BRASILE REDIVIVO
LULA E LE ELEZIONI DELLA RINASCITA
di Gian Marco Boellisi
Caratteristica sempre più permeante
dell’era moderna è l’assistere a
confronti elettorali estremamente
polarizzati e di difficile
interpretazione, specie alla luce
delle tensioni economiche, sociali e
politiche degli ultimi anni. Un
esempio recentissimo di quanto
scritto si è avuto in Brasile, dove
le elezioni hanno portato alla
vittoria, dopo numerosi anni, Luiz
Inácio da Silva, detto Lula, contro
l’avversario Bolsonaro.
Definito da alcuni analisi
l’appuntamento elettorale più
importante del 2022, il risultato
ottenuto non solo avrà un’enorme
influenza nella vita dei brasiliani
nei prossimi anni, ma influenzerà
anche numerosi equilibri regionali e
mondiali, vista soprattutto l’enorme
importanza e il peso che il Brasile
ricopre sullo scenario
internazionale. È di quindi di
grande interesse comprendere come si
è arrivati alla vittoria di Lula e
dove essa porterà.
Partiamo da un’analisi dei
risultati. Le elezioni infatti si
sono tenute in due turni con esiti
molto indicativi sul tessuto
politico brasiliano. Il primo turno
si è concluso con Lula in vantaggio
con un 48,40% dei voti, pari a circa
57 milioni di preferenze, contro il
suo avversario Jair Bolsonaro in
seconda posizione con il 43,22%,
ovvero circa 51 milioni di voti.
Tutti gli altri partecipanti, i
partiti minori piuttosto che i
candidati indipendenti non hanno
avuto neanche una speranza di
competere con i due grandi favoriti.
Dopo circa un mese di campagna
elettorale asprissima, alla fine
Lula è risultato trionfante al
secondo turno, ottendendo il 50,8%
dei voti contro il 49,2% di
Bolsonaro. Lo scarto di 1,6 punti
percentuali può già far notare come
la partita si sia combattuta
praticamente con un testa a testa
durante tutto lo scrutinio. A oggi
questo risulta essere il distacco
più piccolo nei ballottaggi della
storia di tutto il Brasile.
Nonostante ora Lula possa dire di
essere veramente tornato dopo undici
anni di assenza dal soglio
presidenziale, chi affermava che
Bolsonaro fosse sconfitto in
partenza ha dovuto ricredersi
concretamente. L’ormai ex presidente
del Brasile è stato sempre in piena
partita e inoltre ciò dimostra anche
che il grande risultato del 2018 non
è stata un’eccezione, ma un segnale
di scontento molto forte da parte
dell’elettorato brasiliano verso la
gestione della cosa pubblica
perpetrata dai governi precedenti.
Inoltre, nonostante la più che
discutibile gestione dell’economia
brasiliana, delle tensioni sociali
interne e soprattutto della
pandemia, la quale ha colpito il
paese con singolare forza anche a
causa del lassismo del governo
nell’effettuare restrizioni,
un’importante fetta del popolo
brasiliano ha voluto confermare la
propria fiducia verso Bolsonaro.
Giusto per dare una visione più
d’insieme, Lula e Bolsonaro
rappresentano due anime distinte e
inconciliabili del Brasile. Da un
lato vi è Lula, classe 1945
proveniente da una famiglia di
umilissime origini dello stato di
Pernambuco. Costretto a dover
lavorare sin dalla tenera età, Lula
decise di comprendere sempre più a
fondo le dinamiche del lavoro
brasiliano, divenendo negli anni ’70
una delle figure di riferimento del
sindacalismo nazionale. Nei primi
anni ’80 formò il nucleo di quello
che sarebbe diventato il Partito dei
Lavoratori (Partido dos
Trabalhadores, PT), unendo al
suo interno varie anime della
sinistra carioca, quali
intellettuali, sindacalisti, membri
della società civile. Da qui Lula
iniziò a candidarsi alle varie
tornate elettorali dal 1989 in poi,
cercando di ottenere la presidenza
per attuare i piani di riforma del
paese che già in quegli anni erano
ben presenti nella sua testa.
