burckhardt disgustato dagli avvenimenti
storici contemporanei si rifugiò in
Italia dove raccolse materiale e idee
per avere un criterio di misura per
valutare tali avvenimenti. Burckhardt
pensava che ciò che era accaduto nel
terzo e nel quarto secolo ai tempi
dell’impero romano quando il mondo
antico entrò in una crisi profonda
poteva verificarsi ancora nel periodo
storico nel quale egli viveva.
Egli sentiva l’inutilità di riforme dal
carattere parziale dal momento che tutta
la struttura sociale si trovava
nell’anarchia più completa, ragion per
cui decise di chiudersi in una sorta di
isolamento di tipo storico-epicureo.
Secondo Burckhardt il vero problema era
che la massificazione e la
standardizzazione della vita di tutti
gli individui erano eventi oramai
inevitabili. Egli prevedeva che al posto
della democrazia liberale si sarebbero
instaurati i regimi totalitari governati
da terribili tiranni che avrebbero
invaso l’intera Europa, dominando i
popoli con brutalità assoluta dal
momento che disprezzavano il diritto e
calpestavano la libertà e la sovranità
dei popoli.
Per Burckhardt si profilava
all’orizzonte una lunga sottomissione
dei popoli europei a singoli dittatori e
usurpatori dal momento che i popoli
europei non credevano più ai principi
etici e morali ragion per cui sarebbero
caduti sotto il potere di spietati
dittatori che sarebbero stati scambiati
per salvatori della patria dai popoli
europei. In tutta questa tragica
situazione la continuità e la coscienza
storica erano per Burckardt l’ultima
spiaggia alla quale fare riferimento,
erano altresì l’ultima speranza di
sfuggire all’instaurarsi dei regimi
dittatoriali.
In ultima analisi cosa era per Buckhardt
la continuità storica?
Per Burckhardt la continuità storica fu
creata essenzialmente dall’unificazione
storico- politica e culturale effettuata
dall’impero romano e dalla
stabilizzazione della cultura
occidentale dovuta all’azione della
Chiesa cristiana.
L’impero romano e la chiesa cristiana
permisero la creazione di una cultura
europea che rese possibile anche la
diffusione di una religione comune
europea ovvero il Cristianesimo.
Burckardt afferma che anche se l’impero
romano fu fondato con i metodi più
terribili ed edificato col sangue dei
popoli sottomessi contribuì a creare in
maniera determinante la continuità
storica e la coscienza storica europee.
Dobbiamo mettere in evidenza che
Burckhardt esalta al massimo grado il
passato e nello stesso tempo disprezza
il tempo presente. Difronte alle moderne
lotte per la sicurezza sociale egli
esalta l’antica grandezza della passione
e del sacrificio per la polis greca e di
fronte alle moderne aspirazioni ad un
più alto tenore di vita apprezza il
superamento cristiano di tutto ciò che è
terreno. Egli sa bene che lo spirito
dell’antichità non appartiene più al suo
tempo e che molti secoli dividono il
periodo d’oro del Cristianesimo dal
tempo in cui Burckhardt visse.
Burckhardt rifiutava con fermezza la sua
epoca storica al punto tale che si
considerava un vero e proprio esule
della sua era.
Proprio perché Burckhardt rifiutava il
suo tempo egli aveva una profonda
ammirazione per i cristiani delle
origini i quali seppero insorgere contro
i piaceri e i vizi che dominavano
incontrastati in quel periodo storico.
Gli antichi cristiani seppero
conquistare gli animi e le menti degli
uomini a loro contemporanei. Burckhardt
mette in evidenza che mentre i poteri
mondani in quel periodo storico erano
corrotti, la Chiesa cristiana seppe
diffondere la carità, la disciplina e
l’ascetismo e perfino uomini e donne
della nobiltà romana diedero i loro beni
ai poveri decidendo di vivere nel mondo
senza appartenervi.
Altri cristiani ancor più radicali
lasciarono le città per ritirarsi nei
deserti o nei chiostri. Per Burckhardt
questi uomini erano dei veri e propri
eroi del deserto in quanto seppero dopo
una terribile lotta interiore rinunciare
ai piaceri terreni.
