N. 39 - Marzo 2011
(LXX)
brigantesse
L’altro volto del brigantaggio: Donne guerrigliere del Sud
di Monica Sanfilippo
Nel brigantaggio post-unitario, espressione sociale di nuove
ed
endemiche
difficoltà
meridionali,
confluiscono
motivazioni
diverse,
dall’esasperazione
contadina
per
l’insoluto
problema
delle
terre
al
legittimismo
borbonico,
dall’avversione
verso
i
“galantuomini”
pronti
a
schierarsi
con
la
nuova
classe
dirigente
all’ostilità
per
le
regole
imposte
dal
governo
piemontese,
dalla
leva
obbligatoria
al
prelievo
fiscale.
Costante
ed
evidente
risulta
l’attrito
del
nascente
stato
italiano
nel
penetrare
nei
territori
annessi.
La letteratura sull’argomento è oggi vasta e sempre più
esaustiva,
soprattutto
nella
misura
in
cui
il
fenomeno
è
stato
letto
come
risposta
ad
una
mancata
“rivoluzione
agraria”,
come
tentativo
legittimista,
come
guerra
civile.
Più
di
recente,
il
quadro
si
arricchisce
di
ulteriori
aspetti,
piuttosto
insoliti
per
una
storia
al
“maschile”
fatta
di
ribelli
fuorilegge,
ed è
la
partecipazione
della
donna
alla
lotta
brigantesca,
ora
fiancheggiatrice
ora
essa
stessa
a
capo
di
una
banda.
Numerosi
sono
i
profili
delle
donne
briganti,
nonostante
il
ritardo
degli
storici
a
considerarne
attivamente
il
ruolo.
Inoltre,
soltanto
di
recente
l’indagine
ha
alleggerito
gli
accenti
mitici
della
narrazione
nei
resoconti
biografici
a
vantaggio
di
letture
oggettive
relative
a
cronache
dell’epoca
e
agli
atti
dei
processi.
Ripercorrendo
a
grandi
linee
la
storiografia
sull’argomento,
il
primo
lavoro
organico
sulla
presenza
della
donna
nel
brigantaggio
si
deve
a
Jacopo
Gelli
(Banditi,
briganti
e
brigantesse
dell’Ottocento,
1931),
che
imposta
l’opera
secondo
una
visione
fortemente
conservatrice
in
linea
con
le
interpretazioni
della
prima
metà
del
Novecento:
le
donne
briganti
sono
categoricamente
“drude”
al
servizio
di
delinquenti,
assassine
e
“virago
della
malavita
macchiaiuola”.
La
situazione
rimane
inalterata
negli
sporadici
tentativi
di
riportare
storie
di
brigantesse,
fino
alle
soglie
degli
anni
settanta
del
Novecento
con
il
più
noto
volume
sull’argomento,
Le
brigantesse
di
Franca
Maria
Trapani.
La
sua
ricostruzione,
per
alcuni
versi
ancora
legata
ad
elementi
leggendari,
rappresenta
una
svolta
nell’approccio
al
fenomeno,
nell’intento
di
considerare
figure
come
Maria
Rosa
Martinelli,
Filomena
Cianciarullo,
Filomena
Pennacchio,
Maria
Oliverio,
Serafina
Ciminelli,
ecc.,
donne
autonome
e
“psicologicamente”
indipendenti
nei
comportamenti
e
negli
intenti,
nel
complesso
“una
prima
ribellione
femminile
allo
stato
di
soggezione
atavico
e
tradizionale
delle
donne
nelle
province
del
Mezzogiorno”.
Ad
oggi
la
ricerca
si
arricchisce
di
nuovi
volti
e
storie,
ad
opera
di
autori
come
Maurizio
Restivo
e
Valentino
Romano,
dove
la
ricostruzione
oggettiva
prende
il
sopravvento
sugli
elementi
popolari
della
narrazione.
Grazie
a
questa
tendenza
di
studi,
è
stato
possibile
evidenziare
un
dato
di
fatto:
la
massiccia
presenza
delle
donne
al
processo
di
ribellione
del
Mezzogiorno
subito
dopo
l’Unità.
