N. 88 - Aprile 2015
(CXIX)
"MA VOI, CHI DITE CHE IO SIA?"
Breve biografia di Gesù di Nazaret - PARTE vIi
di Giorgio Giannini
Nei Vangeli Canonici, le vicende dell’interrogatorio
di
Gesù,
dopo
la
cattura,
davanti
al
Sommo
Sacerdote
e
del
processo
davanti
al
Sinedrio
sono
narrate
in
modo
diverso.
In particolare, l’interrogatorio di Gesù davanti
al
Sommo
Sacerdote Caifa
è
presente
solo
nel
Vangelo
secondo
Matteo
e
nel
Vangelo
secondo
Marco,
mentre
il
processo
di
Gesù
davanti
al
Sinedrio
è
narrato,
in
modo
diverso,
solo
nei
Vangeli
Sinottici
e
non
nel
Vangelo
secondo
Giovanni,
in
cui
c’è
solo
l’interrogatorio
davanti
all’ex
Sommo
Sacerdote
Anna,
suocero
di Caifa.
Nel Vangelo secondo Matteo, dopo l’arresto,
Gesù
è
condotto
“dal
Sommo
Sacerdote Caifa,presso
il
quale
si
erano
riuniti
gli
Scribi
e
gli
Anziani».
(Mt
26,57)
Sembra
quindi
che
nel
Palazzo
di Caifa
ci
sia
una
seduta
notturna,
e
quindi
non
regolare
ed
illecita,
del
Sinedrio,
che
era
il
massimo
organo
politico-religioso
e
legislativo
giudaico,riconosciuto
dai
Romani,
e
responsabile
della
parziale
autonomia
religiosa
ed
amministrativa
di
cui
godevano
gli
ebrei
della
Giudea,
che
dall’anno
6,
dopo
la
destituzione
di Archelao,
figlio
di
Erode
il
Grande,
era
sotto
l’Autorità
romana.
«I
Capi
dei
Sacerdoti
e
tutto
il
Sinedrio
cercavano
una
falsa
testimonianza
contro
Gesù,
per
metterlo
a
morte,ma
non
la
trovarono,sebbene
si
fossero
presentati
molti
falsi
testimoni.
Finalmente
se
ne
presentarono
due»,
secondo
i
quali
Gesù
aveva
dichiarato:
«Posso
distruggere
il
tempio
di
Dio
e
ricostruirlo
in
tre
giorni».
Allora
il
Sommo
Sacerdote
si
alza
e
dice
a
Gesù
«Non
rispondi
nulla?»,
ma
Gesù
tace.
Allora,
gli
chiede
«
Ti
scongiuro
per
il
Dio
vivente,
di
dirci
se
sei
il
Cristo,
il
Figlio
di
Dio».
Gesù
gli
risponde:
«Tu
l’hai
detto»
ed
aggiunge:
«
d’ora
innanzi
vedrete
il
Figlio
dell’uomo\
seduto
alla
destra
della
Potenza
(Dio)\
e
venire
sulle
nubi
del
cielo».
Allora,il
Sommo
Sacerdote
si
straccia
le
vesti
dicendo:
«Ha
bestemmiato»
perché
Gesù
ha
nominato
il
nome
di
Dio,che
è
impronunciabile
per
gli
ebrei,
ed
ha
riconosciuto
di
essere
«il
Cristo,il
Figlio
di
Dio»
e di
sedere
“alla
destra”
di
Dio.
Afferma
quindi,
dato
che
Gesù
“ha
bestemmiato”,
che
non
c’è
più
bisogno
di
testimoni.
Allora,
i
presenti
gridano:
«È
reo
di
morte!»,
gli
sputano
in
faccia
e lo
percuotono,
mentre
altri
lo
sbeffeggiano,
colpendolo
e
poi
chiedendogli
di
riconoscere
chi
lo
ha
colpito.
(Mt
26,59-68)
La
mattina
seguente,
si
riunisce
formalmente
il
Sinedrio,
in
seduta
regolare,
che
«dopo
aver
tenuto
consiglio»,
condanna
Gesù,
che
poi
è
messo
in
catene
ed è
portato
da
Pilato.
(Mt
27,1-2)
Il Vangelo narra quindi il suicidio di Giuda,
il
quale,
dopo
la
condanna
di
Gesù,
«preso
dal
rimorso,
riportò
le
trenta
monete
d’argento
ai
Capi
dei
Sacerdoti
ed
agli
anziani,
dicendo:
Ho
peccato,perché
ho
tradito
sangue
innocente».
Dato
che
quelli
gli
risposero
che
a
loro
non
importava
nulla
del
suo
pentimento,
Giuda
«gettò
le
monete
d’argento
nel
Tempio,
si
allontanò
ed
andò
a impiccarsi».
Nel Vangelo secondo Marco, la narrazione
dei
fatti
è
simile.
Dopo
la
cattura,
Gesù
è
condotto
dal
Sommo
Sacerdote Caifa
«
e là
si
riunirono
tutti
i
Capi
dei
Sacerdoti,
gli
Anziani
e
gli
Scribi».
(Mc
14,53)
Si procede, anche in questo caso, a un processo a
Gesù
(
che
è
irregolare
ed
illecito
in
quanto
si
svolge
di
notte
e
fuori
dall’aula
riservata
alle
udienze
del
Sinedrio),
che
inizia
con
l’escussione
dei
testimoni,
che,
secondo
la
procedura,
devono
portare
le
accuse
contro
Gesù.
«I Capi dei Sacerdoti e tutto il Sinedrio
cercavano
una
testimonianza
contro
Gesù
per
metterlo
a
morte,
ma
non
la
trovavano.
Molti
infatti
testimoniavano
il
falso
contro
di
lui
e
le
loro
testimonianze
non
erano
concordi».
In
particolare,
alcuni,
testimoniando
il
falso,
raccontano
le
dichiarazioni
di
Gesù
sul
Tempio,
ritenute
poco
rispettose:
«Lo
abbiamo
udito
mentre
diceva:Io
distruggerò
questo
Tempio,fatto
da
mani
d’uomo,
ed
in
tre
giorni
ne
costruirò
un
altro,non
fatto
da
mani
d’uomo».
(Mc
14,55-58)
Le testimonianze però non sono concordi e Gesù rimane
in
silenzio.
Allora
il
Sommo
Sacerdote
Caifa,
«alzatosi
in
piedi
in
mezzo
all’assemblea»,
chiede
a
Gesù
perché
non
risponde.
Poi,
di
fronte
al
suo
silenzio
gli
chiede:
«Sei
tu
il
Cristo,
il
figlio
del
Benedetto?»,
senza
pronunciare
il
nome
di
Dio,
che
era
impronunciabile
per
gli
Ebrei,
come
invece
narra
il
Vangelo
secondo
Matteo.
