N. 11 - Novembre 2008
(XLII)
BOBBY SANDS, RAGAZZO DI BELFAST
Vita di un
prigioniero politico
di
Cristiano Zepponi
Robert Gerard Sands, il
maggiore di quattro fratelli, nacque ad Abbots Cross (Newtownabbey,
County Antrim), un sobborgo settentrionale di Belfast,
il 9 marzo del 1954.
Sul finire degli anni ’60 la situazione in Irlanda si
era fatta particolarmente tesa: le dimostrazioni
pacifiche del ‘Northern Ireland Civil Rights
Association’, che richiedeva basilari diritti politici e
civili e contestava la discriminazione etnico-religiosa
dei cattolici, furono violentemente attaccate da membri
dell’Ordine di Orange, spalleggiati dalle polizie
unioniste e, poi, dalle milizie dei RUC e dei B-Specials,
scatenate dal governo contro i quartieri cattolici.
Sempre più spesso fuori dalle fabbriche si leggevano
frasi come "Qui non si assumono cattolici", e persino i
matrimoni venivano negati ai non protestanti.
La polizia interveniva alle manifestazioni con violenza,
per disperdere la folla, mentre si susseguivano gli
arresti e le incarcerazioni senza processo; il 30
gennaio del 1972, come logico esito del processo
innescato, i parà inglesi massacrarono tredici civili al
termine di una pacifica manifestazione a Derry, causando
il Bloody Sunday che si ricorda ancora oggi.
Il ragazzo, dunque, visse da subito un’adolescenza
movimentata: a diciotto anni i genitori John e Rosaleen
decisero di trasferirsi nel quartiere di Twinbrook,
sobborgo di West Belfast, a causa delle costanti
intimidazioni subite dai lealisti protestanti. Lasciata
la scuola, Bobby divenne un apprendista capo-cantiere,
finché non fu costretto a lasciare il lavoro, in seguito
alle minacce dei lealisti.
"Ero soltanto un ragazzo della working class proveniente
da un ghetto nazionalista, ma è la repressione che crea
lo spirito rivoluzionario della libertà”, disse poi. Ed
in effetti, la repressione ci fu: in risposta
all’iniziativa dei ghetti cattolici, che si erano
organizzati autonomamente per la difesa, il governo
conservatore britannico di Heath reintrodusse
l’internamento preventivo sulla base dello Special
Powers Act, il 9 Agosto 1971. Su 2357 persone arrestate
598 furono internate, 159 trattenute e 1600 rilasciate,
provocando l'insurrezione dei quartieri cattolici che
riuscirono per un anno a cacciare le truppe britanniche
fuori dai loro confini ('no-go areas'); la popolazione
si strinse al fianco dell'I.R.A. 'Provisional' ('Provvisorio',
per differenziarsi dal Movimento allora ufficiale, 'Official'),
che divenne il baluardo difensivo della popolazione
cattolica.
Nel 1972, all'apice dei tumulti, Bobby Sands aderì al
‘Provisional’ e divenne membro del Primo Battaglione
della ‘Brigata Belfast’; subito dopo, tuttavia, fu
arrestato, e tradotto nelle cages di Long Kesh, dove gli
fu riconosciuto lo status di ‘prigioniero politico’.
Ciononostante, rimase in carcere - senza processo - fino
al 1976.
Al suo rilascio fece ritorno in famiglia, a Twinbrook,
dove divenne un attivista della comunità; ma si trovava
fuori di prigione da un solo anno quando, nel settembre
del 1977, subì un nuovo arresto, ed un processo per aver
partecipato al tentativo di far saltare la Balmoral
Furniture Company di Dunmurry. Nonostante
l’insufficienza di prove, il ritrovamento di una pistola
nella macchina dove viaggiava lo inchiodò, e fu
condannato a 14 anni di carcere.
Sands scontò di nuovo la pena nel carcere di Long Kesh,
ribattezzato dagli inglesi Maze, dopo la costruzione
della parte nuova del carcere, costituita da 8 edifici a
forma di H, tristemente noti come H-Blocks, "Blocchi H".
Stavolta non poteva godere dello status di ‘prigioniero
politico’, abolito per tutti I crimini commessi a
partire dal primo marzo del 1976.
