N. 141 - Settembre 2019
(CLXXII)
"alzati, rivestiti di luce, gerusalemme"
SAN
BONAVENTURA
E LA
DOTTRINA
DELL'ILLUMINAZIONE
NELLA
CONCEZIONE
CRISTOCENTRICA
di
Costanza
Marana
La
separazione
netta
tra
il
pensiero
di
San
Bonaventura
(1217-1274)
e la
dottrina
aristotelica
si
rivela
essere
il
tracciato
di
un
francescanesimo
che
tende
a un
ideale
mistico
di
natura
contemplativa.
L’operato
di
Sant’Agostino
edifica
il
costrutto
mentale
del
santo
corroborando
la
sua
inclinazione
verso
uno
studio
dell’anima
teso
all’estasi,
attraverso
la
ricerca
e
accoglimento
dei
dettami
filosofici.
Un’esemplificazione
dell’interconnessione
tra
dettami
francescani
e
“itinerario
teologico-filosofico”.
San
Bonaventura
inserisce
nel
mondo
delle
idee
i
precetti
dell’ordine
mendicante,
facendo
perno
sulla
dottrina
della
rivelazione
come
unico
assetto
cognitivo
possibile,
a
dispetto
del
limite
di
una
concezione
naturalistica.
Il
cammino
individuale,
percorrendo
la
via
della
scienza,
può
incorrere
in
errore
e
“cadere
nelle
tenebre”
se
non
viene
assistito
dall’autorità
e
autorevolezza
della
fede.
Philosophica
scientia
via
est
ad
alias
scientias;
sed
qui
ibi
vult
stare
cadit
in
tenebras.
“La
scienza
filosofica
è
via
che
porta
alle
altre
scienze,
chi
vuole
soffermarsi
in
essa
cade
nelle
tenebre”
Il
senso
profondo
del
discorso
di
Bonaventura
poggia
sulla
critica
al
rinchiudersi
del
pensiero
aristotelico
entro
i
limiti
umani,
non
contemplando
il
cammino
che
porta
alla
visione
estatica
di
Dio.
La
teologia
deve
suffragare
il
cristiano
nel
giungere
a
facoltà
intellegibili
che
eccedano
la
comprensione
umana.
Bonaventura
quindi,
seppur
parta
da
un
certo
sostrato
scientifico
aristotelico,
propende
per
un
suo
superamento
al
fine
di
un
verticalismo
verso
l’Assoluto
e la
divina
sapienza.
Un
grado
di
conoscenza
superiore
(e
qui
si
ritrova
lo
stilema
agostiniano)
che
attinga
al
costrutto
di
un
creato
fonte
dell’amore
di
Dio.
Una
luce
che
irradia
da
Cristo
e
investe
l’umanità
quale
unico
mediatore
del
divino.
Surge,
illuminare
Ierusalem,
quia
venit
lumen
tuum
“Alzati,
rivestiti
di
luce,
Gerusalemme,
poiché
viene
la
tua
luce”.
(Sermone
171
pronunciato
per
le
monache
Clarisse).
Una
concezione
cristocentrica,
quella
bonaventuriana,
che
connota
il
figlio
di
Dio
di
appellativi,
quali
mezzo,
centrum,
medium,
in
un
climax
che
dapprima
concepisce
la
sua
figura
quale
redentore
e in
secondo
momento
la
arricchisce
della
positio
di
compartecipazione
alla
natura
dei
due
estremi
(uomo-Dio).
Cristo
come
il
punto
medio
all’interno
del
loro
processo
di
realizzazione
e
tensione.
Un’elevazione
dalla
pura
ragione
naturale
dell’uomo
che
si
muove
entro
gli
schemi
dell’autodeterminazione
ed
empirismo
mutuata
da
un’ispirazione
ricevuta
sul
suo
soggiorno
sulla
Verna
(33
anni
dopo
la
morte
di
Francesco).
Genius
loci
che
profonde
una
luce
su
Bonaventura
che
ha
una
visione
di
un
serafino
alato
in
forma
di
Crocifisso,
come
accadde
al
parvulus.
Non
è
infatti
in
alcun
modo
preparato
alla
contemplazione
di
Dio,
che
conduce
ai
rapimenti
dell’estasi,
chi
non
è,
con
il
profeta
Daniele,
uomo
di
desideri.
Ora,
i
desideri
s’infiammano
in
noi
in
due
modi:
con
il
grido
della
preghiera,
che
prorompe
dal
gemito
del
cuore,
e
con
il
fulgore
della
speculazione,
che
volge
la
nostra
mente
con
la
massima
immediatezza
e
intensità
ai
raggi
della
luce
(Itinerario
della
mente
a
Dio).
Questa
investitura
luminosa
che
insorge
da
un
moto
dell’animo
sarà
la
guida
verso
il
regime
divino.
Un
viaggio
contemplativo
dove
il
termine
mens,
utilizzato
nel
titolo
dell’opera
bonaventuriana,
“Itinerario
della
mente
in
Dio”,
accoglie
il
registro
agostiniano
di
memoria,
intelligenza
e
volontà.
La
contrapposizione
dialettica
ombra-luce
è
elemento
costitutivo
e
costituente
dell’apparato
simbolico
teologico.