Nel 2002 Lula prese una decisione
politica molto importante, aprendo
il suo partito al centro e cercando
di trovare una mediazione con quelle
frange politiche del paese insieme
alle quali si sarebbe potuto formare
un governo. Proprio quest’anno la
sua coalizione ottenne il 46% dei
voti al primo turno e un 61,3% al
ballottaggio contro lo sfidante José
Serra. Come gesto più eclatante di
questa apertura centrista va
ricordata l’assegnazione della
vicepresidenza a José Alencar,
membro del Partido Liberal.
Negli otto anni di governo
successivi, tramite programmi
sociali quali Bolsa Familia,
Lula riuscì a portare circa 30
milioni di persone fuori dalla
soglia di povertà, ad aumentare la
scolarizzazione fino al 90% dei
bambini brasiliani e a ridurre la
disoccupazione di 4-5 punti
percentuali in pochissimo tempo.
Questi programmi tuttavia ebbero un
costo non indifferente per le casse
dello stato, per le quali i
programmi di welfare pesavano a
bilancio per circa il 40%. Per
ovviare a ciò il governo Lula cercò
di puntare sulle risorse naturali,
in particolare energetiche,
disponibili nel proprio paese,
aumentando gli investimenti nel
settore petrolifero, puntando sui
biofuel da canna da zucchero, ma
tenendo anche un importante occhio
di riguardo per quelle che erano
considerate fonti energetiche green
e sostenibili.
Terminato il limite dei due mandati,
Lula si fece da parte per dare
spazio alla collega di partito Dilma
Rousseff prima e Michel Temer poi.
Proprio in questi anni sembrò che la
parabola di Lula fosse ormai al
termine. La crisi economica del 2008
infatti mise in forse le politiche
sociali attuate dai suoi governi, e
inoltre Lula stesso fu coinvolto tra
il 2016 e il 2019 in una vera e
propria odissea giudiziaria in
quella che passerà alla storia come
la “mani pulite” brasiliana:
l’inchiesta Lava Jato.
Presieduta dal super-procuratore
Sergio Moro, l’inchiesta accusò e
infine condannò Lula per corruzione
da parte della ditta petrolifera
Petrobas, portando il vecchio
presidente al carcere nel 2018 e
impedendogli di candidarsi
nuovamente alle elezioni. Dopo un
anno e mezzo dalla condanna, ovvero
nel novembre 2019, Lula uscì dal
carcere e ottenne la caduta delle
accuse nei suoi confronti,
dimostrando altresì la collusione di
Moro con il fronte di Bolsonaro e
quindi un interesse politico nella
sua interdizione.
Dall’altro lato invece abbiamo Jair
Messias Bolsonaro, esponente della
destra nazionalista e militarista
del Brasile. Nato nel 1955 nello
Stato di San Paolo, Bolsonaro si
formò nell’esercito brasiliano degli
anni della dittatura. Finita
l’esperienza militare, si avvicinò
al Partito Cristiano-Democratico,
formazione politica dalle idee
estremamente conservatrici, grazie
al quale riuscì a far carriera fino
ad arrivare a essere eletto nel 1991
in Parlamento a Rio de Janiero. Da
allora la carriera politica di
Bolsonaro è stata fatta da
dichiarazioni estreme e da
altrettanto estreme proposte di
legge, quali ad esempio la
risoluzione della povertà tramite la
sterilizzazione delle fasce più
basse, la militarizzazione delle
strade per combattere il crimine e
così via. Nei suoi ventisette anni
di carriera da parlamentare, solo
due delle sue 173 proposte sono
state tramutate in legge.
Conscio delle tensioni presenti in
Brasile, Bolsonaro ha saputo
sfruttare il momento propizio per
farsi avanti e giocare la sua
partita. È riuscito infatti a
compattare intere fette di
elettorato all’indomani della grande
sfiducia nei confronti della classe
politica causata dall’inchiesta Lava
jato. Nel 2018 decise così di
entrare nel Partito Social-Liberale
e, tramite una campagna elettorale
effettuata con totale mancanza di
rispetto nei confronti dei propri
avversari, delle minoranze o di
chiunque non fosse d’accordo con le
sue idee, riuscì a ottenere il
seggio della presidenza.