Burckhardt afferma che senza l’esempio
straordinario di questi monaci ed
eremiti la Chiesa non sarebbe diventata
l’unica istituzione spirituale che
coltivò e trasmise ogni forma di cultura
superiore. Burckhardt non dimentica che
il mondo riuscì a conservare in
quell’oscuro periodo storico quel sapere
sopramondano e privo di utilità pratica
grazie all’azione della Chiesa
cristiana.
Egli era molto preoccupato a causa del
progredire dell’industrializzazione e
della massificazione che dominavano il
suo periodo storico. Per opporsi a tale
massificazione e industrializzazione
sfrenata egli pensava che solo la
religione sarebbe stata in grado di
salvare il mondo opponendosi al
desiderio di potere e di denaro che
dominavano incontrastati nella sua
epoca.
Egli pensava che il modello storico a
cui la religione cristiana doveva fare
riferimento per svolgere la propria
missione ultramondana era il
Cristianesimo delle origini. Burckhardt
ribadisce con forza che il vero
Cristianesimo è essenzialmente ascetico
e trascende la mondanità dal momento che
le sue speranze e le sue aspettative
sono rivolte a un altro mondo.
In rapporto a questo mondo il
Cristianesimo è la religione della
sofferenza, della rinuncia e
dell’ascesi, per mezzo delle quali i
cristiani delle origini giunsero alla
libertà spirituale. Se da un lato
Burckhardt esalta il Cristianesimo delle
origini dall’altro rifiuta il
Cristianesimo moderno che per rimanere
accettabile alla moltitudine accetta
ogni forma di compromesso con il mondo.
Burckardt sentiva che il Cristianesimo
moderno diluito fino a diventare un
umanitarismo generico non poteva fare
appello agli uomini come religione
beatificante e salvifica.
In estrema sintesi per Burckhardt il
Cristianesimo si era ormai lasciato alle
spalle la sua epoca d’oro cosicché la
Chiesa del suo tempo faticava molto a
svolgere la sua missione proprio perché
non aveva il coraggio di entrare in
contrasto con i valori di questo mondo.
Al contrario il Cristianesimo primitivo
non aveva nessun problema a porsi in
assoluto contrasto con questi valori.
Esso era più rigoroso e poneva delle
esigenze più elevate di quanto il
Cristianesimo dei giorni di Burckhardt
era in grado di fare. Burckhardt mette
in evidenza che i cristiani del suo
tempo volevano salvaguardare la propria
posizione sociale e volevano pensare a
guadagnare danaro ragion per cui non
erano disposti a fare sacrifici per
difendere l’integrità del Cristianesimo
e non volevano entrare in conflitto con
il mondo.
Per dirla in altro modo i cristiani
contemporanei di Burckhardt non volevano
rinunciare ai privilegi della civiltà
moderna. Egli mette in evidenza che il
Cristianesimo a lui contemporaneo aveva
dimenticato che la religione cristiana
ebbe il suo periodo d’oro quando
riaffermava con forza la sua autonomia
ed estraneità di fronte alla cultura
mondana.
In pratica la forza morale dei primi
cristiani consisteva in buona parte
nella loro indifferenza di fronte ai
valori della società di quel tempo
cosicché i primi cristiani rivolgevano
le spalle al mondo e ai suoi piaceri
essendo convinti che la fine del mondo
era vicina.
Burchardt era assolutamente contrario
alla concezione ottimistica dei
protestanti del suo tempo al punto tale
che egli definì empio l’ottimismo dei
suoi contemporanei. Burckhardt tuttavia
era convinto che sarebbe esistita una
piccola minoranza di cristiani che si
sarebbe messa contro il mondo sebbene la
grandissima maggioranza dei cristiani si
sarebbe piegata dinanzi al potere
mondano.
Per Burchardt tale fatto era un
gravissimo problema anche se egli
pensava che non esisteva nessuna
soluzione a tale problema, anzi era
importante denunciarne l’esistenza.
Concludiamo tale articolo mettendo in
evidenza che Burckhardt individuò nel
Cristianesimo dei suoi tempi una
contraddizione interna che consisteva
nel fatto che la brama di potere e la
venalità dei cristiani moderni erano
assolutamente agli antipodi della
dedizione assoluta e del sacrificio
totalizzante che caratterizzarono il
comportamento dei primi cristiani che
riuscirono a compiere l’impresa di
sconfiggere il paganesimo. |