[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

183 / MARZO 2023 (CCXIV)


filosofia & religione

SUGLI ERETICI DEL NOVECENTO

BUONAIUTI, TARTAGLIA E TONDI: IN FUGA DALLA CHIESA

Alessio Guglielmini

 

Indesiderati, allontanati, rinnegati, perfino riaccolti, come nel caso di Alighiero Tondi che tornerà a dire messa nel 1981, dopo una lunga parentesi negli ambienti del Partito comunista. È la breve storia di tre “apostati” italiani del cattolicesimo novecentesco che finiscono per assumere posizioni contrastanti, se non decisive, rispetto alle istituzioni ecclesiastiche.
 
Il primo dei tre a gettare la propria vita allo sbaraglio è Ernesto Buonaiuti, nato a Roma il 25 giugno 1881. Nel 1895 entra nel Seminario di Sant’Apollinare e mostra presto una non comune inclinazione per le dottrine moderne e le lingue straniere. I risultati di questo richiamo si estrinsecano nel 1901, quando si rivolge a Romolo Murri, sulle pagine della sua rivista “Cultura sociale”, con una lettera aperta dal titolo di Novissimus.
 
In questo primo contributo, come rileva Federico Battistutta, il giovane Buonaiuti auspica una società in cui la proprietà privata non esiste e il governo è alimentato da un sistema decentralizzato, basato sull’agire delle comunità lavoratrici. Queste tendenze, ovviamente, inducono a inserire Buonaiuti nelle file del modernismo cattolico di cui lo stesso Murri è rappresentante significativo, ma sarebbe limitativo ridurre Buonaiuti a un pensatore sedotto dalle scienze sociali laiche. Battistutta sottolinea del resto come a “modernismo” Buonaiuti preferisca l’espressione di “arcaismo”.
 
La linfa del rinnovamento, in un moto avverso alla istituzionalizzazione di un potere ecclesiastico autoritario, Buonaiuti la rinviene infatti alle origini, nelle radici del cristianesimo primitivo e nel “vangelo di liberazione” di Gioacchino da Fiore e Francesco d’Assisi. Una concezione più spontanea, più a contatto con la natura, più ispirata a un’autentica fratellanza, sganciata da dogmi ferrei e da gerarchie nette.
 
Le sue urgenze dottrinali, tra il 1916 e il 1921, vengono colpite prima da una sospensione a divinis e, poi, da una scomunica. Dopo professioni di fede e giuramenti riparatori, nel 1926 arriva il provvedimento più severo da parte del Sant’Uffizio: la scomunica espressamente vitando. Si tratta di unamisura radicale che, sulla carta, vieta a Buonaiutiperfino l’ingresso in chiesa e l’inumazione in territorio consacrato, con l’inevitabile isolamento rispetto al gregge dei fedeli.
 
A questo esilio ecclesiale Buonaiuti aggiunge anche quello politico, rifiutando di giurare fedeltà al regime fascista, nelle vesti di docente. Buonaiuti, dal 1915,è infatti Ordinario della cattedra di Storia del Cristianesimo all’Università di Roma. Tra i suoi allievi figura anche quell’Ambrogio Donini che sarà soggetto cruciale nella vicenda del gesuita Alighiero Tondi, di cui diremo a breve. Malgrado tutte queste difficoltà, Buonaiuti resisterà su posizioni di avanguardia fino al 20 aprile 1946, data della sua scomparsa.
 
Ancora più inserito nel dibattito politico del primo Novecento è il profilo di Ferdinando Tartaglia, recuperato sempre da Battistutta. Nato a Parma nel 1916 e ordinato sacerdote nel 1939, nel 1945 inizia una prolifica carriera per la rivista “Il Contemporaneo”, pubblicata dall’editore Ugo Guanda, per cui Tartaglia ha già curato una collana di testi religiosi. Nello stesso periodo Tartaglia prende parte all’esperienza dei “Centri di orientamento sociale” (Cos), fondati a Perugia da Aldo Capitini e approdati anche a Firenze, dove è attivo Tartaglia.
 
Lo spirito dei Cos, aperti al dialogo culturale e sociale, senza distinzioni e pregiudizi di età, razza e sesso, stona con il ruolo pubblico di Tartaglia che finisce per attirare su di sé l’attenzione delle gerarchie ecclesiastiche, anche perché le sue omelie sono sempre più seguite. Questo interessamento costa a Tartaglia l’interdizione della facoltà di celebrare la messa e d’indossare l’abito talare. La scomunica più grave, la vitando, lega la figura di Tartaglia a quella del suo “predecessore” Buonaiuti. È infatti proprio in seguito all’accalorata commemorazione di quest’ultimo a Palazzo Strozzi nel 1946 che Tartaglia si vede comminare l’estremo provvedimento.
 
Questo non gli impedisce di trovare l’energia e le risorse, anzi vale forse il contrario, per fondare, sempre con Capitini, il “Movimento di religione” che assomma al suo interno intellettuali di varia estrazione, tra cui lo psichiatra Roberto Assagioli. Per Tartaglia si tratta tuttavia di una tappa intermedia che fa da preludio alla nascita del “Centro per la realtà nuova”, in un’antica villa collinare di Firenze che ancora negli anni ‘60 è sede di dibattiti e di conferenze.
 