Utente molto attivo sui social come
Facebook e Youtube, Bolsonaro ha
saputo attrarre a sé l’elettorato
conservatore in ricerca di un punto
di riferimento. Un esempio fra tutti
in questo senso è costituito dalla
comunità evangelico-cristiana, nuova
forza politica in ascesa negli
ultimi anni in tutto il Brasile la
quale anno dopo anno sta
surclassando la vecchia frangia
cattolica dal punto di vista
numerico e non solo.
Alla fine del primo turno delle
elezioni del 2018 Bolsonaro ottenne
il 46% dei voti, vincendo poi al
ballottaggio con il 55% delle
preferenze contro l’avversario di
sinistra Fernando Haddad. Oltre al
sostegno delle comunità evangeliste
è da riportare un supporto
importante nei suoi confronti da
parte dei grandi proprietari
terrieri, i cosiddetti
fazendeiros, e dal ceto
imprenditoriale in generale, sicuri
questi di vedere allentate le
limitazioni ambientali imposte sotto
Lula e in generale uno scenario di
deregolamentazione economica molto
più spinto.
Nonostante il successo, Bolsonaro ha
avuto grandi difficoltà durante il
suo governo, specie a causa della
mala gestione della pandemia e dei
suoi cambiamenti continui della
squadra di governo. Come
osservazione generale, Bolsonaro non
è altri che la punta dell’iceberg di
uno scontento ben più ampio e
radicato all’interno del Brasile
moderno, simbolo delle sue infinite
difficoltà nel progresso e delle sue
altrettanto complesse
contraddizioni.
Ora che si è presentato un quadro
più specifico sulle forze in campo,
è importante osservare un’analogia
rispetto alle elezioni del 2018.
Infatti se all’epoca ci si era
sorpresi che il dibattito fosse
diventato troppo polarizzato e senza
alcun margine di incontro tra i
candidati, questo altro non era che
l’antipasto rispetto a quello che si
è visto negli scorsi mesi. Prova ne
sia che la famosa linea centrista,
la possibilità di una terza via tra
destra nazionalista e sinistra
populista non ha mai avuto una
minima speranza di affermarsi. Un
esempio chiarificatore può essere il
fatto che, oltre a Lula e Bolsonaro,
vi fossero altri 11 candidati e che
nessuno è mai riuscito a mobilitare
gli elettori brasiliani come fatto
dai due candidati principali.
La polarizzazione è arrivata a tal
punto che le parole in alcuni casi
sono state sostituite dalla
violenza. Un esempio è il caso del
Mato Grosso, dove un militante del
partito di Lula è stato accoltellato
da un sostenitore di Bolsonaro.
D’altronde non ci si poteva
aspettare molto altro quando si
sente Bolsonaro dare del “ladro” al
proprio avversario e di contraltare
Lula definisce l’ormai ex presidente
un “genocida” e un “fascista”. Il
Brasile purtroppo non è estraneo
alla violenza nel mondo politico,
contando che solo nel 2022 ci sono
stati 1.209 delitti politici,
inclusi quelli di 45 dirigenti.
L’estremizzazione del dibattito è
dovuta alle condizioni in cui versa
il Brasile di oggi, in cui una gran
parte della popolazione è disposta a
seguire chiunque possa promettere
una condizione di vita migliore
rispetto a quella attuale. Basti
pensare che il paese è uscito dalla
pandemia con 685 mila morti, con un
tasso di disoccupazione al 9,1% e
con una percentuale della
popolazione che soffre la fame pari
al 15%. Anche per questo motivo
Bolsonaro, cercando di tappare i
suoi buchi programmatici in ambito
di politiche sociali, ha provato ad
aumentare il sussidio ai poveri in
agosto 2022 e ha cercato di
abbassare le tasse. Degli interventi
pagliativi sicuramente, ma che hanno
aiutato molte famiglie a garantire
un pasto in tavola quando la
situazione lavorativa del paese non
è delle migliori.