Gesù risponde a Caifa: «Io lo sono!» ed aggiunge:
«E
vedrete
il
Figlio
dell’uomo
seduto
alla
destra
della
Potenza
e
venire
sulle
nubi
del
cielo!».
(Mc
14,61-62)
In questo modo, Gesù si attribuisce non solo il titolo
messianico
-
davidico
di “Cristo-Messia”,
riconoscendo
di
essere
«il
Cristo,il
figlio
del
Benedetto»,
senza
però
pronunciare
il
nome
di
Dio
(come
fa anche
nel
passo
seguente,
quando
chiama
Dio
«Potenza»),
ma anche
il
titolo
di “Figlio
di
Dio”,
dicendo
di
sedere
alla
sua
destra.
A questo punto, Caifa, «stracciandosi le vesti
disse:
Che
bisogno
abbiamo
ancora
di
testimoni?
Avete
udito
la
bestemmia;che
ve
ne
pare?Tutti
sentenziarono
che
era
reo
di
morte»,
perché
Gesù
ha
detto
di
essere
il
Figlio
di
Dio
e si
è
equiparato
a
Lui.
Quindi,
sputano
addosso
a
Gesù
e,
dopo
averlo
bendato,
lo
percuotono
sfidandolo
a
riconoscere
chi
è
stato.
Anche
«i
servi»
lo
schiaffeggiano.
(Mc
14,63-65)
Questi
passi
del
Vangelo
dimostrano
la
spregiudicatezza
delle
Autorità
ebraiche,
che
cercano
anche
solo
«una
testimonianza»
contro
Gesù,
benchè
la
Legge
ebraica
preveda
almeno
due
testimoni,
e
neppure
«
la
trovavano».
Inoltre,
molte
persone
«testimoniavano
il
falso»
e
per
di
più
«le
loro
testimonianze
non
erano
concordi»
e
quindi
non
avevano
alcun
valore
processuale.
È
incredibile
che,
nonostante
le
gravi
conseguenze
che
derivavano
per
la
falsa
testimonianza
(di
cui
i
Giudici
mettevano
a
conoscenza
i
testimoni),
ci
fossero
molte
persone
disposte
a
testimoniare
il
falso.
Il
Vangelo
narra
quindi
il
“rinnegamento
di
Gesù”
da
parte
di
Pietro,
il
quale
è
accusato
anche
qui
per
tre
volte
(per
due
volte
da
una
serva
e
poi
da
varie
persone
),
di
essere
un
seguace
di
Gesù,
ma
lui
dichiara
di
non
conoscerlo.
Subito
dopo
il
terzo
rinnegamento
un
gallo
canta
per
la
seconda
volta,
per
annunciare
l’alba.
Quindi
Pietro
ricorda
che
Gesù
gli
ha
detto
che
egli
l’avrebbe
rinnegato
tre
volte
prima
che
il
gallo
avesse
cantato
due
volte.(Mc
14,66-72)
La mattina seguente, come nel Vangelo secondo
Matteo,si
riunisce
formalmente
il
Sinedrio,
in
seduta
regolare,
che
«dopo
aver
tenuto
consiglio»,
condanna
Gesù,
che
poi
è
messo
in
catene
ed è
portato
da
Pilato.
(Mc
15,1)
Il Vangelo secondo Marco non
narra
il
suicidio
di
Giuda.
Anche
per
questo
Vangelo
vale
quanto
abbiamo
scritto
riguardo
al
Vangelo
secondo
Matteo
in
merito
alla
irregolarità,
e
quindi
alla
illegittimità,
sia
dell’interrogatorio
davanti
a
Caifa
che
del
processo
avanti
al
Sinedrio.
Il
Vangelo
secondo
Luca
non
racconta
l’interrogatorio
di
Gesù
da
parte
del
Sommo
Sacerdote
Caifa,
anche
se è
stato
portato
la
sera
nella
sua
casa.
(Lc
22,54)
Il
Vangelo
sembra
quindi
rispettare
la
procedura
del
Sinedrio
che
non
prevede
riunioni
notturne.
Riporta,
quindi,
prima
del
processo
davanti
al
Sinedrio,
il
“rinnegamento
di
Gesù”
da
parte
di
Pietro,
il
quale
è
accusato
per
tre
volte
(prima
da
una
serva
,
poi
da
un
uomo
e
quindi
da
un
terzo
uomo)
di
stare
con
il «Galileo»,
ma
lui
dichiara
sempre
di
non
conoscere
Gesù.
Dopo
il
terzo
rinnegamento,
un
gallo
canta
per
annunciare
l’alba.
Allora
Pietro
ricorda
che
Gesù
gli
ha
detto
che
egli
l’avrebbe
rinnegato
tre
volte
prima
che
il
gallo
avesse
cantato.
(Lc
22,55-62)
Il
Vangelo
narra
poi
i
vari
maltrattamenti
inflitti
a
Gesù,
riportati
anche
negli
altri
due
Vangeli
Sinottici.
(Lc
22,63-65)
Il
Vangelo
racconta
inoltre
che
la
mattina
del
giorno
seguente
alla
cattura
di
Gesù,
«appena
fu
giorno»,
si
riunisce
il
Consiglio
degli
anziani,
con
i
Capi
dei
Sacerdoti
e
gli
Scribi,
che
conducono
Gesù
davanti
al
Sinedrio
e
gli
chiedono
se è
il «Cristo».
Gesù
risponde
alla
domanda,
dicendo:
«
Anche
se
ve
lo
dico,
non
mi
crederete…Ma
d’ora
in
poi
il
Figlio
dell’uomo
siederà
alla
destra
della
potenza
di
Dio».
Allora
gli
chiedono:
«Tu
dunque
sei
il
Figlio
di
Dio?».
Gesù
risponde
dicendo
:«Voi
stessi
dite
che
lo
sono».
Dopo
queste
affermazioni
di
Gesù,
si
ritiene
che
non
sono
più
necessarie
le
testimonianze
perché
Gesù
ha
riconosciuto
indirettamente
di
essere
il “Cristo”,
“il
Figlio
di
Dio”
e di
sedere
alla
destra
di
Dio.
Quindi
è
accusato
di
aver
bestemmiato
per
aver
nominato
il
nome
di
Dio.
In
verità,
anche
i
membri
del
Sinedrio
hanno
bestemmiato
perché
hanno
chiesto
a
Gesù
se è
«Figlio
di
Dio”,
perché
il
nome
di
Dio
è
impronunciabile
per
gli
ebrei.
Gesù
invece
riconosce
di
essere
il «Figlio
di
Dio»,
senza
farne
il
nome,
dicendo:
«Voi
stessi
dite
che
lo
sono».
Pertanto,
il
processo
davanti
al
Sinedrio
si
conclude
e
Gesù
è
inviato
al
Procuratore
romano
Ponzio
Pilato.
