N. 90 - Giugno 2015
(CXXI)
DUECENTO ANNI FA, WATERLOO
sulla collina con il contadino dekoster
di Enzo Bentivoglio
Le
località
sulle
quali
avvenne
la
battaglia,
poi
definita
di
Waterloo,
hanno
come
spina
dorsale
la
strada
che
si
dirige,
verso
sud,
da
Bruxellesa
a
Genappe,
e
sulla
quale
si
trovava
una
piccola
proprietà
rurale
–
poco
distante
dalla
ferme
detta
della
Belle-
Alliance
segnata
sulle
cartografie
del
tempo
–
che
i
documenti
ricordano
caratterizzata
da
un
semplice
lungo
edificio
a un
piano
con
una
porta
e
due
finestre
strette
aperte
sulla
strada.
Il
contadino
Jean-Baptiste
Dekoster,
proprietario
dell’edificio,
padre
di
sei
figli,
presa
consapevolezza
del
movimento
di
truppe
nella
zona,
in
particolare
quelle
francesi
su
Mont-Sait-Jean,
subito
si
trasferì
–
cosa
che
fecero
in
tanti
-
con
la
famiglia
nell’abazia
di
Aywiwers,
precauzione
ben
fondata,
infatti
a
pochi
chilometri
più
a
Nord,
presso
la
località
di
Waterloo,
vi
era
il
quartiere
generale
di
Wellington
mentre
pochi
chilometri
a
Sud
vi
era,
a
Caillou,
quello
di
Napoleone.
Jean-Baptiste,
un
po’
incuriosito
dagli
eventi
e un
po’
per
“controllare”
la
sua
proprietà,
ritornò
in
zona
e
qui
s’imbatté
in
tre
generali
francesi
che
subito
lo
condussero
in
cospetto
dell’Imperatore
che
lasciato
il
quartier
generale
di
Caillou,
volle
effettuare
riscontri
sulle
carte
dei
siti,
osservandoli,
con
l’aiuto
di
Dekoster,
dall’alto
della
collinetta
della
sua
casa
e lì
vi
rimase
in
piedi,
da
mezzogiorno
fin
verso
le
17,
tenendosi
sempre
vicino
Deckoster
che,
ogni
volta
era
da
lui
interpellato
per
chiarimenti,
questi
per
ossequio
si
toglieva
il
cappello
al
che
Napoleone
lo
invitò
a
portare
semplicemente
la
mano
alla
fronte
e
quando
Jean-
Baptiste
eseaurì
la
sua
scorta
di
tabacco
privo
di
tabacco,
più
volte
l’Imperatore
glielo
offrì.
Tutto
questo
mentre
una
incessante
pioggia
-
“inesauribile”
a
causa
dell’incessante
cannoneggiamento
in
particolare
dei
120
colpi
al
minuto
dei
cannoni
francesi
nell’inconsapevolezza
della
capacità
“ d’ébranler
l’atmosphére”
e
favorire
così
la
pioggia
-
trasformava
la
zona
in
un”
océan
de
boue”.
E se
Napoleone
appariva
inpassibile,
osservando
le
fasi
della
progressiva
disfatta,
Jean
–Baptiste
accanto
a
lui,
ogni
volta
abbassava
la
testa
e le
spalle
e
ogni
volta
era
l’imperatore
stesso
che
gliele
tirava
in
alto,
dicendogli
che“
ces
mouvements
avaient
fait
croire
à
ses
officiers
qu’il
était
blessé
“,
d’altra
parte
l’Imperatore-
come
si
legge
nel
diario
del
generale
Foy
- “
se
promener
en
long
et
en
large,
les
mains
derrière
le
dos”.
Napoleone,
resosi
conto
della
disfatta,
si
rivolse
a
Dekoster,
dicendogli,
“
Mon
ami,
éloignons-nous,
c’est
fini”
e
mente
il
sacrificio
della
Vecchia
Guardia
garantiva
la
ritirata
dell’Imperatore
e
quando
si
giunse
a
Charleroi
il
contadino
ricevette
dalle
mani
del
generale
Bertrand
un
luigi.
