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FILOSOFIA & RELIGIONE


N. 146 - Febbraio 2020 (CLXXVII)

BLAISE PASCAL

PARTE II - LA CONDIZIONE UMANA

di Raffaele Pisani

 

Pascal si interessa dell’uomo nel suo essere concreto nel mondo, le questioni sulla natura umana in generale e sui suoi rapporti con le singole individualità non attraggono più di tanto la sua attenzione. Dal momento che anch’egli si trova a vivere in un determinato tempo e in un determinato ambiente sociale e culturale è con questo che si confronta, aderendo o respingendo determinate visioni del mondo.

 

Viene a contatto con il movimento giansenista frequentando i dotti, Solitaires, che alloggiano in una residenza vicina al monastero di Port-Royal, all’interno di Parigi; ve ne era anche uno più grande fuori dalla città: Port-Royal des Champs.

 

I problemi in discussione riguardano la morale, la dottrina della grazia e della libertà dell’uomo. Ai Gesuiti, che sulla scia di Luis de Molina ritengono la natura umana, pur decaduta con la colpa originale, ancora in grado di conoscere e perseguire liberamente il bene, i Giansenisti oppongono un’interpretazione radicale di Sant’Agostino che vede la stessa volontà umana corrotta dal peccato e quindi impossibilitata di per se stessa a conseguire il bene.

 

La grazia sufficiente è donata a tutti e i sacramenti sono i canali privilegiati della sua azione efficace. A questa affermazione dei Gesuiti, i Giansenisti, che accusano i primi di pelagianesimo, oppongono l’idea agostiniana che vede un’umanità peccatrice, tutta meritevole di castigo eterno, dalla quale Dio sceglie alcuni per la salvezza, donando a questi un di più senza togliere niente agli altri. Ma la grazia non determina di per sé la salvezza, ci può essere chi la rifiuta usando male il suo libero arbitrio.

 

A queste idee teologiche contrapposte seguono due concezioni alternative della morale, quella indulgente dei Gesuiti e quella intransigente dei Giansenisti.

 

Le Lettres écrites par Louis de Montalte à un Provincial de ses amis et aux RR. PP. Jésuites, (1656-57), da noi conosciute come Lettere Provinciali, hanno lo scopo immediato di difendere padre Antoine Arnauld, capo del movimento di Port-Royal, nella controversia con i Gesuiti.

 

La morale lassista di questi ultimi, che propone una via cristiana alla salvezza tutto sommato piuttosto comoda e validamente sostenuta dai sacramenti, è messa in discussione da Pascal che ad essa contrappone un agire basato sulla completa dedizione a Cristo, ben sapendo che le opere umane sono sempre il frutto della grazia divina.

 

Pascal affronta nelle ultime due lettere, erano diciotto in tutto, la questione delle cinque proposizioni da poco condannate dal pontefice Alessandro VII riferite all’opera di Jansenio: l’Augustinus. Si dice d’accordo sul fatto della condanna, ma spiega sottilmente che il senso a cui essa si riferisce non è quello contenuto nel testo di Jansenio.

 

Nicola Abbagnano parlando di Pascal afferma: «Le Lettere Provinciali sono un capolavoro di profondità e di umorismo e costituiscono uno dei primi monumenti letterari della lingua francese».

 

Ma l’opera che più fa ricordare Pascal sono i Pensieri, incompiuta perché l’autore morì, a 39 anni, prima di poterla terminare. Voleva edificare una cattedrale, invece ha avuto solo il tempo di fabbricare i mattoni e qualche altro elemento costruttivo, comunque di estremo interesse.

 

I fogli che contengono i pensieri non erano stati ordinati per data o per tema, gli amici li raccolsero disponendoli arbitrariamente, nel 1669 c’è la prima edizione dei Pensieri. Con intenti e interpretazioni diverse, ne seguiranno molte altre con relative numerazioni. Alcune sono diventate classiche: Brunschvicg, Chevalier, Lafuma, Le Guern, Sellier.

 

Al di là delle sottigliezze degli studiosi si può dire che l’intenzione apologetica è unanimemente condivisa.

 

Ma da che cosa necessita di essere difesa la religione cristiana? Pascal parte dalla situazione del suo tempo e dall’ambiente culturale nel quale vive e opera. La saggezza scettica di Michel de Montaigne, anche se in lui personalmente convive con la fede in Dio, non è oggettivamente una situazione che porti in questa direzione.