(Lc
22,
66-
71)
Anche
il
Vangelo
secondo
Luca,
come
il
Vangelo
secondo
Marco
non
racconta
il
suicidio
di
Giuda.
Anche per questo Vangelo vale quanto abbiamo
scritto
riguardo
agli
altri
due
Vangeli
Sinottici
in
merito
alla
irregolarità
ed
illegittimità
del
processo
davanti
al
Sinedrio.
Nel Vangelo secondo Giovanni, è narrato
un
fatto
non
riportato
nei
Vangeli
Sinottici.
Infatti,
dopo
la
cattura,
Gesù
è
portato,
dall’ex
Sommo
Sacerdote
Anna,
suocero
di
Caifa,
(probabilmente
nel
suo
palazzo),
che
gli
chiede
notizie
in
merito
“ai
suoi
discepoli
ed
al
suo
insegnamento”.
Gesù
gli
risponde
: «Io
ho
parlato
al
mondo
apertamente;ho
sempre
insegnato
nella
Sinagoga
e
nel
tempio…
e
non
ho
mai
detto
nulla
di
nascosto.
Perché
interroghi
me?
Interroga
quelli
che
hanno
udito
ciò
che
ho
detto
loro:ecco,
essi
sanno
che
cosa
ho
detto».
Una
delle
guardie
lo
schiaffeggia
ritenendo
che
abbia
risposto
male
ad
Anna.
Allora
Gesù
gli
dice:
«
Se
ho
parlato
male,dimostrami
dov’è
il
male.
Ma
se
ho
parlato
bene,
perchè
mi
percuoti?».
Quindi
Anna
lo
manda,
«con
le
mani
legate»,
da
Caifa,
il
Sommo
Sacerdote
in
carica,
che
però
non
lo
interroga
ed
all’alba
lo
manda
da
Pilato.
(Gv
18,19-24)
In verità, non si comprende perché Gesù è interrogato
da Anna,
che
non
ricopre
più
la
carica
di
Sommo
Sacerdote.
Probabilmente
perchè
gode
di
grande
influenza
sul
Sinedrio,
i
cui
membri
pertanto
volevano
conoscere
il
suo
giudizio
su
Gesù.
Inoltre, sembra che Gesù trascorre la notte nella
casa
di
Caifa,
come
si
legge
anche
nel
Vangelo
secondo
Luca.
(Lc22,54)
Il Vangelo racconta anche un altro fatto nuovo,
cioè
che
Pietro
riesce
a entrare
nel
cortile
della
casa
di
Anna,
grazie
a un “discepolo”
di
Gesù
che
«era
conosciuto
dal
Sommo
Sacerdote»,
di
cui
però
non
si
fa
il
nome.
(Gv
18,15-17).
Il Vangelo racconta in modo diverso anche il
“rinnegamento
di
Gesù”
da
parte
di
Pietro,
che
è
riconosciuto
come
Discepolo
di
Gesù
da alcune
persone,
compreso
un
servo
parente
di
Malco,
il
servo
del
Sommo
Sacerdote
Caifa
al
quale
ha
tagliato
un
orecchio
nell’orto
del
Getsemani.
Pietro
per
due
volte
dichiara
di
non
conoscere
Gesù
e
subito
un
gallo
canta.
(Gv
18,25-27)
Nel
Vangelo
però
non
è
narrato,come
nei
Vangeli
Sinottici,
che
Pietro
ricorda
quello
che
Gesù
gli
ha
detto,
cioè
che
egli
l’avrebbe
rinnegato
due
volte,
e
non
tre
volte,
come
detto
nel
precedente
passo
(Gv
13,38),
prima
che
il
gallo
avesse
cantato.
(Gv
18,12-27)
In questo Vangelo non c’è il processo davanti
al
Sinedrio,
di
cui
narrano
tutti
i
Vangeli
Sinottici.
Probabilmente,
Gesù
subisce
solo
il
processo
davanti
a
Pilato,
per
il
reato
di
“lesa
maestà”
nei
confronti
dell’Imperatore
romano,
per
aver
riconosciuto
di
essere
«Re
dei
Giudei»,
come
peraltro
è
scritto
nel
titulum,
apposto
sopra
la
croce,
che
illustra
la
motivazione
della
condanna
a
morte
mediante
la
crocifissione,
in
latino,
in
greco
ed
in
ebraico.
In
latino
la
scritta
riportata
dalla
tradizione
cristiana
è
INRI
(Iesus
Nazarenus
Rex
Iudeorum).
Probabilmente, l’interrogatorio davanti al Sommo
Sacerdote
Caifa
ed
il
processo
davanti
al
Sinedrio
sono
stati
inseriti
dagli
Evangelisti
nei
Vangeli
Sinottici
per
addossare
la
colpa
della
condanna
a
morte
di
Gesù
sugli
Ebrei,
discolpando
Ponzio
Pilato
e
quindi
i
Romani.
Al riguardo, si ricorda che dal fatto di considerare
gli
Ebrei
“deicidi”
(uccisori
di
Dio),
è
derivato
l’antisemitismo,
che
ha
comportato
la
discriminazione
e la
persecuzione
per
due
millenni
degli
ebrei
negli
Stati
cristiani.
Le
irregolarità
del
processo
ebraico
Il “processo” a cui è stato sottoposto Gesù dalle
Autorità
ebraiche,anche
quello
che
si
svolge
la
mattina
davanti
al
Sinedrio,
è
assolutamente
illegale
perché,
secondo
la
procedura
giudiziaria
ebraica,
al
momento
dell’arresto,
si
doveva
muovere
una
accusa
precisa
contro
l’arrestato.
Inoltre, non si poteva procedere a un interrogatorio
informale
dell’imputato
davanti
al
Sommo
Sacerdote,
anche
se
Presidente
del
Sinedrio,
per
di
più
di
notte.
Infatti,
il
procedimento
davanti
al
Sinedrio
rispettava
rigide
regole
di
procedura,
stabilite
nella
Mishnah,
per
cui
il
processo
era
pubblico
e
non
si
poteva
tenere
né
di
notte
né
nei
giorni
di
festa
né
nei
giorni
precedenti
(preparatori)
la
festa.
L’accusa era rappresentata dai testimoni che parlavano
contro
l’imputato
e
non
si
poteva
desumere
dalle
risposte
date
dall’imputato.
I
giudici
non
potevano
accusare
l’imputato,
anzi
dovevano
cercare
prove
a
suo
favore
per
scagionarlo.
I
testimoni
dovevano
essere
almeno
due
ed
erano
sentiti
singolarmente
in
modo
che
il
primo
non
assistesse
alla
deposizione
dell’altro
e le
loro
testimonianze
dovevano
essere
concordanti.
I
testimoni
dovevano
presentarsi
da
soli
(perché
erano
loro
gli
accusatori)
e
non
dovevano
essere
“trovati”
dal
Sinedrio
o da
qualche
suo
componente;
i
testimoni
non
potevano
testimoniare
il
falso
perché
erano
passibili
di
gravi
sanzioni
e
gravava
inoltre
su
di
loro
una
forte
condanna
morale.