In prigione, Sands prese a scrivere con lo pseudonimo di
‘Marcella’, una delle sorelle: i suoi articoli, scritti
su pezzi di carta igienica e segretamente fuoriusciti
dal carcere, furono pubblicati dal giornale repubblicano
‘An Phoblacht-Republican News’.
Le condizioni di vita, in prigione, erano disumane: “Dio
mio, un altro giorno ancora, pensai, ed era tutt’altro
che un pensiero piacevole”. Cumuli di rifiuti sul gelido
pavimento della cella, il fetore degli escrementi e
dell’urina, la neve, il gelo dalla finestra senza vetri,
gli insetti, la paura. Niente coperte. E poi i
secondini, particolarmente attratti dall’idea di
piombare nelle celle nel bel mezzo della notte, per
disintossicare la stanza o semplicemente rompere qualche
osso di troppo: “Quello si mise davanti a me e mi colpì
mentre stava ancora ridendo. In pochi secondi, in mezzo
a lampi bianchi, caddi a terra sotto una pioggia di
colpi provenienti da ogni parte. Mi rimisero in piedi e
mi gettarono come un sacco sopra il tavolo, a pancia in
giù. Delle mani mi afferrarono per le braccia e per le
gambe, allargandomi come fossi un pezzo di cuoio. Uno di
loro, prendendomi per i capelli, mi tirò la testa
all’indietro, e un pervertito cominciò a perquisirmi
l’ano. Tutti si divertivano come matti e ridevano a più
non posso. Tutti, tranne me. Una pioggia di pugni
cominciò a cadere sul mio corpo nudo. Mi contorcevo per
il dolore. A ogni colpo quelli stringevano sempre più la
presa. Mi tenevano la faccia schiacciata contro il
tavolo e il mio sangue ne sporcò la superficie sotto il
mio viso. Ero stordito e stravolto dal male che
provavo”.
“Una cella vuota e gelida, un corpo congelato, dolorante
e coperto di segni neri e blu; fuori dalla porta un
mucchio di psicopatici che picchiano giovani uomini fino
a ridurli in poltiglia, e non era ancora l’ora di
colazione”. Frammenti di un’esistenza annientata, ma
capace ancora di donare valore ad una lettera censurata,
o ad un fazzoletto di tabacco da nascondere; tracce di
un’umanità smarrita, orme di sopravvissuti esausti,
attaccati alle scèal, le notizie dall’esterno,
aggrappati al gaelico più che alla vita. Una visita al
mese, di mezz’ora l’una, ovvero sei ore di relativa
gioia all’anno. Sei, su ottomilasettecntosessanta. Per
il resto, mura sudice ed un solo materasso, orfano al
centro della stanza.
Anche per questo, nell’ottobre del 1980 i detenuti –
dopo aver provato con la cosiddetta blanket protest, che
consisteva nel rifiuto d’indossare l’uniforme della
prigione e nel coprirsi con una sola coperta, e le
successive nowash protest e dirty protest, in base alla
quale si spalmavano gli escrementi sui muri delle celle
e si buttava l'urina sotto le porte, per evitare di
essere picchiati dai secondini quando si lasciavano le
celle per andare al bagno – intrapresero uno sciopero
della fame, formulando al contempo un elenco di
rivendicazioni: dal diritto di indossare i propri
vestiti a quello di libera associazione, dalla facoltà
di ricevere una visita ed una lettera o un pacco a
settimana, a quella di godere della riduzione della
pena, come i detenuti comuni. All'inizio dello sciopero
Sands, già ‘PRO’ (Public Relations Officer) dei
detenuti, fu scelto come ‘OC’ (Officer Commanding),
ufficiale comandante dei prigionieri dell'IRA a Long
Kesh. Si fece sempre più credente, sembra: un giorno -
secondo lo scrittore e politico irlandese Connor Cruise
O'Brien - ricevette la visita di un sacerdote della
contea di Kerry che gli portò un'icona di "Nostra
Signora", la quale, gli disse, gli avrebbe concesso la
forza di liberare il suo "popolo oppresso".
