SUGLI ERETICI DEL NOVECENTO
BUONAIUTI, TARTAGLIA E TONDI: IN
FUGA DALLA CHIESA
Alessio Guglielmini
Indesiderati, allontanati,
rinnegati, perfino riaccolti, come
nel caso di Alighiero Tondi che
tornerà a dire messa nel 1981, dopo
una lunga parentesi negli ambienti
del Partito comunista. È la breve
storia di tre “apostati” italiani
del cattolicesimo novecentesco che
finiscono per assumere posizioni
contrastanti, se non decisive,
rispetto alle istituzioni
ecclesiastiche.
Il primo dei tre a gettare la
propria vita allo sbaraglio è
Ernesto Buonaiuti, nato a Roma il 25
giugno 1881. Nel 1895 entra nel
Seminario di Sant’Apollinare e
mostra presto una non comune
inclinazione per le dottrine moderne
e le lingue straniere. I risultati
di questo richiamo si estrinsecano
nel 1901, quando si rivolge a Romolo
Murri, sulle pagine della sua
rivista “Cultura sociale”, con una
lettera aperta dal titolo di
Novissimus.
In questo primo contributo, come
rileva Federico Battistutta, il
giovane Buonaiuti auspica una
società in cui la proprietà privata
non esiste e il governo è alimentato
da un sistema decentralizzato,
basato sull’agire delle comunità
lavoratrici. Queste tendenze,
ovviamente, inducono a inserire
Buonaiuti nelle file del modernismo
cattolico di cui lo stesso Murri è
rappresentante significativo, ma
sarebbe limitativo ridurre Buonaiuti
a un pensatore sedotto dalle scienze
sociali laiche. Battistutta
sottolinea del resto come a
“modernismo” Buonaiuti preferisca
l’espressione di “arcaismo”.
La linfa del rinnovamento, in un
moto avverso alla
istituzionalizzazione di un potere
ecclesiastico autoritario, Buonaiuti
la rinviene infatti alle origini,
nelle radici del cristianesimo
primitivo e nel “vangelo di
liberazione” di Gioacchino da Fiore
e Francesco d’Assisi. Una concezione
più spontanea, più a contatto con la
natura, più ispirata a un’autentica
fratellanza, sganciata da dogmi
ferrei e da gerarchie nette.
Le sue urgenze dottrinali, tra il
1916 e il 1921, vengono colpite
prima da una sospensione a divinis
e, poi, da una scomunica. Dopo
professioni di fede e giuramenti
riparatori, nel 1926 arriva il
provvedimento più severo da parte
del Sant’Uffizio: la scomunica
espressamente vitando. Si tratta di
unamisura radicale che, sulla carta,
vieta a Buonaiutiperfino l’ingresso
in chiesa e l’inumazione in
territorio consacrato, con
l’inevitabile isolamento rispetto al
gregge dei fedeli.
A questo esilio ecclesiale Buonaiuti
aggiunge anche quello politico,
rifiutando di giurare fedeltà al
regime fascista, nelle vesti di
docente. Buonaiuti, dal 1915,è
infatti Ordinario della cattedra di
Storia del Cristianesimo
all’Università di Roma. Tra i suoi
allievi figura anche quell’Ambrogio
Donini che sarà soggetto cruciale
nella vicenda del gesuita Alighiero
Tondi, di cui diremo a breve.
Malgrado tutte queste difficoltà,
Buonaiuti resisterà su posizioni di
avanguardia fino al 20 aprile 1946,
data della sua scomparsa.
Ancora più inserito nel dibattito
politico del primo Novecento è il
profilo di Ferdinando Tartaglia,
recuperato sempre da Battistutta.