L’imputato non poteva essere maltrattato. La condanna
a
morte
doveva
essere
emessa
di
giorno
e
confermata
in
una
seduta
del
Sinedrio,ad
almeno
24
ore
di
distanza
dalla
prima,
quando
era
letta
la
sentenza
e
subito
dopo
era
eseguita
la
condanna;
per
esprimersi
sulla
condanna
o
sull’assoluzione,
i
giudici
votavano
uno
alla
volta,
a
cominciare
dal
più
giovane
e
gli
scribi
verbalizzavano
tutto
quanto
accadeva
durante
l’udienza
e
quello
che
era
detto.
Infine,
una
sentenza
pronunciata
all’unanimità
era
considerata
“indice
di
complotto”,come
in
effetti
c’è
stato
nel
caso
di
Gesù,
dato
che
nei
Vangeli
si
parla
di
congiura
contro
Gesù.
Pertanto, il processo a Gesù è irregolare e la sentenza
illegittima
perché:
non
è
stata
formulata
alcuna
accusa
contro
Gesù
al
momento
del
suo
arresto;
Gesù
ha
subito
un
interrogatorio
davanti
al
Sommo
Sacerdote,
che
era
vietato,
e,
per
di
più,
di
notte;
il
processo
davanti
al
Sinedrio
si è
tenuto
all’alba
ed
“a
porte
chiuse”
ed
in
un
giorno
precedente
la
festa,
quando
non
era
possibile;
i
Capi
dei
Sacerdoti,
gli
Scribi
e
gli
anziani
hanno
cercato
falsi
testimoni
contro
Gesù,
le
cui
testimonianze,
per
di
più,
non
erano
concordanti,
e
non
hanno
cercato
alcuna
testimonianza
a
suo
favore
e
non
hanno
consentito
a
nessuno
di
parlare
a
favore
di
Gesù;
l’accusa
è
stata
“cambiata”,
da
religiosa
(Gesù
aveva
riconosciuto
di
essere
il
Cristo
e si
era
equiparato
a
Dio
avendo
ammesso
di
essere
il
Figlio
di
Dio
e di
sedere
alla
sua
destra)
a
politica
(
aver
predicato
il
non
pagamento
dei
tributi
a
Roma;
l’essersi
considerato
Re
dei
Giudei;
aver
sobillato
il
popolo
a
ribellarsi
contro
Roma),
quando Gesù è stato portato al giudizio davanti a Pilato. (Lc
23,2-5)
Per tutti questi motivi, il processo è stato “una
farsa”
anche
perchè
la
condanna
a
morte
di
Gesù
è
stata
decisa
prima,
come
risulta
dalla
“congiura”
contro
di
Lui.
Il
processo
davanti
a
Ponzio
Pilato
Il processo a Gesù davanti al Procuratore romano
Ponzio
Pilato,
nel
Pretorio
(la
fortezza,
vicina
al
Tempio,
in
cui
risiede
il
Procuratore
romano
quando
è a
Gerusalemme),
è
presente
in
tutti
i
Vangeli
Canonici,
ma è
raccontato
in
modo
diverso.
Infatti, nel Vangelo secondo Matteo,
dopo
il
giudizio
del
Sinedrio,
Gesù
è
portato
al
Pretorio,
al
cospetto
di
Pilato,
che
gli
chiede:
«Sei
tu
il
Re
dei
Giudei?».
Gesù gli risponde:«Tu lo dici» e poi rimane
in
silenzio
mentre
i
Capi
dei
Sacerdoti
e
gli
anziani
muovono
altre
accuse
contro
di
lui.
Pilato
allora
gli
chiede
perché
non
risponde
alle
accuse,
ma
Gesù
rimane
sempre
in
silenzio
e
Pilato
rimane
“molto
stupito»
di
questo
suo
comportamento.
(Mt
27,14)
Fra le tante accuse mosse dagli Ebrei contro Gesù,
Pilato
vuole
accertare
il
fondamento
di
quella
che
egli
considera
la
più
grave
e
cioè
se
Gesù
è il
“Re
dei
Giudei”e
quindi
attenta
alla
sovranità
romana
sulla
Giudea.
Pilato, non avendo trovato “colpa alcuna” nei
confronti
di
Gesù,
cerca
di
salvarlo,
ricorrendo
al
cosiddetto
“privilegio
pasquale”,
cioè
all’applicazione
di
un
atto
di
clemenza
da
parte
del
Procuratore
romano,
che
in
occasione
di “ogni
festa”
e
tanto
più
in
occasione
della
Pasqua,
che
è la
festa
più
importante
dei
Giudei,
libera
un
prigioniero
detenuto
dai
Romani,
indicato
dai
stessi
Ebrei.
(Mt
27,15)
I Romani, «in quel momento avevano un carcerato
famoso,
di
nome
Barabba»
(Mt
27,16).
Pertanto,
Pilato
chiede
alla
folla:«Chi
volete
che
io
rimetta
in
libertà
per
voi:Barabba
o
Gesù
chiamato
Cristo?”
(Mt
27,17).
Intanto, mentre Pilato «sedeva in tribunale»,
sua
moglie
Claudia
Procula
(
che
è
nominata
solo
in
questo
Vangelo,
senza
però
farne
il
nome)
gli
manda
a
dire:
«Non
avere
niente
a
che
fare
con
quel
giusto
perchè
oggi,
in
sogno,
sono
stata
molto
turbata
per
causa
sua»
(Mt
15,19).
Nel frattempo, i Capi dei Sacerdoti e gli anziani
persuasero
la
folla
a
chiedere
Barabba
e a
far
morire
Gesù»
e
così
i
presenti
gridarono
«Barabba!».
(Mt
27,20-21)
Pilato cerca di nuovo di salvare Gesù e chiede ai
presenti.
«
Che
farò
di
Gesù
chiamato
Cristo?»
e
quelli
gli
rispondono:
«Sia
crocifisso!».
Di
nuovo,
per
la
terza
volta,
cerca
di
salvare
Gesù,
dicendo
alla
folla:
«Che
male
ha
fatto?»
, ma
i
presenti
gridano,
ancora
«più
forte:Sia
crocifisso!».
(Mt
27,22-23)
Allora, Pilato, «visto che non otteneva nulla,
anzi
che
il
tumulto
aumentava,
prese
dell’acqua
e si
lavò
le
mani
davanti
alla
folla
dicendo:
Non
sono
responsabile
di
questo
sangue.
Pensateci
voi!
E
tutto
il
popolo
rispose:
Il
suo
sangue
ricada
su
di
noi
e
sui
nostri
figli».
Allora
Pilato
«rimise
in
libertà
per
loro
Barabba
e
dopo
aver
fatto
flagellare
Gesù,
lo
consegnò
perché
fosse
crocifisso».