 

Il razionalismo cartesiano, se da un lato pretende di dimostrare l’esistenza di un Dio Creatore, d’altro canto praticamente lo ignora nel suo rapporto con l’umanità. Il Libertinismo, con cui Pascal era venuto a contatto, non è una dottrina ma un atteggiamento che vede nelle religioni rivelate delle forme di superstizione; quando non è espressamente ateo propende per una forma di deismo, altrettanto deleteria per il Cristianesimo.

 

La situazione, ben più complessa di quanto questa sommaria descrizione faccia intendere, richiedeva un intervento apologetico, come avevano fatto alcuni pesatori dei primi secoli del Cristianesimo. Pascal opera in questo senso evitando di ricorrere agli argomenti tradizionali della Scolastica, rinvigorita dopo il Concilio di Trento. Parte invece dalla situazione esistenziale dell’uomo, che nelle sue inquietudini si agita alla ricerca di qualcosa che ancora non gli è pienamente evidente. Sarà proprio questa descrizione della condizione umana che farà di Pascal l’autore apprezzato, talvolta anche criticato, in ogni epoca.

 

I Pensieri, come ce li riportano le edizioni più accreditate, variano da poco più di ottocento e poco meno di mille, la differenza deriva dal fatto di considerare talvolta un brano parte di un pensiero più esteso o un pensiero di per sé completo. Parecchi sono di poche righe ma ve ne sono alcuni anche di varie pagine. È difficile seguire un percorso di lettura, procedere in senso cronologico non è sempre possibile perché molti pensieri mancano di datazione.

 

Per chi intende inoltrarsi nella lettura può essere utile qualche indicazione sui temi che vengono esposti. Noi ne abbiamo scelto alcuni senza particolari preoccupazioni metodologiche ma piuttosto seguendo l’ordre du coeur.

 

Se il paradosso è comune a tutta la filosofia, per sua natura destinata a rompere con l’opinione comune, i Pensieri di Pascal lo sono in modo molto particolare: la grandezza dell’uomo sta nel riconoscere la propria miseria, questo comporta nell’ambito della conoscenza che la funzione della ragione stia nel riconoscere i propri limiti. Quanto poi all’esistenza di Dio, questa si riconosce con il cuore e non con le aride dimostrazioni razionali, che tanti filosofi dai tempi passati fino a quelli a lui contemporanei hanno inutilmente prodotto. A chi obietta sull’esistenza di Dio Pascal risponde nella maniera che meno ci si aspetterebbe da un credente, risponde proponendo la famosa scommessa.

 

Ora per farci un’idea vediamo qualche esempio.

 

«L’intelletto crede per sua natura, e la volontà ama per sua natura; di modo che, in mancanza di oggetti veri, diventa loro necessario affezionarsi a quelli falsi» (103 Chevalier/ 81 Brunschvicg).

 

Il sopravvento della volontà sull’intelletto era già stato spiegato da Cartesio, Pascal su questo punto è d’accordo.

 

«Immaginazione. È questa la parte predominante nell’uomo, questa maestra d’errore e di falsità; e tanto più subdola in quanto non lo è sempre; infatti essa sarebbe regola infallibile di verità, se fosse regola infallibile della menzogna. Ma, essendo il più delle volte falsa, essa non dà nessun segno della sua qualità, poiché segna con il medesimo marchio il vero e il falso».

 

L’immaginazione svolge la sua azione ingannatrice dicendo talvolta la verità. Nessuno infatti crederebbe a di dice sempre menzogne, ma chi sa dosare alcune verità può agevolmente camuffare il suo atteggiamento falso.

 

«L’immaginazione non può rendere savi gli stolti; ma li rende felici, a dispetto della ragione la quale non può rendere i propri amici che miserabili, l’una coprendoli di gloria, l’altra di vergogna» (104 C/82 B).

 

L’immaginazione compensa i nostri limiti e le nostre mancanze dandoci una certa soddisfazione. La ragione ci fa capire la nostra miseria.

 

«L’uomo è grande poiché si riconosce miserabile. Un albero non si riconosce miserabile. Si è quindi miserabili perché ci si riconosce miserabili: ma è essere grandi riconoscere che si è miserabili» (255 C/397 B).