Il
brigantaggio
fu
un
crogiolo
di
motivazioni
diverse,
per
questo
è
ancora
più
difficile
definire
quanta
coscienza
legittimista
abbia
potuto
animare
il
fenomeno
delle
donne
briganti.
Sicuramente
la
presenza
della
brigantessa
ribalta
il
ruolo
stereotipato
della
tradizione
femminile
del
Mezzogiorno
e,
conoscere
i
loro
ritratti
sul
piano
storico,
grazie
al
recupero
di
cronaca
e
atti
di
processi,
ci
informa
della
profonda
determinazione
e
del
coraggio
insoliti
agli
occhi
dei
moderni
di
cui
furono
capaci,
fautrici
di
azioni
illecite
e
particolarmente
violente,
atti
estremi
di
efferatezza,
affermazione
identitaria
e
ribellione,
ora
contro
i
soprusi
baronali,
ora
contro
la
Guardia
Nazionale,
contro
il
proprio
coniuge,
o
familiari,
se
necessario,
fino
a
comandare
in
prima
persona
una
banda,
maneggiare
armi
di
taglio
e da
fuoco,
prelevare
riscatti;
o,
più
semplicemente,
coinvolte
nel
manutengolismo,
nella
fitta
rete
di
relazioni
clandestine
con
i
parenti
datisi
alla
macchia.
Alcuni
ritratti
chiariscono
le
tipologie
sopra
identificate.
Anche
se è
difficile
operare
una
scelta,
ci
riferiamo
nello
specifico
ai
casi
più
noti,
come
quelli
di
Michelina
Di
Cesare,
Filomena
Pennacchio,
Maria
Oliverio,
le
cui
storie
cruenti
hanno
lasciato
un
alone
mitico
presso
le
popolazioni
d’origine,
ora
“riciclate”
nelle
canzoni
popolari,
nei
testi
dei
cantastorie
e
delle
ballate
profane,
ora
ripercorse
nell’immaginario
di
studiosi
e
letterati
romanzando
le
vicende
in
drammi
e
novelle.
Michelina
Di
Cesare
(1841-1868),
per
esempio,
è
un’icona
del
brigantaggio
femminile,
la
più
ritratta
nei
testi
sull’argomento,
dapprima
giovane
e
bella
in
abiti
tradizionali
e
con
la
doppietta,
poi
fotografata
nuda
e
sfregiata
in
seguito
alla
cattura
e
all’uccisione.
Michelina
incontra
e
segue
Francesco
Guerra,
ex
sergente
dell’esercito
borbonico
passato
alla
macchia
subito
dopo
la
nascita
del
Regno.
Dalle
testimonianze
dei
processi,
è
additata
più
volte
come
amante,
“druda”
e
braccio
destro
del
Guerra,
al
quale
la
donna
gli
rimarrà
fedele
fino
alla
morte,
quando
entrambi
vengono
catturati
presso
il
Monte
Morrone,
sempre
nel
casertano,
e
uccisi
nell’agguato
stesso.
«Da
qualche
tempo
–
riferisce
il
rapporto
del
Comando
– si
stavano
perlustrando
quei
luoghi
accidentati
[…]
quando
alla
guida
venne
in
mente
di
avvicinarsi
a
talune
querce
che
egli
sapeva
alquanto
incavate,
ed
entro
le
quali
poteva
benissimo
nascondersi
una
persona.
Fu
buona
la
sua
ispirazione,
perché
[…]
scorse
appoggiati
ad
una
di
quelle
querce
due
briganti,
che
protetti
un
po’
dalla
cavità
dell’albero
[…]
cercavano
ripararsi
dalla
pioggia.
Appena
scortili,
[…]
il
Capitano
[…]
con
un
salto
fu
addosso
a
quei
due
ed
afferratone
uno
pel
collo,
lo
stramazza
al
suolo
e
con
lui
viene
ad
una
lotta
corpo
a
corpo,
finché
venne
dato
ad
un
soldato
di
appuntare
il
suo
fucile
contro
il
brigante
e di
renderlo
cadavere.
[…].
Quel
brigante
fu
subito
riconosciuto
pel
capobanda
Francesco
Guerra,
ed
il
compagno
che
con
lui
s’intratteneva,
appena
visto
l’attacco,
tentò
di
fuggire;
una
fucilata
sparatagli
dietro
dal
medico
di
Battaglione
Pitzorno
lo
feriva,
ma
non
al
punto
di
farlo
cadere,
che
continuando
invece
la
sua
fuga,
s’imbatteva
poi
in
altri
soldati
per
opera
dei
quali
venne
freddato.