Jean-Baptiste
ritornò
alla
sua
casa
ma
trovò
priva
di
porte
e
finestre
e
tutto
quanto
di
legno,
bruciato
dalle
truppe
francesi
nei
lorobivacchi
prima
della
battaglia
e fu
così
che,
“
dégoutés
de
sa
demeure,
Dekoster
s’en
fut
bientôt
habiter
le
hameau
de
Jolibois,
sous
Waterloo”.
E se
i
francesi
avevano
bruciato
per
i
loro
bivacchi
le
masserizie
della
casa
di
Jean-Baptiste,
i
prussiani,
arrivati
il
19 a
quella
imponente
antica
casa
di
Caillou,
ultimo
quartier
generale
di
Napoleone,
divenuta
dopo
la
battaglia
un’
infermeria
lì
trovarono
solo
i
feriti
francesi
che
perirono,
bruciati
vivi,
nell’incendio
dato
all’edificio.
In
quel
l’antico
edificio
Napoleone
si
era
coricato,
la
notte
fra
il
17 e
il
18,
dalle
ore
10
di
sera
alle
2
del
mattino,
sul
suo
tradizionale
lit
de
campagne
( lo
stesso
sul
quale,
morto,
fu
posto
a
Sant’Elena
e
ora
al
Musée
des
Invalides),
“ricarcandosi”-
con
quella
capacità
che
lo
caratterizzava.
Circa
la
disfatta
di
Waterloo,
esteso
è
stato
il
dibattito
-
basato
su
memorie
di
varia
natura
raccolte
da
storici
da
chi
fu
vicino
all’Imperatore
in
quel
funesto
giorno
e i
precedenti
e
ancora
più
indietro
nel
tempo,
in
altre
situazioni
- se
Napoleone
fosse
in
pieno
possesso
delle
sue
facoltà
vuoi
per
stanchezza,
vuoi
perché
afflitto
da
malanni
di
varia
natura
oppure
perché
presago
di
un
destino
di
cui
uno
dei
più
intimi
e
fedeli
collaboratori,
il
duca
Degrès,
ci
ha
lasciato
il
ricordo
che
il
giorno
avanti
prima
di
partire
per
il
Belgio,
l’Imperatore,
liberandosi
dal
“consueto”
torpore
di
“ricarica
”,
abbia
pronunciato
la
frase,
“
Et
puis
cela
ira
comme
cela
ono
pourra”,
consapevole
che
la
sua
armata
“
n’a
été
plus
ardente,
plus
enthousiaste,
plus
confiante
dans
le
succès”,
seppure
altri
scrivono
che
Napoleone,
a
Waterloo,
fu
in
possesso
di
una
“intelligence
plus
eveillée
et
plus
lucide,
son
corps
plus
réesistant
à la
fatigue”;
ma è
indubbio
che
egli
sopportò
durante
tutta
la
giornata
del
18
giugno
–
giusto
il
ricordo
del
fratello
Girolamo
–
quella
“désagréable
incommodité”
per
cui
doveva
fare
ricorso
a
impacchi
di
acqua
bollente
e
“estratto
di
saturno”.
è
stato
calcolato
che
durante
la
campagna
del
Belgio
sia
rimasto
in
sella,
alternativamente,
per
19+18+13+26
ore
consecutive,
“dormicchiando”
di
tanto
in
tanto
(sempre
in
sella).
.
I
campi
della
battaglia
Allontanandosi
dal
luogo
di
osservazione
della
disfatta
l’Imperatore
ebbe
un
breve
eccesso
di
collera
esclusivamente
perché,
volendo
montare
velocemente
in
sella
fu
aiutato,
in
modo
maldestro,
tale
che
“
fut
poussé
par-dessus”.
Nelle
“
Mémoires”
di
Mollien,
questi,
riportando
quanto
gli
avrebbe
detto
Napoleone,
che
“
à
Waterloo
je
devais
vaincre
cent
fois
pour
une,
toutes
les
chances
de
la
campagne
étaient
pour
nous”;
da
parte
sua
Wellington
avrebbe
confessato
che
in
quel
18
giugno,
“
je
n’ai
jamais
été
si
près
d’être
battu”.
Narrazione
ricostruita
sulla
base
di
saggi
pubblicati
sulla
Revue
des
études
napolléoniennes
(1929,
nn.
87 e
89)
e da
Cabanès,
Les
indiscrétions
de
l’histoire
(1957).