SUL CONFINE TRA BOTSWANA E ZIMBABWE
STORIA DI UNA BARRIERA
di Lorenzo Bruni
Botswana e Zimbabwe sono due Stati,
collocati nella parte meridionale
del continente africano, la cui
storia presenta molte differenze,
così come la loro attuale situazione
economica, sociale e politica.
Entrambi hanno fatto parte
dell’impero coloniale britannico,
sebbene il primo sia riuscito nel
tempo a mantenere rapporti assai più
amichevoli con gli inglesi, e si
sono affrancati dal dominio europeo
negli anni Sessanta del Novecento:
il Botswana ha ottenuto
l’indipendenza nel 1966, entrando
immediatamente nel Commonwealth e
concedendo al suo popolo una
costituzione e libere elezioni,
mentre per lo Zimbabwe il processo
fu molto più complesso.
Nel 1953 l’Inghilterra aveva infatti
accorpato i territori di Zimbabwe,
Zambia e Malawi nella “Federazione
della Rhodesia e del Nyasaland”,
suscitando la rabbia di molte tribù
nazionaliste di etnia bantu.
L’11 novembre 1965 il primo ministro
della Rhodesia meridionale, Ian
Smith, dichiarò unilateralmente
l’indipendenza in quella che avrebbe
dovuto chiamarsi Repubblica della
Rhodesia. Il giorno successivo l’ONU
disconobbe il nuovo Stato con la
Risoluzione 216, invitando tutti i
membri a non riconoscerlo e
applicando sanzioni economiche.
Gli anni successivi della Repubblica
della Rhodesia furono caratterizzati
da una sanguinosa guerra civile: la
politica di Smith andava a
privilegiare i bianchi colonizzatori
e l’etnia nera ndebele, ma
anche a escludere dalle zone
d’influenza politica ed economica la
maggioranza della popolazione nera,
di matrice etnica shona.
Uno dei rappresentanti rivoltosi,
Robert Mugabe, fondò nel 1963 la
ZANU (Unione Nazionale Africana
Zimbabwe), composta prevalentemente
da shona, scindendosi dalla
già esistenze ZAPU (Unione Popolare
Africana Zimbabwe), che, nonostante
la forte componente ndebele,
protestava apertamente nel tentativo
di cacciare i bianchi europei; i due
gruppi, finanziati rispettivamente
da Cina e Unione Sovietica,
iniziarono a entrare in conflitto
sia con le istituzioni governative
che tra loro. Nel 1976 Mugabe, nel
tentativo di sbloccare la situazione
di apartheid che si era
andata radicando nel Paese, propose
al leader ZAPU, il più diplomatico
Joshua Nkomo, l’unione dei due
gruppi antigovernativi in un’unica
associazione, chiamata Fronte
Popolare.
Nel bienno 1979-1980, grazie alla
mediazione dell’Inghilterra, lo
Zimbabwe ottenne ufficialmente
l’indipendenza, venendo riconosciuto
anche dall’ONU, e le prime elezioni
videro vincitore proprio Mugabe,
mentre Nkomo divenne vicepresidente.
Dopo aver definitivamente
allontanato i bianchi dalla politica
del Paese, Mugabe approfittò degli
anni seguenti per rafforzare il
potere nella sua stessa persona: nel
1982 sciolse il governo e, l’anno
successivo, approfittando di una
crisi interna al Fronte Popolare,
che si stava trascinando dal 1980,
ordinò a una sezione armata della
Zimbabwe National Army di
mettere a tacere ogni tipo di
opposizione.
Tra il 1983 e il 1988, anno in cui
una pace sancì la vittoria di Mugabe
e l’allontanamento di Nkomo dal
governo, si calcola che circa
trentamila cittadini, per la grande
maggioranza di origine ndebele,
siano stati massacrati dall’esercito
regolare: questo genocidio è
conosciuto col nome Gukurahundi,
che può essere tradotto con
“sbarazzarsi di qualcosa”.