(Mt
27,24-26)
Nel Vangelo secondo Luca, il racconto del
processo
di
Gesù
davanti
a
Pilato
è un
po’
diverso
e
contiene
degli
elementi
nuovi.
Infatti,
vengono
illustrate
a
Pilato
le
accuse
mosse
contro
Gesù,
che
non
sono
però
quelle
di
“natura
religiosa”
(aver
bestemmiato
per
aver
pronunciato
il
nome
di
Dio,
per
essersi
dichiarato
“Figlio
di
Dio”,
per
essersi
equiparato
a
Dio
e
per
aver
lavorato
il
giorno
di
sabato),
emerse
nel
processo,
svoltosi
poche
ore
prima,
all’alba,
davanti
al
Sinedrio,
ma
sono
accuse
di
“natura
politica”,
proprio
per
farlo
condannare
a
morte
dal
Procuratore
romano
Ponzio
Pilato.
Infatti, le accuse mosse contro Gesù, davanti a Pilato,
sono
molto
gravi
e
quindi
passibili
della
pena
di
morte,
dato
che
i
suoi
accusatori
sostengono
che
«metteva
in
agitazione
il
nostro
popolo,
impediva
di
pagare
i
tributi
a
Cesare...affermava
di
essere
Cristo
Re
».».
(Lc
23,2)
Allora,
Pilato
per
cercare
di
trovare
il
fondamento
dell’accusa
che
ritiene
più
grave
contro
Gesù,
gli
chiede:
«Sei
tu
il
re
dei
Giudei?»
e
Gesù
gli
risponde
«Tu
lo
dici!».
Pilato
si
rivolge
quindi
ai
Giudei
dicendo:
«Non
trovo
in
questo
uomo
alcun
motivo
di
condanna»,ma
essi
insistono
nell’accusare
Gesù
dicendo:
«solleva
il
popolo,
insegnando
per
tutta
la
Giudea,
dopo
aver
cominciato
dalla
Galilea,
fino
a
qui».
(Lc
23,3-5)
È chiaro, quindi, che c’è una precisa volontà, da parte dei
Capi
dei
Sacerdoti,
degli
Scribi
e
degli
Anziani
del
Sinedrio,
di “farlo
morire”,
come
è
emerso
chiaramente
negli
altri
tre
Vangeli,
in
cui
si
narra
di
una
“congiura
contro
Gesù”.
È narrato poi un fatto presente solo in questo Vangelo:
Pilato,
saputo
che
Gesù
«era
Galileo»,
lo
manda
da
Erode
Antipa,
Tetrarca
della
Galilea
e
della
Perea
(figlio
di
Erode
il
Grande),
che
è a
Gerusalemme
per
celebrare
la
Pasqua.
(Lc
23,
6-7)
Pilato pensa che la parola “Galileo” significhi che
Gesù
era
originario
della
Galilea.
Invece,
probabilmente
questo
termine
significa,
anche
in
base
all’accusa
mossa
contro
Gesù
(«solleva
il
popolo»),
che
Egli
era
un
ribelle
antiromano,
appartenente
al
Movimento
degli
Zeloti,
chiamati
anche
Galilei,
dato
che
il
Movimento
era
nato
e si
era
sviluppato
in
Galilea.
Questa
ipotesi
è
convalidata
dal
fatto
che
la
parola
“Galileo”
è
scritta
in
maiuscolo,
a indicare
l’appartenenza
a
Movimento
dei
Galilei
(Zeloti)
e
non
è
quindi
un
aggettivo
riferito
alla
Galilea,
come
luogo
di
origine.
Erode Antipa si rallegra molto nel vedere Gesù perché «da
molto
tempo
desiderava
vederlo,
per
averne
sentito
parlare
e
sperava
di
vedere
qualche
miracolo
fatto
da
lui».
(Lc
23,8)
Erode
,quindi
vuole
sapere
come
Gesù
compie
i
miracoli.
Alla
presenza
dei
Capi
dei
Sacerdoti
e
degli
Scribi,che
«insistevano
nell’accusarlo»,
interroga
Gesù,
«facendogli
molte
domande,
ma
egli
non
gli
rispose
nulla».
Pertanto,
deluso
e
certamente
anche
adirato
contro
Gesù
per
il
suo
atteggiamento
reticente,
lo
insulta,
insieme
con
i
suoi
soldati,
gli
mette
addosso
«una
splendida
veste»
e lo
rimanda
da
Pilato.
(Lc
23,
9-11)
Gesù è quindi riportato davanti a Pilato, che «riuniti i
Capi
dei
Sacerdoti
, le
autorità
ed
il
popolo»,
dice
loro:«
Mi
avete
portato
questo
uomo
come
agitatore
del
popolo.
Ecco,
io
l’ho
esaminato
davanti
a
voi,ma
non
ho
trovato
in
questo
uomo
nessuna
delle
colpe
di
cui
l’accusate;e
neanche
Erode:infatti
ce
l’ha
rimandato.
Ecco,
egli
non
ha
fatto
nulla
che
meriti
la
morte.
Perciò,
dopo
averlo
punito,lo
rimetterò
in
libertà».
(Lc
23,13-16)
Pilato è quindi convinto dell’infondatezza delle accuse
“politiche”,
molto
gravi,
mosse
contro
Gesù,
in
particolare
di
quella
che
“solleva
il
popolo”
contro
i
Romani,
e
cerca
di
salvarlo,
dopo
averlo
comunque
punito,
con
la
fustigazione.
Però,
gli
Ebrei
gridano
: “«Togli
di
mezzo
costui!
Rimettici
in
libertà
Barabba
!»,
che
«era
stato
messo
in
prigione
per
una
rivolta,scoppiata
in
città,
e
per
omicidio».
(Lc
23,18-19)
Pilato però «voleva rimettere in libertà Gesù, ma essi
urlavano:
Crocifiggilo!
Crocifiggilo!».
Pertanto,
«per
la
terza
volta,disse
loro:
Ma
che
male
ha
fatto
costui?Non
ho
trovato
in
lui
nulla
che
meriti
la
morte.
Dunque
lo
punirò
e lo
rimetterò
in
libertà».
Gli
Ebrei
però
«insistevano
a
gran
voce,
chiedendo
che
venisse
crocifisso».
Pilato,
vedendo
che
«le
loro
grida
crescevano….decise
che
la
loro
richiesta
fosse
eseguita.
Rimise
in
libertà
colui
che
era
stato
messo
in
prigione
per
rivolta
ed
omicidio…e
consegnò
Gesù
al
loro
volere».
(Lc
23,
20-25)
In questi passi è chiaro che gli Ebrei vogliono la morte di
Gesù
e
che
sia
liberato
Barabba,
che
era
in
prigione
per
aver
partecipato
a una
“rivolta,
scoppiata
in
città”
(probabilmente
contro
i
Romani),
che
ha
causato
almeno
un
morto.