Nel pensiero di Tartaglia si individuano tracce di quanto emerso già in Buonaiuti: una solida ostilità verso il legalismo e il formalismo del cattolicesimo contemporaneo, a cui viene opposto il cristianesimo della liberazione e della rivelazione. Ma Tartaglia si spinge più in là, affrontando la questione teologica del “problema di Dio”, lungo un complesso circuito che lo stimola a dialogare con il protestantesimo e a superare le interpretazioni univoche delle correnti che nei secoli si sono interrogate attorno a tale nodo, dal teismo allo scientismo.
 
Tartaglia si muove oltre la religione tradizionale, inseguendo una “nostalgia nuova”, fino a “ciò che non è mai stato”, in una novità pura, in cui “Dio non cammina più dal passato al futuro ma dal futuro al passato”. La vera e autentica riforma religiosa non può che essere originata da questa ampiezza illimitata di prospettive, senza barriere confessionali. Più facile inquadrare la critica politica di Tartaglia al cattolicesimo ufficiale, accusato di essere fascista per sua stessa natura e quindi spontaneamente portato ad allinearsi al fascismo storico. Proprio per tale motivo,Tartaglia prova una forte diffidenza per una Democrazia cristiana che non gli risulta democratica e nemmeno cristiana.
 
Con questa visione Tartaglia passa idealmente il testimone ad Alighiero Tondi e alla sua rocambolesca avventura. È peraltro Ambrogio Donini, già allievo dell’eretico Buonaiuti e personaggio di spicco del PCI nel secondo dopoguerra, a diventare interlocutore di Tondi e ad accoglierlo nel partito guidato da Togliatti. La vicenda è statarecentemente ripresa da Matteo Manfredini nel saggio Il gesuita comunista.
 
Effettivamente, Tondi, fino all’aprile del 1952, è professore presso l’Università Gregoriana di Roma. A 44 anni, rinnega tuttavia la sua militanza nella Compagnia di Gesù e comincia a collaborare con i comunisti, sia come articolista che come autore e conferenziere.
 
Le rivelazioni di Tondi suscitano notevole scalpore. Le sue conferenze e i suoi articoli ricostruiscono le trame in cui è stato coinvolto prima di abbandonare la tonaca. Un groviglio di trattative indirizzate da Luigi Gedda, presidente dell’Azione Cattolica dal 1952, che mirano a creare un movimento alternativo alla Democrazia Cristiana di De Gasperi. Un progetto politico sempre di estrazione cattolica, ma con un approccio virato a destra, fino ad assorbire figure provenienti dal neofascismo e nostalgici della monarchia. Sembrano quasi risuonare le opinioni di Tartaglia che considera fin troppo naturale l’intesa tra le correnti più conservatrici del mondo ecclesiastico e le frange di ispirazione fascista.
 
Ciò nonostante, la stagione del “prete spretato” nel novero del PCI, malgrado gli infuocati inizi, non si rivelerà così fortunata. Se è vero che Manfredini rinviene in documenti riservati del dossier Donini la prova che Tondi agisce come spia dei comunisti, ancora prima di lasciare il suo posto alla Gregoriana, intervenendo già nel 1951 con un articolo su “Rinascita” e firmandosi come “Tonaca Bianca”, il girovagare di Tondi permane inquieto in tutti i decenni a seguire.
 
Pur avendo sposato nel 1954 la deputata comunista Carmen Zanti, a cui rimane profondamente legato fino alla morte di quest’ultima, sopraggiunta nel 1979, Tondi, in cuor suo, avverte una sintomatica nostalgia per la sua casa originale, quella Santa Romana Chiesa che, per intercessione del vescovo di Reggio Baroni presso Giovanni Paolo II, lo riaccoglie per pochi anni, fino alla sua scomparsa, avvenuta nel 1984. È il ritorno in un habitat sicuro, raramente rintracciato nei circoli comunisti, forse più inclini a usarlo come informatore.
 
È un passo indietro radicale quello di Tondi, almeno quanto quello compiuto, nell’opposta direzione, dai suoi eretici anticipatori: Ernesto Buonaiuti e Ferdinando Tartaglia. A distanza di anni, ritroviamo tre strade intrecciate, pur altalenanti negli esiti, a ricordare come áiresis, da cui il termine “eresia”, significhi, innanzitutto, “scelta”. Proprio il recupero di questa etimologia è alla base della miscellanea Eretici dimenticati, da cui sono stati tratti gli spunti di riflessione di Battistutta su Buonaiuti e Tartaglia. Eretici sono insomma coloro che operano una scelta, spesso sfuggendo a una condizioneche si percepisce stretta, che non consente di esprimere la complessità della propriavocazione.
 
Al di là dell’approdo finale, il “gesuita comunista” Tondi si affianca, pur in maniera meno lineare e coerente, al camminodegli ostinatiBuonaiuti e Tartaglia, confermando la fame di rinnovamento e la crisi “da dentro” che tagliano tutto il cattolicesimo novecentesco.


 
Riferimenti bibliografici:
 
AA.VV., Eretici dimenticati. Dal medioevo alla modernità, a cura di Corrado Mornese e Gustavo Buratti, DeriveApprodi, Roma 2004, con riferimento ai contributi di Federico Battistutta: La vita allo sbaraglio. Ernesto Buonaiuti e il suo tempo, pp. 325-333, ed Experimentum Mundi: la nostalgia nuova di Ferdinando Tartaglia, pp. 334-344.
Matteo Manfredini, Il gesuita comunista. Vita estrema di Alighiero Tondi, spia in Vaticano, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli 2020.
Giordano Bruno Guerri, Eretico e profeta. Ernesto Buonaiuti, un prete contro la Chiesa, Mondadori, Milano 2001.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]