Nel frattempo, l’economia del
Botswana stava vivendo una rapida
ascesa, impensabile per un Paese che
al momento dell’indipendenza si
trovava sull’orlo del collasso,
annichilito dal debito fiscale
dovuto all’Inghilterra. Il merito di
questo miracolo economico è dovuto
alla grande opera riformatrice del
primo presidente, Seretse Khama,
che, dopo aver attuato durissime
norme per combattere la corruzion,
vagliò una serie di riforme volte a
trasformare il Botswana in uno Stato
orientato al commercio
d’esportazione: prima lo rese uno
dei principali rifornitori di carni
bovine dell’Europa; poi, grazie alla
scoperta del giacimento diamantifero
di Orapa, divenne il principale
esportatore mondiale di diamanti
grezzi, ruolo che il Botswana
riveste tutt’oggi, arrivando a
ricoprire circa il 33% dell’attività
diamantifera mondiale.
Se il piano economico proposto da
Seretse Khama stava riscuotendo un
successo eccezionale, non sarebbe
stato possibile dire lo stesso dello
Zimbabwe. Negli anni successivi al
repressivo accentramento del potere
su Mugabe, in realtà, non soltanto
l’economia, ma anche le condizioni
sociali degli abitanti dello
Zimbabwe subirono dei notevoli
miglioramenti: in quegli anni
vennero costruiti circa cinquecento
centri sanitari, cosa che comportò
un innalzamento delle aspettative di
vita da 55 a 59 anni, aumentò il
numero dei vaccini disponibili per
ogni bambino, il sistema scolastico
venne riformato e reso più
accessibile, tanto che lo Zimbabwe
divenne uno dei Paesi africani con
il tasso di analfabetismo più basso;
inoltre Mugabe cercò con alcuni
interventi economici di appianare le
differenze salariali tra gli
abitanti, che rimasero comunque
marcate, e nel 1988 promulgò una
legge che, almeno sulla carta,
stabiliva parità di diritti tra
uomini e donne.
Tutti questi miglioramenti andarono
in fumo negli anni Novanta, quando,
seguendo la propria politica
personale di odio nei confronti
della popolazione bianca, Mugabe
diede iniziò a una serie di riforme
agricole che sarebbero continuate
fino agli anni 2000, volte a
espropriare le terre coltivate ai
bianchi, sfruttando anche
l’intervento dell’esercito. La
popolazione bianca, che iniziò a
emigrare verso il Sudafrica,
possedeva negli anni Novanta circa
il 75% delle terre coltivabili:
espropriando loro le coltivazioni,
venne a mancare la spina dorsale
dell’economia zimbabwese che,
andando a sommarsi alle ingenti
spese militari dovute alla
partecipazione alla Seconda guerra
del Congo, portarono lo Zimbabwe al
tracollo finanziario.
In poco tempo le scuole iniziarono a
chiudere, i generi alimentari a
mancare, l’inflazione a impennarsi e
una grave epidemia di AIDS a
falcidiare la popolazione,
diminuendo drasticamente le
aspettative di vita. È in questo
contesto economico e politico che,
nel 2003, è stata costruita una
barriera di filo spinato
elettrificato, posto sul confine tra
i due Stati africani. Lungo circa
482 km, su un totale di confine
comune di 813 km, e alto per una
media di 2.4 m, lo sbarramento è
stato completato nel 2008 ed è
venuto a costare circa 3.5 milioni
di euro; tale somma, comunque,
sembra sia stata fornita in buona
parte dall’Unione Europea per
proteggere i propri interessi.
Il motivo ufficiale per il quale
questa barriera è stata costruita
deve essere fatto risalire al 2001:
in quell’anno una terribile epidemia
di Afta Epizooica ha colpito gli
allevamenti botswani, causando la
morte di circa tredicimila capi tra
bovini e caprini, con gravi
ripercussioni sull’economia del
Paese. Il governo del Botswana ha
attaccato quello dello Zimbabwe,
accusandolo di non prestare
abbastanza attenzione alla
pericolosità del morbo e di non
vaccinare a sufficienza i propri
animali e la popolazione. La
costruzione della barriera di filo
spinato è quindi stata giustificata
al fine di proteggere il bestiame da
un’altra eventuale epidemia di Afta
Epizooica.