Sebbene molti analisti abbiano
temuto la possibilità di un colpo di
stato da parte dello sconfitto
Bolsonaro, lasciando da parte i
fenomeni di protesta in svariate
città all’indomani delle elezioni,
simili timori sono stati presto
smentiti. Infatti nei mesi passati
Bolsonaro stesso aveva detto che
avrebbe accettato lo spoglio finale
solo se lo avrebbe ritenuto valido,
cosa che aveva aumentato i timori
dei brasiliani e non solo.
Non hanno aiutato di certo a calmare
i timori le perquisizioni della
polizia nelle case di alcuni
imprenditori che nelle chat di
WhatsApp paventavano la possibilità
di un golpe in caso di sconfitta di
Bolsonaro. Sebbene l’esercito abbia
guadagnato una notevole importanza
sotto l’amministrazione di
quest’ultimo, esso si è dimostrato
super partes e non
intenzionato a farsi coinvolgere
(per il momento) nelle lotte di
potere politico brasiliano. Specie
considerando che le reazioni della
comunità internazionali all’indomani
del colpo di stato andrebbero a
ledere proprio quegli interessi
economici che un golpe militare
vorrebbe cercare di assicurare.
A oggi, anche con la vittoria della
sinistra di Lula, il Brasile è
ancora ben lontano dall’aver
raggiunto una pacificazione
politica. La radicalizzazione è
ancora forte all’interno della varie
anime dei brasiliani e starà al
nuovo esecutivo far sì in modo che
il paese possa vivere una seconda
vita dopo così tanti mesi, se non
anni, di divisioni e
contrapposizioni.
Per avere un elemento in più di
analisi è importante capire come si
è suddiviso l’elettorato tra i due
schieramenti. Gli elettori di
Bolsonaro sono per lo più maschi,
con un età compresa tra i 40 e i 50
anni, con un grado di istruzione
mediamente elevato e con una grande
adesione da parte dei fedeli
evangelico-protestanti. Gli elettori
di Lula invece sono mediamente più
giovani, tra i 18 e i 25 anni,
appartenenti alla classi più umili
con gradi di istruzione che si
fermano alle elementari e di
orientamento religioso variegato,
anche se con una grande presenza di
cattolici. Ciò ci può far capire
come il Paese, al di là delle
ideologie politiche, sia proprio
spaccato in due da religione,
istruzione e censo, fratture queste
non sanabili nell’arco di una o due
amministrazioni presidenziali.
Da un punto di vista internazionale,
con l’elezione di Lula si continua
con la scia di vittorie ottenute
dalle sinistre sudamericane negli
ultimi anni, quali quelle di Boric
in Chile e di Petro in Colombia.
Altro dato importantissimo è
l’affermarsi di una sinistra non più
rivoluzionaria, come può essere
considerata quella cubana o quella
chavista, ma una sinistra
progressista, capace di dialogare
con le varie anime del paese e di
inserirsi allo stesso tempo in un
contesto internazionale estremamente
esigente e dinamico. Nello specifico
caso del Brasile, la vittoria di
Lula riporterà a un riposizionamento
del Brasile e dell’intero continente
sudamericano sullo scacchiere
mondiale. Ricordiamo infatti che i
due governi Lula dal 2002 al 2010
furono quelli
dell’internazionalizzazione del
Brasile, dell’ingresso nel G20,
della creazione dei BRICS e della
costruzione di un ordine
“alternativo” a quello instauratosi
dopo la fine della Guerra Fredda nel
1991.
Ed è proprio per quanto riguarda
questo punto che numerosi analisti
si sono domandati cosa accadrà nei
prossimi mesi ora che Lula è tornato
al potere. Questo poiché la
posizione internazionale del Brasile
è una di quelle cose che può
cambiare tranquillamente gli
equilibri mondiali di potere, per
quanto questo stato possa sembrare
tanto lontano dalle cronache di
tutti i giorni. Le posizioni
terzomondiste di Lula non sono certo
un segreto, tuttavia non è ancora
chiaro quanto e come cercherà di
declinare tali ideologie all’interno
del contesto internazionale odierno.