Pilato, quasi “intimorito” dalla folla, cede alle pressioni
e
libera
Barabba,
sebbene
avesse
partecipato
a una
rivolta
e
fosse
anche
accusato
di “omicidio”.
Peraltro,
Pilato
non
fa
scegliere
alla
folla
dei
Giudei
se
liberare
Barabba
o
Gesù.
È la
folla
che
impone
la
liberazione
di
Barabba.
Pilato
appare
quindi
un
“debole”,
anche
se
lo
storico
Giuseppe
Flavio
ed
il
Re
Erode
Agrippa
I lo
presentano
come
una
persona
arrogante
e
violenta.
Si
deve
infatti
ricordare
che
Pilato
è
stato
“destituito”
dal
Proconsole
di
Siria
Lucio
Vitellio
nel
36
per
aver
brutalmente
represso
la
rivolta
dei
Samaritani
sul
Monte
Garizim,
dove
essi
avevano
il
loro
Tempio.
Pertanto, il giudizio positivo su Pilato, espresso nel
Vangelo,
sembra
confezionato
“a
posteriori”,
in
funzione
antiebraica
e
filo
romana,
per
addossare
sugli
Ebrei
tutta
la
responsabilità
per
la
morte
di
Gesù.
Nel Vangelo secondo Giovanni, la narrazione
dei
fatti
presenta
una
importante
differenza
rispetto
a
quella
degli
altri
Vangeli,
in
quanto,
Gesù,
dopo
la
sua
cattura
e
dopo
l’interrogatorio
notturno
da
parte
dell’ex
Sommo
Sacerdote
Anna,
assolutamente
vietato
dalla
procedura
giudiziaria
ebraica,
è
portato
«con
le
mani
legate»
da
Caifa,
che
non
lo
interroga,
diversamente
da
quanto
è
narrato
nei
Vangeli
Sinottici.
Quindi
la
mattina,
all’alba,
Gesù
è
portato,
«dalla
casa
di
Caifa»,
davanti
a
Pilato.
Non
c’è
quindi
il
processo
davanti
al
Sinedrio.
Le scene del giudizio davanti a Pilato sono due: la prima
di
Pilato
con
Gesù
nel
Pretorio,
ma i
tre
interrogatori
di
Gesù
da
parte
di
Pilato
sono
in
realtà
dei
“colloqui”
dato
che
si
svolgono
“a
tu
per
tu”,
senza
la
presenza
degli
Ebrei,
rimasti
fuori
dal
Pretorio.
La
seconda
scena
è
quella
di
Pilato
con
gli
Ebrei,
che
non
entrano
nel
Pretorio
«per
non
contaminarsi
e
poter
mangiare
la
Pasqua».
(Gv
18,28)
Infatti, il Pretorio è un luogo pagano e quindi “impuro” e
pertanto
gli
Ebrei
non
vi
possono
entrare
per
non
contaminarsi
perché
altrimenti
non
possono
celebrare,
la
sera,
la
festa
della
Pasqua,
partecipando
alla
“cena
pasquale”
e
mangiando
l’agnello
pasquale.
Infatti,
è
venerdì
14
Nisan
e la
sera
inizia
il
giorno
di
Pasqua,
che
nel
Vangelo
giovanneo
cade
sabato
15
Nisan.
Pilato esce dal Pretorio e chiede agli Ebrei il motivo per
il
quale
gli
hanno
portato
Gesù.
Gli
rispondono
che
è un
«malfattore»,
altrimenti
non
l’avrebbero
portato
al
suo
giudizio.
Pilato,
allora
risponde
loro
di
giudicarlo
secondo
la
Legge
Ebraica.
Gli
Ebrei
replicano
che
a
loro
«non
è
consentito
mettere
a
morte
nessuno».
Infatti,
è
riservato
al
Procuratore
romano
lo “ius
gladii”
(diritto
di
spada),
cioè
il
potere
di
condannare
a
morte.
È
chiara
quindi
la
volontà
degli
Ebrei
di “far
morire
Gesù”.
(Gv
18,29-31)
Pilato entra nel Pretorio e chiede a Gesù: «Sei tu il re
dei
Giudei?»
e
Egli
gli
risponde:
«Dici
questo
da
te
oppure
altri
ti
hanno
parlato
di
me?».
Infatti,
gli
Ebrei
non
hanno
mosso
questa
accusa
contro
Gesù,
che
pertanto
chiede
a
Pilato
il
motivo
della
sua
domanda.
I soldati romani gli mettono sul capo «una corona di
spine»
intrecciata
ed
addosso
«un
mantello
di
porpora»;
lo
deridono
e lo
scherniscono
dicendogli
«Salve,
Re
dei
Giudei!»
e lo
prendono
a
schiaffi.
Pilato esce di nuovo fuori dal Pretorio e presenta ai Giudei
«la
corona
di
spine
ed
il
mantello
di
porpora»
di
Gesù
dicendo:
«Ecco
l’uomo»
(Ecce
homo).
Poichè
i
Giudei
gridano
di
crocifiggerlo,
Pilato
dice
loro:
«Prendetelo
voi
e
crocifiggetelo;io
in
lui
non
trovo
colpa».
I
Giudei
gli
rispondono:
«
Noi
abbiamo
una
Legge
e
secondo
la
Legge
deve
morire,
perché
si è
fatto
Figlio
di
Dio».
L’accusa
che
muovono
contro
Gesù
è
quindi
“religiosa”
e
non
è
sufficiente
per
condannarlo
a
morte.
(Gv
19,1-7)
Gesù non gli risponde. Allora gli dice: «Non mi parli?
Non
sai
che
ho
il
potere
di
metterti
in
libertà
ed
il
potere
di
metterti
in
croce?»
Gesù
gli
risponde:
«Tu
non
avresti
alcun
potere
su
di
me,se
cioè
non
ti
fosse
dato
dall’alto.
Per
questo,
chi
mi
ha
consegnato
a te
ha
un
peccato
più
grande».
(Gv
19,8-11)
Le
irregolarità
del
processo
davanti
a
Pilato
Anche il processo a cui è stato sottoposto Gesù da
Pilato
è
irregolare
perché
Pilato
ha accolto
le
accuse
mosse
contro
Gesù
dalle
Autorità
ebraiche,
non
ascoltando
testimoni
né
“a
carico”
né
“a
favore”
di
Gesù
e
soprattutto
non
ha
tenuto
in
alcun
conto
le
discolpe
formulate
da
Gesù.
Pilato cerca di liberare Gesù, dicendo più volte ai
Giudei
che
non
trova
“colpa
alcuna”
in
Lui,
e fa
anche
ricorso
al
suo
potere
di
liberare
un
condannato
in
occasione
delle
feste
e
quindi
della
Pasqua.