Il Botswana, di fatto, è al momento
tra i principali rifornitori di
carni bovine per l’Unione Europea,
ma in base agli accordi di contratto
la merce fornita deve rispondere di
certi requisiti, così come le
tecniche di allevamento: se un solo
capo bovino fosse trovato positivo
all’Afta Epizooica, il governo
botswano sarebbe obbligato a
chiudere l’intera area d’allevamento
per un lungo periodo di tempo,
perdendo una notevole quantità di
introiti anche nel caso in cui
l’epidemia fosse contenuta. Il
governo zimbabwese non ha accettato
questa spiegazione, ritenuta poco
plausibile per il fatto che i
roditori di piccola taglia,
probabili portatori attivi del
morbo, sono comunque in grado di
attraversare la recinzione, e ne ha
fornita un’altra: secondo loro la
barriera è stata costruita per
impedire il passaggio di immigrati
clandestini dallo Zimbabwe al
Botswana.
In effetti, la migliore situazione
economica del Botswana ha da sempre
richiamato un gran numero di
emigrati da altri Stati; ma se in
passato il processo migratorio
veniva favorito per la continua
ricerca di forza lavoro, oggi viene
considerato un problema e
apertamente osteggiato.
Le cause principali sono di tipo
economico e sociale. Infatti, negli
ultimi anni è andato aumentando un
sentimento di odio e diffidenza nei
confronti della popolazione
zimbabwese, accusata di essere più
incline al furto e al crimine: nel
2006 è stato calcolato che circa il
50% dei crimini in Botswana è stato
compiuto da immigrati zimbabwesi; a
preoccupare sono soprattutto le
violenze sessuali, dato che nello
Zimbabwe continua a diffondersi
l’AIDS.
Particolare astio è stato creato dai
furti di bestiame di pastori
zimbabwesi, che si introducono di
notte in territorio botswano per
rapire gli animali e trasportarli
nel proprio Paese: al di là del loro
valore economico, infatti, i bovini
sono considerati animali sacri nella
cultura dell’etnia Tswana. Questo
dilagante razzismo ha portato negli
ultimi anni a un aumento della
violenza interna verso gli
zimbabwesi, con l’aumento
dell’ostilità della popolazione e
della stampa locale.
Inoltre, il rimpatrio degli
immigrati clandestini costa ogni
anno 1.700.000 pula, circa 130.363
euro, al governo locale, tra le
operazioni di cattura e
ridistribuzione e per il
mantenimento dei centri di
accoglienza, dove vengono smistati
prima di essere ricondotti in
patria: nel 2003 il numero di
zimbabwesi arrestati e riportati
oltre il confine era di circa 200
persone al giorno, mentre nel 2006
il numero corrispondeva a circa
5.000 individui al mese.
A questa spesa deve essere anche
aggiunta quella inerente al
mantenimento della barriera: capita
spesso che, per transitare da una
parte all’altra, i migrati, ma anche
gli animali, causino danni al filo
spinato, che deve essere
continuamente revisionato; in alcuni
casi sono stati addirittura
sfruttati degli elefani, lanciati a
gran velocità contro la recinzione,
della quale ovviamente sono state
abbattute larghe porzioni.
Esistono inoltre altre complicazioni
dovute all’esistenza della barriera,
sia di carattere sociale che
ecologico: al momento della
costruzione del muro spinato molte
tribù zimbabwesi si sono trovate
separate dalle zone nelle quali in
precedenza cacciavano o addirittura
dai corsi d’acqua necessari al
proprio sostentamento. Spesso
l’intervento della polizia è stato
necessario non per impedire il
passaggio clandestino, bensì per
sedare le proteste dell’inferocita
popolazione limitrofa che, armata di
bastoni e pietre, ha più volte
cercato di abbattere quell’ostacolo
alla propria sopravvivenza.
Oltre a questo devono essere
considerati anche i danni
ambientali: al di là di come il
paesaggio ne risulti deturpato, la
migrazione naturale degli animali
non è più libera come un tempo, con
il risultato che la fauna del posto
ha dovuto modificare i propri
itinerari, spesso necessari per
procacciarsi il cibo o per
abbeverarsi alle fonti, con
risultati anche fatali.
Nonostante la fine della longeva
dittatura di Mugabe, che, al termine
del colpo di Stato del 14 novembre
2017, è stato sostituito da Emmerson
Mnangagwa, il rapporto tra i due
Paesi non è andato migliorando: il
recinto spinato continua a essere
riparato in quei punti dove la
struttura minaccia di cedere e
aumentano le forze di controllo
poste alla supervisione dello
stesso.