Da non sottovalutare poi il fatto
che, come riportato da alcune
inchieste, il processo Lava Jato sia
stato in parte avvallato se non in
toto supportato dagli Stati Uniti, i
quali volevano un governo di destra
in Brasile dopo tanti anni di Lula
al potere. Se questo fosse vero, di
certo non farebbe partire con un
buon inizio le relazioni tra
Brasilia e Washington.
Di diversa natura invece saranno le
relazioni con Russia e soprattutto
Cina. Quest’ultima solo nel 2021 ha
avuto un commercio con il Brasile
per 135 miliardi di dollari e un
terzo delle esportazioni carioca
sono verso Pechino. Oltre a vedere
quindi i BRICS come una piattaforma
importante per rilanciare il poprio
paese a livello internazionale, Lula
sicuramente dovrà interfacciarsi
molto con il suo omologo cinese per
evitare di essere troppo dipendente
dalle esportazioni verso Pechino.
Infatti le politiche degli ultimi
anni suggeriscono come l’obiettivo
della Cina possa essere far
diventare il Brasile un bacino di
produzione di materie prime a uso e
consumo solo del mercato cinese,
usando peraltro la sua posizione
geografica per strappare influenza
agli Stati Uniti nel Sud America.
Alcuni analisti addirittura
scommettono che Lula sarà tentato, o
forse costretto, all’aderire alla
Nuova Via della Seta. Per quanto sia
ancora presto per dirlo, non è da
escludere che la voglia di rivalsa e
di rilancio del proprio paese
possano portare il nuovo presidente
ancora più tra le braccia del
dragone cinese.
In un’ottica d’insieme il Brasile,
sia durante l’amministrazione Lula
sia durante quella Bolsonaro anche
se più modestamente, aderisce a
pieno titolo alla visione
multipolare portata avanti negli
ultimi anni con grande vigore da
Russia e Cina. Questo soprattutto
perché Brasilia vede in queste
organizzazioni internazionali
“alternative”, quali i BRICS, delle
piattaforme per proiettare oltre il
continente sudamericano la propria
influenza e la propria economia. Ed
è proprio per questo che anche sotto
Bolsonaro si è fatta molta fatica a
prendere posizione contro la Russia
nella vicenda ucraina. Basti pensare
che l’85% dei fertilizzanti
importati dal Brasile proviene dalla
Russia, i quali vengono utilizzati
nei grandi campi brasiliani per
produrre una grande varietà di
prodotti agricoli, per la maggior
parte soia, la quale poi viene
esportata in Cina. Altro fattore da
non dimenticare è come il Brasile
abbia usato l’India per importare
greggio russo scavalcando le
sanzioni internazionali. Da qui si
può capire come il Brasile dovrà
decidere a breve da che parte della
scacchiera stare, per le sfide
internazionali di oggi ma
soprattutto per quelle di domani.
In conclusione, la vittoria di Lula
è stata salutata dalla maggior parte
degli osservatori internazionali
come una ventata d’aria fresca dopo
i quattro anni molto tormentati e
controversi di Bolsonaro. Per quanto
la vittoria sia stata innegabile,
essa è arrivata a un carissimo
prezzo, con un Brasile ancora
estremamente diviso e polarizzato, e
con uno scarto minimo, simbolo
ancora maggiore di una divisione che
vivrà ancora a lungo nel paese
sudamericano.
Il lavoro che il governo dovrà fare
sarà molto difficile, specie perché
dovrà cercare di includere nelle
proprie politiche tutti i brasiliani
che alle elezioni hanno votato per
gli avversari. Per quanto Lula si
sia sempre un po' sentito il leader
del Sud del mondo, il contesto
internazionale odierno è cambiato
enormemente rispetto all’ultima
volta in cui Lula stesso fu
presidente, motivo per il quale le
sue politiche estere dovranno essere
molto più diversificate e incentrate
all’equilibrismo. Infatti vista
l’epoca di enorme transizione che
stiamo vivendo, il Brasile dovrà
assolutamente pacificare le numerose
anime che vivono al suo interno:
solo così riuscirà a emergere e a
sfruttare l’immenso patrimonio
naturale, politico e soprattutto
umano di cui solo lui è detentore
tra tutti gli stati al mondo.