Esaminatone
il
corpo,
fu
riconosciuto
per
donna
e
quindi
per
Michelina
De
Cesare
druda
del
Guerra.»
(V.
Romano,
Brigantesse,
pp.
100-101).
I
loro
corpi
furono
esposti
il
giorno
successivo
come
monito
per
la
popolazione.
Filomena
Pennacchio
(1841
-
?),
secondo
la
tradizione,
esordisce
uccidendo
il
marito,
un
cancelliere
di
Foggia,
al
quale
era
andata
in
sposa
per
risollevare
le
sorti
della
famiglia,
infilzandolo
alla
gola
con
uno
spillone.
L’omicidio
la
consegna
alla
macchia
dove
si
aggrega
alle
bande
locali.
Diversi
tribunali,
tra
Potenza,
Avellino
e
Lucera,
testimoniano
negli
atti
i
numerosi
capi
d’accusa,
dalla
grassazione
all’estorsione,
fino
all’omicidio
volontario.
Amante
di
Giuseppe
Schiavone,
fu
catturata,
pare,
in
seguito
alle
gelosie
di
Rosa
Giuliani,
precedente
compagna
del
brigante,
che
denunciò
il
rifugio
della
banda.
Mentre
Schiavone
fu
condannato
a
morte,
la
Pennacchio
scontò
la
pena
in
carcere,
inizialmente
stabilita
in
vent’anni
di
lavori
forzati,
poi
ridotta.
Uscì
nel
1872
anche
se
della
sua
vita
successiva
non
ci
sono
notizie.
Anche
Maria
Oliverio
(1841
- ?)
si
dà
alla
macchia
dopo
un
omicidio,
quello
di
sua
sorella
Teresa,
ritenuta
colpevole
di
tradimento
con
suo
marito
Pietro
Monaco,
ex
sergente
borbonico,
anch’egli
destinato
al
brigantaggio
dopo
l’Unità.
La
donna,
vestiti
i
panni
di
uomo,
si
associa
alla
banda
del
marito
operante
in
Sila,
fino
a
quando,
in
seguito
ad
un
attentato
in
cui
Pietro
perde
la
vita,
ne
assume
il
comando.
Ciccilla,
secondo
la
tradizione,
è
nota
come
“la
brigantessa
delle
brigantesse”,
l’unica
ad
essere
condannata
a
morte
“mediante
fucilazione
alla
schiena”,
dal
Tribunale
Militare.
Condanna
che
in
realtà
non
sarà
eseguita,
ma
trasformata
nel
carcere
a
vita
da
scontare
nella
prigione
di
Finestrelle
in
Piemonte,
triste
luogo
di
destinazione
di
molti
condannati
del
brigantaggio.
Riferimenti
bibliografici
:
Gelli
J.,Banditi,
briganti
e
brigantesse
dell’Ottocento,
Bemporad,
Firenze
1931
Molfese
F.,Storia
del
brigantaggio
dopo
l’unità,
Feltrinelli,
Milano
1966
Monti
M.,I
briganti
italiani,
Longanesi,
Milano
1959
Piromalli
A.,
Scafoglio
D.,
Terre
e
briganti.
Il
brigantaggio
cantato
dalle
classi
subalterne,
G.
D’Anna,
Firenze
1977
Restivo
M.,Ritratti
di
brigantesse.
Il
dramma
della
disperazione,
Piero
Lacaita
Editore,
Manduria
1997
Romano
V.,Brigantesse.
Donne
guerrigliere
contro
la
conquista
del
Sud
(1860-1870),
Controcorrente,
Napoli
2007
Sanfilippo
M.,
Maria
Olivares,
libretto
d'opera
su
musiche
di
D.
Giannetta,
in
"Sipario",
Milano
2010
Scarpino
S.,La
guerra
cafona.
Il
brigantaggio
meridionale
contro
lo
stato
unitario,
Boroli,
Milano,
2005
Trapani
F.M.,
Le
brigantesse,
Canesi,
Roma
1968