Nato a Parma nel 1916 e ordinato
sacerdote nel 1939, nel 1945 inizia
una prolifica carriera per la
rivista “Il Contemporaneo”,
pubblicata dall’editore Ugo Guanda,
per cui Tartaglia ha già curato una
collana di testi religiosi. Nello
stesso periodo Tartaglia prende
parte all’esperienza dei “Centri di
orientamento sociale” (Cos), fondati
a Perugia da Aldo Capitini e
approdati anche a Firenze, dove è
attivo Tartaglia.
Lo spirito dei Cos, aperti al
dialogo culturale e sociale, senza
distinzioni e pregiudizi di età,
razza e sesso, stona con il ruolo
pubblico di Tartaglia che finisce
per attirare su di sé l’attenzione
delle gerarchie ecclesiastiche,
anche perché le sue omelie sono
sempre più seguite. Questo
interessamento costa a Tartaglia
l’interdizione della facoltà di
celebrare la messa e d’indossare
l’abito talare. La scomunica più
grave, la vitando, lega la figura di
Tartaglia a quella del suo
“predecessore” Buonaiuti. È infatti
proprio in seguito all’accalorata
commemorazione di quest’ultimo a
Palazzo Strozzi nel 1946 che
Tartaglia si vede comminare
l’estremo provvedimento.
Questo non gli impedisce di trovare
l’energia e le risorse, anzi vale
forse il contrario, per fondare,
sempre con Capitini, il “Movimento
di religione” che assomma al suo
interno intellettuali di varia
estrazione, tra cui lo psichiatra
Roberto Assagioli. Per Tartaglia si
tratta tuttavia di una tappa
intermedia che fa da preludio alla
nascita del “Centro per la realtà
nuova”, in un’antica villa collinare
di Firenze che ancora negli anni ‘60
è sede di dibattiti e di conferenze.
Nel pensiero di Tartaglia si
individuano tracce di quanto emerso
già in Buonaiuti: una solida
ostilità verso il legalismo e il
formalismo del cattolicesimo
contemporaneo, a cui viene opposto
il cristianesimo della liberazione e
della rivelazione. Ma Tartaglia si
spinge più in là, affrontando la
questione teologica del “problema di
Dio”, lungo un complesso circuito
che lo stimola a dialogare con il
protestantesimo e a superare le
interpretazioni univoche delle
correnti che nei secoli si sono
interrogate attorno a tale nodo, dal
teismo allo scientismo.
Tartaglia si muove oltre la
religione tradizionale, inseguendo
una “nostalgia nuova”, fino a “ciò
che non è mai stato”, in una novità
pura, in cui “Dio non cammina più
dal passato al futuro ma dal futuro
al passato”. La vera e autentica
riforma religiosa non può che essere
originata da questa ampiezza
illimitata di prospettive, senza
barriere confessionali. Più facile
inquadrare la critica politica di
Tartaglia al cattolicesimo
ufficiale, accusato di essere
fascista per sua stessa natura e
quindi spontaneamente portato ad
allinearsi al fascismo storico.
Proprio per tale motivo,Tartaglia
prova una forte diffidenza per una
Democrazia cristiana che non gli
risulta democratica e nemmeno
cristiana.
Con questa visione Tartaglia passa
idealmente il testimone ad Alighiero
Tondi e alla sua rocambolesca
avventura. È peraltro Ambrogio
Donini, già allievo dell’eretico
Buonaiuti e personaggio di spicco
del PCI nel secondo dopoguerra, a
diventare interlocutore di Tondi e
ad accoglierlo nel partito guidato
da Togliatti. La vicenda è
statarecentemente ripresa da Matteo
Manfredini nel saggio Il gesuita
comunista.
Effettivamente, Tondi, fino
all’aprile del 1952, è professore
presso l’Università Gregoriana di
Roma. A 44 anni, rinnega tuttavia la
sua militanza nella Compagnia di
Gesù e comincia a collaborare con i
comunisti, sia come articolista che
come autore e conferenziere.