Però Pilato si impaurisce quando gli Ebrei gli dicono:
«Se
liberi
questo
uomo,
non
sei
amico
di
Cesare»
perché
«chiunque
si
fa
Re
si
mette
contro
Cesare»
(Gv
19,12).
Infatti
teme,
se
non
condanna
a
morte
Gesù,
di
essere
accusato
di
“tradimento”
verso
l’Imperatore
Tiberio
e
quindi
cede
alle
pressioni
degli
Ebrei,
che
vogliono
la
morte
di
Gesù
e
per
questo
lo
accusano
di
essersi
proclamato
“Re
dei
Giudei”.
Più probabilmente, i “tentativi” di Pilato per liberare
Gesù
sono
stati
inseriti
dagli
Evangelisti
o
dai
trascrittori
successivi
dei
Vangeli
per
liberare
i
Romani
dalla
responsabilità
della
morte
di
Gesù,addossandola
sugli
Ebrei.
Chi
è
Barabba?
Il
nome
Barabba
deriva
dall’aramaico
bar-Abbà.
Dato
che
Abbà
significa
Padre,
Barabba
è un
patronimico
e
significa
figlio
del
Padre.
Però,
può
significare
anche
figlio
di
Dio,
dato
che
gli
Ebrei
non
possono
pronunciare
il
nome
Dio
e
pertanto
lo
chiamano
anche
Padre.
Anche
Gesù
spesso
si
riferisce
a
Dio
come
Padre.
Al
riguardo,
la
parola
aramaica Abbà =Padre
compare
nel
Vangelo
secondo
Marco,
nel
quale
Gesù
dice:
«Abbà,
Padre,
tutto
è
possibile
per
te»
(Mc
14,
36)
in
cui
c’è
sia
il
termine
aramaico,
usato
dagli
Ebrei
(Abbà),
sia
la
parola
tradotta
(Padre),
per
far
comprendere
chiaramente
ai
lettori
che
Gesù
si
rivolge
al
Padre,
cioè
a
Dio.
È
sorprendente
che
nessun
esegeta
abbia
capito
che
Barabba
corrisponde
all'espressione
usata
dagli
Ebrei
per
dire “figlio
di
Dio”!
In
molti
manoscritti
in
greco
dei Vangeli,
redatti
fino
al
III
sec.,
il
termine
bar-Abbas
(contratto
in
Barabbas)
è
preceduto
dal
nome Iesoûs.
Pertanto,
la
frase
significa
“Gesù
figlio
del
Padre”
ed
anche
"Gesù
figlio
di
Dio".
Successivamente,
nei
Vangeli
la
parola
Iesoûs
è
stato
cancellata
ed è
rimasto
solo
il
termine
Barabbas,
inteso
nella
tradizione
cristiana
come
“nome
proprio
di
persona”.
Barabba compare
nei
quattro
Vangeli
Canonici
nell'ambito
del
racconto
del
processo
a Gesù davanti
al
Procuratore
romano Ponzio
Pilato,
dopo
la
sua
cattura
a
Gerusalemme,
in
occasione
della
Pasqua.
Secondo
i
Vangeli
Sinottici,
Barabba
è in
carcere,
catturato
in
seguito
a una
rivolta
scoppiata
in
città.
Pertanto,
probabilmente
fa
parte
del
Movimento
degli Zeloti.
Pilato,
cerca
di
liberare
Gesù,
non
trovando
alcuna
colpa
in
Lui
e
considerando
infondata
la
richiesta
di
condanna
a
morte, fatta
dai
suoi
accusatori
giudei.
Dato
che
era
consuetudine
del
Procuratore
romano,
in
occasione
della Pasqua,
liberare
una
persona
detenuta
nelle
carceri
romane,
Pilato
chiede
ai
Giudei,
che
assistono
al
processo
di
Gesù
nel
cortile
del
Pretorio,se
liberare
Gesù
o
Barabba.
Gli
Ebrei,
spinti
dai
Sacerdoti,
scelgono
di
liberare
Barabba,
di
cui
poi
non
si
sa
più
nulla.
Invece,
nel
Vangelo
secondo
Giovanni,
i
Giudei
chiedono
la
liberazione
di
Barabba
senza
scegliere
tra
lui
e
Gesù.
(Gv
18,46)
La
figura
di
Barabba
è
presentata
in
modo
differente
nei
Vangeli
Canonici.
Infatti,
il Vangelo
secondo
Matteo racconta
che
i
Romani
«
avevano
in
quel
momento
un
prigioniero
famoso,
di
nome
Barabba».
(27,
16)
Questo
passo
evangelico
è
stato
tradotto
in
modo
diverso
nel
corso
degli
anni.
Infatti,
la
Sacra
Bibbia
(Traduzione
dai
Testi
Originali),
edita
dalle
Edizioni
Paoline
nel
1964,
lo
traduce
così
dal
greco:
«Egli
(Pilato)
aveva
allora
in
carcere
un
detenuto
famoso,
detto
Barabba».
Invece,
la
versione
ufficiale
della
Conferenza
Episcopale
Italiana
del
1976
t
raduce
il
passo
in:
«(i
Romani)
Avevano
in
quel
tempo
un
prigioniero
famoso,
detto
Barabba».
Nel
Nuovo
Testamento
-
Parola
del
Signore,
pubblicato
nel
1976
dalla
Elle
Di
Ci - Leumann,
di
Torino,il
passo
evangelico
è
tradotto
così:
«A
quel
tempo
era
in
prigione
un
certo
Barabba,
un
carcerato
famoso».
Infine,
il
Nuovo
Testamento,
Nuova
Revisione
del
1992
sul
testo
greco,
edito
dalla
Società
Biblica
di
Ginevra,
traduce
il
passo
così:«
(I
Romani)
Avevano
allora
un
noto
carcerato,
di
nome
Barabba».
Le
traduzioni
sono
abbastanza
diverse
e
producono
importanti
discordanze
nei
significati
del
passo
evangelico.
Infatti,
l’uso
dei
termini
“un
prigioniero
famoso,
detto
Barabba”,
da
una
parte,
o “un
certo Barabba,un
carcerato
famoso”
e “un
noto
carcerato,
di
nome Barabba”,
dall'altra
parte,
lasciano
intendere
due
cose
differenti.
Infatti,
il
nome
Barabba nel
primo
caso
sembra
essere
un
soprannome,
cioè
il “prigioniero
famoso”
era
detto
o
chiamato
Barabba,
mentre
nel
secondo
e
nel
terzo
caso
sembra
trattarsi
di
un
nome
di
persona,
cioè
il
“carcerato
famoso”
o il
“noto
carcerato”
si
chiamava
proprio Barabba.
Questa
interpretazione
è
rimasta
nella
Tradizione
cattolica,
cioè
Barabba
si
chiama
proprio
così
ed è
in
carcere
perché
è un
“brigante”,
ma
più
probabilmente
è un
ribelle
zelota,
dato
che
la
parola
greca
lestés
significa
ribelle.