Guidati da Brendan Hughes, sette detenuti (sei dell'IRA
e uno dell'INLA, Irish National Liberation Army)
digiunarono per 53 giorni fino al 18 dicembre: solo
allora, con uno di loro (Sean McKenna) in fin di vita,
decisero di terminare il digiuno sulla base delle
promesse del governo britannico.
Il governo inglese, che si era detto pronto ad
accogliere le richieste purchè non si richiedesse un
“riconoscimento dello status di prigioniero politico”,
disattese le proposte che il primate cattolico O’Fiaich
aveva presentato ai prigionieri, e che questi avevano
accettato.
Sands, diventato ‘OC’ al posto di Hughes all'inizio del
primo sciopero, rifiutò il cibo il 1 marzo 1981,
inaugurando il secondo episodio della protesta. Lo
stesso giorno, a Belfast, migliaia di persone sfilarono
lungo la Falls Road.
Si decise, inoltre, che gli altri prigionieri si
sarebbero uniti allo sciopero ad intervalli regolari,
allo scopo di aumentare l'impatto mediatico
dell’iniziativa: gli scioperanti, infatti, sarebbero
peggiorati costantemente, e presumibilmente morti in un
arco di diversi mesi. “Non c'è nulla nell'intero
arsenale militare inglese”, disse, “che riesca ad
annientare la resistenza di un prigioniero politico
repubblicano che non vuole cedere; non possono e non
potranno mai uccidere il nostro spirito”. In tutta
l’Irlanda, era ancora forte l’eco del martirio di Thomas
Ashe e di Terence MacSwiney di cinquant’anni prima: per
questo, i giovani emuli commossero profondamente
l’opinione pubblica del Paese prima, e del mondo intero
poi.
Poco dopo l'inizio dello sciopero, il 26 di marzo, la
morte di Frank Maguire, membro del parlamento britannico
per Fermanagh-South Tyrone permise la candidatura di
Bobby Sands alle elezioni suppletive del 9 aprile; il
prigioniero conquistò il seggio con 30.492 voti, contro
i 29.046 del candidato dell'Ulster Unionist Party (UUP)
Harry West, nonostante Don Concannon affermasse che “un
voto per Bobby Sands è un voto a favore di coloro che
compiono inutili assassinii”. Rimase in carica
venticinque giorni.
Il Governo britannico cambiò la legge poco dopo,
introducendo il ‘Representation of the People Act’, che
proibiva ai prigionieri di partecipare alle elezioni, e
richiedeva un periodo di cinque anni dal termine della
pena, prima che un ex detenuto potesse candidarsi.
Sia il governo inglese che quello nord-irlandese hanno
negato che maltrattamenti, torture e violenze abbiano
mai avuto luogo a Long Kesh, senza mai riuscire a
confutare l’imponente mole di documenti che testimoniano
la tragedia dei prigionieri irlandesi, comprese le loro
testimonianze ancora calde.
Bobby Sands morì così, presente a se stesso, il 5 maggio
del 1981. Nei giorni seguenti, diverse rivolte
divamparono nell’Irlanda del Nord. Altri nove
prigionieri repubblicani, in seguito, si lasciarono
morire di fame.
Più di centomila persone accompagnarono con lo sguardo i
resti mortali del ragazzo, dalla vecchia casa di
Twinbrook fino a Milltown, dove riposano i ‘volontari’
dell’IRA di Belfast.
Lasciò un figlio, Gerard, nato dal secondo matrimonio -
fallito durante il suo secondo periodo in carcere.
Il suo capo, Owen Carron, fu eletto nella votazione
suppletiva con uno scarto significatamente maggiore del
precedente.
Disse una volta: “io non mi fermerò fino a quando non
realizzerò la liberazione del mio paese, fino a che
l'Irlanda non diventerà una, sovrana, indipendente,
repubblica socialista".
Dovrà attendere, almeno. E qualcuno la pensa come me, a
quanto sembra, almeno a giudicare dalle parole di W.B.
Yeats:
alcuni non avevano pensieri di vittoria
ma erano andati a morire
perché lo spirito dell’Irlanda fosse più grande
e il suo cuore si elevasse in alto
eppure, chissà cosa ancora deve accadere |