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N. 103 - Luglio 2016 (CXXXIV)

L'uscita del regno unito dall'unione europea

cause e possibili conseguenze
di Alessandro Di Meo

 

Il 23 giugno scorso il Regno Unito, in seguito a una consultazione popolare, è uscito dall’Unione Europea; il referendum ha infatti registrato una vittoria di misura dei favorevoli all’uscita dalla Ue rispetto agli unionisti, il 52 % contro il 48 %.

 

Il giorno successivo si è verificato un crollo nei mercati finanziari, con il conseguente deprezzamento della sterlina, e nella mattina il premier inglese David Cameron, che per ragioni politiche interne al partito conservatore aveva anticipato il referendum di un anno e che durante la campagna elettorale si era schierato a favore del mantenimento del paese nell’Unione, ha formalizzato le sue dimissioni.

 

Il Regno Unito si è così ritrovato in una situazione di caos, reso più problematico anche dalla mancanza di leadership – anche i principali sostenitori della brexit hanno infatti rinunciato ad assumere responsabilità di governo, a partire dall’ex sindaco di Londra Boris Johnson – e dalla mancanza di un piano d’azione, in quanto fino all’ultimo momento l’ipotesi di una vittoria degli indipendentisti era considerata irrisoria.

 

L’esito del voto ha visto anche una spaccatura interna tra le diverse nazionalità che compongono il Regno Unito, con la vittoria pressoché unanime degli unionisti in Scozia, nell’Irlanda del Nord e a Gibilterra; in Galles hanno prevalso gli indipendentisti, mentre in Inghilterra la maggioranza della popolazione ha votato per l’uscita, ma nelle grandi città, a cominciare da Londra, hanno vinto i sostenitori dell’adesione all’Unione Europea.

 

Il referendum ha anche registrato una divisione anagrafica della popolazione britannica, con le fasce più anziane che hanno votato per l’uscita dall’Ue e le generazioni più giovani e istruite che hanno invece sostenuto l’adesione.       

 

Le cause che hanno portato all’esito del referendum devono essere ascritte a diversi fattori, in particolare all’esodo delle popolazioni mediorientali che negli ultimi mesi si sono riversati in Europa per sfuggire alla guerra civile siriana e all’espansione dello Stato Islamico, una crisi umanitaria che non è stata gestita in tempo dall’Unione Europea e che ha provocato tensioni in tutti gli stati membri; l’inefficacia delle misure di contenimento dei flussi migratori e le chiusure delle frontiere statali soprattutto nei paesi dell’Europa orientale ha offerto ai partiti euroscettici un argomento da utilizzare nella propaganda antieuropea.

 

La crisi economica è invece stata utilizzata parzialmente dall’Ukip (il principale partito euroscettico britannico, guidato dal comico Nigel Farage) in quanto il Regno Unito ha sempre mantenuto la sterlina come valuta nazionale; gli indipendentisti hanno sostenuto la necessità di separarsi dall’Unione per non incorrere nelle politiche di austerità economica difese dalla Germania, ma si tratta di un argomento scarsamente efficace perché Londra, non avendo adottato l’euro, non doveva sottostare alle direttive di Francoforte.

 

La scelta dei britannici potrebbe avere ripercussioni molto serie all’interno del Regno Unito, che rischia di disintegrarsi, in quanto la Scozia – che solo due anni fa aveva tenuto un referendum per l’indipendenza, vinto di misura dagli unionisti con Londra – ha già annunciato di volersi separare dall’Inghilterra per restare nell’Unione Europea; l’Irlanda del Nord potrebbe seguirla, già si parla di una possibile unificazione con la Repubblica d’Irlanda, mentre è più incerta la posizione del governo autonomo di Gibilterra.

 

In Inghilterra è la città di Londra l’area del paese che rischia di subire le maggiori ripercussioni del distacco dall’Unione, in quanto verrebbero a mancare tutte le agevolazioni fiscali di cui hanno finora goduto le grandi imprese europee, che hanno infatti fissato le loro sedi nella capitale inglese; infine la popolazione britannica rischia di subire, con molta probabilità, l’aumento della tassazione e la riduzione dei servizi assistenziali per far fronte alla crisi economica innescata sia dalle turbolenze dei mercati sia dal ritiro dei fondi europei per lo sviluppo.

 

La notizia della brexit è stata accolta favorevolmente da tutti i partiti euroscettici, dal Front National francese al Partito di estrema destra olandese fino alla Lega Nord, ma nel giro di qualche giorno il caos in cui è caduto il Regno Unito e le ambigue dichiarazione dei leader nazionalisti inglesi hanno attenuato l’entusiasmo dei partiti contrari all’Unione e ha in qualche caso provocato un cambio di direzione; nelle ultime elezioni in Spagna, tenutesi il 25 giugno, il partito euroscettico Podemos, inizialmente dato per vincitore, si è classificato terzo dopo il Partito Popolare e il Partito Socialista.

 

In Italia, fortunatamente, un voto come quello tenutosi nel Regno Unito non si può svolgere perché la Costituzione vieta di sottoporre a referendum popolare, tra le altre cose, la politica estera e la sottoscrizione di trattati (art.75).

 

Per l’Unione Europea, l’uscita di un paese come il Regno Unito, che ha contribuito in maniera determinante a scrivere la storia del continente, è stata certamente una notizia inaspettata e non positiva, però alla lunga potrebbe avere ricadute vantaggiose per l’Unione.

 

Il Regno Unito, infatti, fin dalla sua adesione, avvenuta nel 1975, ha sempre bloccato ogni iniziativa volta a favorire un assetto federale; inoltre, il ritiro dei fondi comunitari consentirebbe di ottenere un surplus economico e l’aumento dei dazi sulle importazioni dalla Gran Bretagna potrebbero stimolare in parte la ripresa economica dell’area euro.

 

L’aspetto più importante che è emerso da questo referendum riguarda comunque i movimenti euroscettici, che risultano essere i veri sconfitti in quanto, pur possedendo la forza per orientare l’opinione pubblica in senso anti europeo, non hanno né i programmi né i mezzi per costruire un’alternativa efficace e democratica all’Unione Europea. 



 

 

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