Nella
pagina
101
del
Novum
Testamentum
Graece
et
Latine,
edito
nel
1933,
nella
parte
superiore,
evidenziato
in
rosso,
troviamo
il
verso
16
del
Capitolo
27
del
Vangelo
secondo
Matteo
e
nella
parte
inferiore,
sotto
la
riga
orizzontale,
abbiamo
la
relativa
nota
a
piè
di
pagina,
nella
quale
sono
riportate
le
varianti
che
si
possono
trovare
in
alcuni
antichi
manoscritti
evangelici.
In
particolare,
la
nota
è
duplice
e le
due
parti
sono
separate
da
una
breve
linea
verticale.
Nella
prima
parte
della
nota
del
passo
27,16
del
Vangelo
secondo
Matteo,
presente
nel
Novum
Testamentum
Graece
et
Latine,
al
posto
di
legomenon
Barabban
(detto
Barabba),
abbiamo
l’espressione: Ihsoun
Barabban
(Gesù
Barabba).
Pertanto,
secondo
la
nota
il
vero
nome
del
personaggio
è
Gesù
ed
il
termine
Barabba
è un
patronimico.
Pertanto,
la
frase
si
legge
“Gesù,
Figlio
del
Padre”,
inteso
come
“Gesù
figlio
di
Dio”,
dato
che
gli
Ebrei
non
possono
pronunciare
il
nome
di
Dio.
Nella
liturgia
latina
troviamo
"filius
Patris",
che
è la
traduzione
letterale
dell'espressione
usata
dagli
Ebrei.
In
italiano,
la
parola
aramaica
«bar
Abbà»
(figlio
del
Padre)
si è
trasformata
in «figlio
di
Dio»,
usata
dal
Sommo
Sacerdote Caifa,
che
chiede
a
Gesù
se è
“il
figlio
di
Dio”
e
Gesù
gli
risponde:
“
Tu
l’hai
detto”.(Mt
26,63-64)
Nella
seconda
parte
della
nota
è
scritto
che,
dopo
la
parola
Barabba
,
alcuni
antichi
testi
evangelici
recano
la
seguente
frase:
«il
quale
era
stato
messo
in
carcere
in
occasione
di
una
sommossa
scoppiata
in
città
e di
un
omicidio».
Pertanto,
Barabba
è
detenuto
nelle
carceri
romane,
insieme
con
i
ribelli
(probabilmente
Zeloti)
che
hanno
partecipato
a
una
“rivolta”
(probabilmente
una
insurrezione
antiromana)
nel
corso
del
quale
è
stato
compiuto
un “omicidio”
(
forse
è
stato
ucciso
un
soldato
romano
o un
collaborazionista
dei
Romani),
ma
non
è
chiaro
se
egli
appartenga
al
gruppo
insurrezionale
e se
sia
quindi
corresponsabile
dell’omicidio.
Invece,
nel
passo
attuale
del
Vangelo
secondo
Matteo,
Barabba
è in
prigione”,
ma
non
se
ne
comprendono
i
motivi.
Nel Vangelo
secondo
Marco
si
legge
che
«un
tale
chiamato
Barabba
si
trovava
in
carcere
insieme
ai
ribelli
che
nella
rivolta
avevano
commesso
un
omicidio».
(15,7)
Il
verbo
«avevano
commesso»
è
coniugato
al
plurale
e si
riferisce
quindi
ai «ribelli»,
non
a
Barabba.
La
frase
significa
quindi
che
Barabba
era
rinchiuso
nel
carcere
romano,
in
cui
si
trovavano
i «
ribelli
che
nella
rivolta
avevano
commesso
un
omicidio»,
ma
questo
non
significa
che
lui
è un
ribelle
e
che
ha
partecipato
alla
“sommossa”
ed
allo
“omicidio”.
Nel Vangelo
secondo
Luca,
Barabba
«era
stato
messo
in
prigione
per
una
rivolta
scoppiata
in
città
e
per
omicidio».
(Lc
23,19)
Pertanto,
sembra
che
era
stato
imprigionato
“per
aver
partecipato”
alla
“rivolta”
ed
allo
“omicidio”.
La
frase
è
simile
a
quella
del
testo
antico
omesso
dal
Vangelo
secondo
Matteo,
ma è
tradotta
in
modo
errato.
In
particolare,
una
versione
del
Nuovo
Testamento
del
1976,
che
si
definisce
"traduzione
interconfessionale
in
lingua
corrente",
la
riporta
così:
«...
era
in
prigione
perché aveva
preso
parte
a
una
sommossa del
popolo
in
città
ed aveva
ucciso
un
uomo».
Invece,
la
traduzione
corretta
è:
"«...
si
trovava
in
carcere,
insieme
ai
ribelli
che
nella
sommossa
avevano
commesso
un
omicidio...».
Infatti
la
frase
greca
"dia stasin
tina" può
essere
tradotta
"in
occasione
di
una
sommossa",
"poiché
c'era
stata
una
sommossa",
"nel
luogo
della
sommossa",
"durante
una
sommossa",
ma
non
si
può
tradurre:
"aveva
preso
parte
a una
sommossa"
e "aveva
ucciso
un
uomo".
Secondo
questa
traduzione,
infatti,
Barabba
partecipa
alla
“sommossa”
ed
all’omicidio.
Invece,
secondo
il
testo
originale
in
lingua
greca
sembra
che
Barabba
non
è
uno
dei
“ribelli”
che
hanno
preso
parte
alla
“sommossa”
ed
hanno
commesso
l’omicidio,
ma
soltanto
che
egli
è “in
carcere,
insieme
ai
ribelli”
che
hanno
partecipato
alla
“sommossa”
ed
hanno
commesso
un
“omicidio”.
Gesù
e
Barabba
sono
due
persone
diverse,
i
cui
nomi,
ruoli
e
responsabilità
sono
stati
confusi
nella
contraffazione
storica,
fatta
dagli
Evangelisti
o
dai
trascrittori
successivi
dei
Vangeli?
Sono
i
due
aspiranti
Messia
degli
Esseno-Zeloti,
il
Messia
di
Israele
(il
capo
politico)
ed
il
Messia
di
Aronne
(il
capo
spirituale)?
Gesù
e
Barabba
sono
la
stessa
persona,
che
ha
subito
uno
sdoppiamento,
come
altri
personaggi
della
narrazione
evangelica?
In
questo
caso,
se Gesù-Barabba
è
stato
liberato
da
Pilato,
chi
è
stato
crocifisso?
Al
riguardo,
la
Tradizione
islamica
sostiene
che
Gesù
non
è
stato
crocifisso.
Purtroppo,
non
abbiamo
le
risposte
a
queste
domande
ed
il
mistero
di
chi
è
Barabba
permane.