 

«L’uomo non è che una canna, la più fragile di tutta la natura; ma è una canna pensante. Non occorre che l’universo intero si armi per annientarlo: un vapore, una goccia d’acqua è sufficiente per ucciderlo. Ma quand’anche l’universo lo schiacciasse l’uomo sarebbe pur sempre più nobile di ciò che l’uccide, dal momento che egli sa di morire e conosce il vantaggio che l’universo ha su di lui; l’universo non ne sa nulla. Tutta la nostra dignità sta dunque nel pensiero. È in virtù di esso che dobbiamo elevarci, e non nello spazio e nella durata che non sapremmo riempire. Lavoriamo dunque a ben pensare: ecco il principio della morale» (264 C/347 B).

 

Qui Pascal gioca con il paradosso, l’iperbole e la metafora per descrivere la condizione umana: miseria e debolezza la caratterizzano, ma la coscienza di ciò innalza l’uomo al di sopra dell’universo fisico, come dirà nei pensieri successivi.

 

Il pensiero qui riportato in seguito si collega idealmente a questi due appena letti e offre in un certo senso la soluzione alla condizione umana.

 

«La conoscenza di Dio senza quella della propria miseria genera l’orgoglio. La conoscenza della propria miseria senza la conoscenza di Dio genera disperazione. La conoscenza di Gesù Cristo costituisce il giusto mezzo perché noi vi troviamo e Dio e la nostra miseria» (75 C/527 B).

 

«Il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce; lo si constata in mille cose (…)» (477C/277B).

 

Nell’opera intitolata De l’esprit géométrique, del 1657, Pascal aveva già detto quello che ribadirà nei Pensieri; ragione e cuore o esprit de géométrie ed esprit de finesse convivono nell’uomo, non sempre in maniera pacifica. Il geometra che vive in noi procede con definizioni, assiomi e dimostrazioni producendo, se fa bene il suo lavoro, un discorso convincente per tutte le menti razionali. Ma senza quella sottile intuizione che Pascal chiama spirito di finezza, neanche la scienza, neanche la stessa geometria starebbe in piedi.

 

Dice in proposito: «Chi può dubitare che un numero, qualunque sia, possa essere diviso a metà? Allo stesso modo, un movimento, per quanto lento, non può forse essere ridotto della metà? ». Quindi possiamo dire che lo spirito geometrico non basta a se stesso.

 

Ma il campo precipuo del cuore, dello spirito di finezza, sta nell’ambito della morale e della religione; l’amore si coglie nella certezza dell’animo a nulla servono le dimostrazioni geometriche.

 

Abbiamo letto un po’ sopra come la coscienza della propria miseria generi una disperazione che solo Dio può consolare. C’è chi cerca di nascondere a se stesso questa situazione esistenziale, lo fa impegnandosi in molteplici attività, dagli svaghi e passatempi fino agli impegni intellettuali, politici e anche militari, pure la guerra è preferibile a una situazione insostenibile della propria coscienza. È quello che viene definito come divertissement.

 

A chi si ostina nell’atteggiamento scettico di fronte a Dio Pascal propone una scommessa basata sul calcolo probabilistico, i matematici e i giocatori d’azzardo sono i primi destinatari della proposta, ma anche gli altri potranno bene comprendere che vale la pena di scommettere. Il discorso è molto intricato.

 

Dice allo scettico, assodato che Dio esiste o non esiste con uguale probabilità: «Valutiamo questi due casi, se vincete, guadagnate tutto, se perdete non perdete nulla. Scommettete dunque, senza esitare, che Egli esiste» (451C/233C).

 

In altri punti pone invece l’ipotesi di chi rischia una vita pensando di ottenerne due o tre, e ritiene questo già un buon gioco, ma se la possibilità riguarda l’infinito è assolutamente ragionevole scommettere su Dio. Nel frammento indicato poco sopra afferma che in ogni caso non si perde niente, lo spiega dicendo che l’esistenza religiosa dà già di per se stessa gioie e soddisfazioni ben maggiori di quelle derivanti da una vita volta solo alla ricerca del piacere immediato.

 

Abbandonarsi a Dio rende felici già su questa terra.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

Lolli R., Blaise Pascal, Filosofie nel tempo Vol. II, opera diretta da Giorgio Penzo, Salemi Pro. Edit. SRL, Roma 2002.

Pascal B., Pensieri, a cura di P. Serini, Einaudi, Torino 1967.

Pascal B., Pensées, Bodras, Paris 1991.

Pascal B., Pensieri, Antologia, a cura di Adriano Bausola, Sei, Torino 1992.



 

 

 

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