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N. 144 - Dicembre 2019 (CLXXV)

IL BOSCO NEL MEDIOEVO

UNA RISORSA DA SCOPRIRE

di Stefano Bassi

 

Parlare di bosco nel Medioevo significa accostarsi alla storia del nostro paesaggio e confrontarsi con una molteplicità di fonti e problemi.

 

Uno dei primi studiosi a battere queste piste fu indubbiamente Emilio Sereni con la sua Storia del paesaggio agrario italiano, edita nel 1961. Già qui si intuisce come l’Alto Medioevo, pur non mostrando caratteri di completa rottura con l’epoca Tardo Antica, presenti un paesaggio nuovo, fortemente caratterizzato dall’estensione di territori incolti, boschivi e acquitrinosi.

 

Una situazione di selva selvaggia ben riscontrabile nell’iconografia, nell’immaginario e nella mentalità dei tempi. Basti pensare ai monaci che si ritiravano nelle foreste, ritrovando il deserto degli asceti cristiani d’Oriente, fenomeno descritto sapientemente da Jacques Le Goff ne Il Deserto-foresta nell’Occidente medievale.

 

Tuttavia, quel che a prima vista può sembrare un limite o un tratto di arretratezza fu per le popolazione dell’epoca una risorsa da valorizzare che portò senz’altro a elementi di novità rispetto al passato. L’uomo medievale seppe ingegnarsi e far di necessità virtù. Ecco che i boschi e le foreste, ovviamente non in toto, divennero teatro di importanti attività pastorali e di caccia.

 

Nelle selve di querce e faggi possiamo trovare l’allevamento brado di suini che si cibano di ghiande. Tale pratica assicurò anche agli strati più bassi della popolazione un nutrimento consistente e ricco di proteine.

 

Nel ritiro dei monaci dalla città, non troviamo nei loro gesti una completa alienazione dal mondo, ma la creazione e la costruzione di grandi abbazie, dove grazie alla regola di Benedetto ora et labora, i boschi e le foreste vennero addomesticati e trasformati in materia prima: legname da utilizzare in svariati modi (dalla costruzione di utensili a quella di case) e la raccolta delle castagne, fondamentale in un’economia che si basava molto meno sul cereale.

 

Tra il IX e il XI secolo si iniziarono a introdurre alcune distinzioni terminologiche per indicare le aree del bosco. Questo ci fa pensare a un bosco che non è più uniforme, ma estremamente vario. Da una parte la selva ghiandifera o fruttifera, querceti e faggeti, dall’altra una selva cedua formata da arbusti più piccoli, come il pioppo, capaci di rigenerarsi una volta tagliati.

 

 

Attraverso le cronache

 

Grazie alla cronaca scritta da Liutprando da Cremona, l’Antapodosis, apprendiamo con le dovute cautele che l’elemento silvestre denotava anche i castelli medievali.

 

Nella descrizione riguardo al castello di Frassineto, de castello Fraxineto, possiamo notare come esso fosse situato in una posizione strategica: da una parte circondato dal mare e dall’altra da una fittissima e irta boscaglia, densissima spinarum silva.

 

Se da una parte siamo consapevoli che l’elemento delle irte spine ha una valenza simbolica atta a dare un’immagine di impenetrabilità alla fortezza, possiamo comunque immaginare che i castelli sorgessero spesso in aree d’incolto, pronte a volte per essere dissodate e sfruttate.

 

Ci troviamo così di fronte non solo a elementi fortificati atti alla difesa o alla offesa, ma a veri e propri centri economici, capaci di modificare il territorio circostante, plasmandolo.

 

Attraverso le fonti diplomatiche

 

Grazie alle pergamene della basilica di San Vittore di Varese, possiamo gettare uno sguardo su un territorio marginale rispetto ai grandi centri lombardi come Milano. Tuttavia anche qui, in piena fascia prealpina e lacustre, gli appezzamenti di terra venduti, comprati o lasciati in eredità sono accompagnati da menzioni di ampie aree boschive, intese sicuramente come risorsa di valorizzazione della proprietà e come parte integrante di essa.

 

Nella Pagina Iudicati”del 1026, il prete della chiesa di San Vittore dispone per testamento un sedime e altri beni immobili a Casbeno, senza dimenticare di menzionare una silva castanea, ovvero un bosco di castagni da cui ovviamente l’economia locale poteva trarre castagne come sostentamento e nutrimento.

 

Nella Carta Offersionis”del 1039 Raimondo dona alla chiesa di San Vittore delle terre in Lissago, vicino al lago di Varese. Oltre a notare nella descrizione la vivacità di elementi che contraddistinguono la proprietà: si fa, infatti, menzione a prati, vigneti, diritti di pesca, troviamo infine la silvis. Sicuramente un bosco dal quale si poteva attingere il legname da ardere, quello per costruire o riparare la propria casa e magari una piccola barca per la pesca.

 

Così, infine, anche con la Carta Venditionis del 1069 nelle terre che Adelberto vende al prete della chiesa di San Vittore troviamo una cospicua parte de silvis, oltre ai campi da coltivare.

 

Coltivo e bosco, dunque, sempre in stretto legame. Possiamo così concludere che la società medievale, soprattutto nell’Alto Medioevo, utilizzò moltissimo il legno come materia prima, attingendolo dalle copiose silvae di cui disponeva.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

J. Le Goff, Il meraviglioso e il quotidiano nell’Occidente medievale, Laterza, Roma-Bari 1983;

Liutprando, Antapodosis, a cura di Paolo Chiesa, Fondazione Lorenzo Valla, Milano 2015;

R. Rao, I paesaggi dell’Italia medievale, Carocci Editore, Roma 2015;

E. Sereni, Storia del paesaggio agrario italiano, Laterza, Roma-Bari 1961;

A.A. Settia, Boschi e castelli: la dinamica di un rapporto, distribuito in formato digitale da Reti Medievali, 2008.



 

 

 

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