Le rivelazioni di Tondi suscitano
notevole scalpore. Le sue conferenze
e i suoi articoli ricostruiscono le
trame in cui è stato coinvolto prima
di abbandonare la tonaca. Un
groviglio di trattative indirizzate
da Luigi Gedda, presidente
dell’Azione Cattolica dal 1952, che
mirano a creare un movimento
alternativo alla Democrazia
Cristiana di De Gasperi. Un progetto
politico sempre di estrazione
cattolica, ma con un approccio
virato a destra, fino ad assorbire
figure provenienti dal neofascismo e
nostalgici della monarchia. Sembrano
quasi risuonare le opinioni di
Tartaglia che considera fin troppo
naturale l’intesa tra le correnti
più conservatrici del mondo
ecclesiastico e le frange di
ispirazione fascista.
Ciò nonostante, la stagione del
“prete spretato” nel novero del PCI,
malgrado gli infuocati inizi, non si
rivelerà così fortunata. Se è vero
che Manfredini rinviene in documenti
riservati del dossier Donini la
prova che Tondi agisce come spia dei
comunisti, ancora prima di lasciare
il suo posto alla Gregoriana,
intervenendo già nel 1951 con un
articolo su “Rinascita” e firmandosi
come “Tonaca Bianca”, il girovagare
di Tondi permane inquieto in tutti i
decenni a seguire.
Pur avendo sposato nel 1954 la
deputata comunista Carmen Zanti, a
cui rimane profondamente legato fino
alla morte di quest’ultima,
sopraggiunta nel 1979, Tondi, in
cuor suo, avverte una sintomatica
nostalgia per la sua casa originale,
quella Santa Romana Chiesa che, per
intercessione del vescovo di Reggio
Baroni presso Giovanni Paolo II, lo
riaccoglie per pochi anni, fino alla
sua scomparsa, avvenuta nel 1984. È
il ritorno in un habitat sicuro,
raramente rintracciato nei circoli
comunisti, forse più inclini a
usarlo come informatore.
È un passo indietro radicale quello
di Tondi, almeno quanto quello
compiuto, nell’opposta direzione,
dai suoi eretici anticipatori:
Ernesto Buonaiuti e Ferdinando
Tartaglia. A distanza di anni,
ritroviamo tre strade intrecciate,
pur altalenanti negli esiti, a
ricordare come áiresis, da cui il
termine “eresia”, significhi,
innanzitutto, “scelta”. Proprio il
recupero di questa etimologia è alla
base della miscellanea Eretici
dimenticati, da cui sono stati
tratti gli spunti di riflessione di
Battistutta su Buonaiuti e
Tartaglia. Eretici sono insomma
coloro che operano una scelta,
spesso sfuggendo a una condizioneche
si percepisce stretta, che non
consente di esprimere la complessità
della propriavocazione.
Al di là dell’approdo finale, il
“gesuita comunista” Tondi si
affianca, pur in maniera meno
lineare e coerente, al camminodegli
ostinatiBuonaiuti e Tartaglia,
confermando la fame di rinnovamento
e la crisi “da dentro” che tagliano
tutto il cattolicesimo novecentesco.
Riferimenti bibliografici:
AA.VV., Eretici dimenticati. Dal
medioevo alla modernità, a cura
di Corrado Mornese e Gustavo
Buratti, DeriveApprodi, Roma 2004,
con riferimento ai contributi di
Federico Battistutta: La vita
allo sbaraglio. Ernesto Buonaiuti e
il suo tempo, pp. 325-333, ed
Experimentum Mundi: la nostalgia
nuova di Ferdinando Tartaglia,
pp. 334-344.
Matteo Manfredini, Il gesuita
comunista. Vita estrema di Alighiero
Tondi, spia in Vaticano,
Rubbettino Editore, Soveria Mannelli
2020.
Giordano Bruno Guerri, Eretico e
profeta. Ernesto Buonaiuti, un prete
contro la Chiesa, Mondadori,
Milano 2001.