Le
tenebre
vengono
considerate
sinonimo
di
sofferenza,
macchia
dell’anima,
mentre
la
luce
come
principio
purificatore
vitale
della
medesima.
Nello
specifico,
San
Bonaventura
delinea
un
percorso
introspettivo
suffragato
da
vari
gradi
di
luminosità
divina
attraverso
i
quali
l’individuo
si
ravvede
e
identifica
in
Dio
(“A
sua
immagine”).
Una
luminosità
che
conduce
a
una
conoscenza
superiore
edificando
una
nuova
identità
basata
su
un
“suprematismo”
che
semplifichi
e
sintetizzi
forma
e
sostanza
in
un
bagliore.
Una
visione
anche
influenzata
dalle
tendenze
neoplatoniche
diffuse
all’epoca
medievale
che
nel
purismo
geometrico
del
cerchio
riconducevano
le
sembianze
divine
(Tutto
esce
da
Dio
e
tutto
ritorna
in
Dio).
Seguendo
questo
approccio,
San
Bonaventura
conferma
la
sua
teoria
cristocentrica
del
punto
mediano
e
considera
la
soluzione
alla
perdita
di
quest’ultimo
“l’intersezione
ortogonale
di
due
rette”
(ovvero
la
croce).
Anche
empiricamente,
il
crocifisso
risulta
il
mezzo
per
ritrovare
il
centro
del
cerchio,
stilando
due
linee
al
suo
interno
che
incontrando
perpendicolarmente.
Nessuno
può
essere
beato
se
non
si
innalza
al
di
sopra
di
sé
stesso,
con
un’ascesa
non
del
corpo,
ma
del
cuore
(Itinerarium
mentis
in
Deum,
1,
1)
Un’evoluzione
del
processo
individuale
nell’alveo
di
Dio
che
porta,
con
gradualità,
a
uno
stadio
di
comprensione
elevata
referente
di
una
pace
originaria.
Un’intellegibilità
universale
che
ricompone
la
sua
individualità
nella
trascendenza
divina.
Beato
l’uomo
il
cui
sostegno
è in
te!
(Salmo
83,
6-7)
Così
inizia
il
suo
trattato
(Itinerario
della
mente
in
Dio)
che
asseconda
le
tappe
di
un
iter
che,
attraverso
figure
retoriche
e
logica
platonica,
configura
un
nuovo
corpus
teologico
che
profonde
in
pensiero
il
messaggio
del
beato
Francesco.
San
Bonaventura
si
inchina
al
suo
esempio
e lo
corrobora
di
un
apparato
critico-dottrinario
che
attinga
al
registro
medievale
agostiniano,
come
le
ragioni
seminali
(secondo
lo
stoicismo:
i
principi
vitali
delle
cose
immanenti
al
logos
che
garantiscono
la
vita
e la
continuità
dei
singoli
esseri
nel
tutto)
e
l’ilemorfismo
(teoria
aristotelica
e
scolastica
secondo
cui
ogni
singola
sostanza
è
composta
di
materia
e
forma).
Un
registro
narrante
teso
alla
meditazione,
contemplazione
e
infine
all’excessus
mentis,
monitorando
un
assetto
più
astratto,
speculativo,
rispetto
allo
slancio
e
immediatezza
di
Francesco.
Il
magister
crea
un
compromesso
concettuale
tra
il
mondo
delle
idee,
dispensato
come
unico
da
Platone,
e la
scienza
di
Aristotele
che
si
muove
entro
le
ragioni
create,
individuando
di
entrambi
i
limiti
e le
contromisure
superati
dal
messaggio
di
Sant’Agostino
(De
civitate
dei).
San
Bonaventura
concepisce
la
conoscenza
come
un
traguardo
perseguito
e
ottenuto
attraverso
i
dati
di
coscienza
resi
dal
comparto
sensibile
e
dal
principio
superiore
(“non
attraverso
la
porta
dei
sensi”).
Costui
ha
il
merito
di
radicare
l’ordine
mendicante
all’interno
di
un
dialogo
di
più
ampio
respiro
connotandolo
di
un’aura
teologica
(oltre
che
passionale)
che,
nel
suo
costante
appello
e
riferimento
a
Dio,
ancora
il
dettato
francescano
alla
dottrina
della
grazia
di
Sant’Agostino.
Lo
strumento
dell’intelletto
diventa
fondamentale
per
avvicinarsi
a
Dio
e
quindi
a se
stessi.
In
sapientiae
eius
luxit
anima
mea
“Nella
sua
sapienza
risplende
la
mia
anima”
(Sermone
138
6-7
cit.
dall’Ecclesiastico)
Riferimenti
bibliografici:
L’itinerario
della
mente
in
Dio,
Bonaventura
da
Bagnoregio,
a
cura
di
Giovanni
Zuanazzi,
La
Scuola,
Brescia
1995;
Blasucci
A.
et
al,
Lettura
critica
di
San
Bonaventura,
Città
di
vita,
Firenze
1974;
Opere
di
San
Bonaventura
Sermoni
de
tempore,
a
cura
di
Jacques
Guy
Bougerol,
Cornelio
Del
Zotto
e
Leonardo
Sileo,
Città
Nuova
Editrice,
Roma
2003.