LA BIBLIOTECA
di Aby Warburg
Da labirinto a Istituto
di
Alessio Guglielmini
Straniamento, smarrimento, perfino
disagio. I testimoni, diretti e
indiretti, che hanno provato a
recuperare l’essenza della Biblioteca di
Aby Warburg ne hanno spesso descritto in
questi termini il primissimo impatto.
Dobbiamo al Wolfram Eilenberger di Il
tempo degli stregoni la
ricostruzione dell’esperienza vissuta da
Ernst Cassirer nella polimorfica
Biblioteca amburghese. Il filosofo si
avvicinò per la prima volta a questo
insolito regno, nell’inverno del 1920.
Fu accolto da Fritz Saxl, intimo
collaboratore di Warburg, mentre
quest’ultimo era a Kreuzlingen, presso
la clinica Bellevue, a curarsi.
Ilgiudizio istintivo di Cassirer fu
radicale, sebbene appena mormorato: “Non
devo tornare mai più in questo luogo, se
non voglio perdermi per sempre in questo
labirinto” (Saxl 1983, p. 138). Nei
dieci anni successivi Cassirer avrebbe
trasformato la Biblioteca warburghiana
nel campo base dei suoi studi sul
pensiero mitico e sulle forme
simboliche.
Il labirinto, stando alla testimonianza
di Saxl, contava all’epoca del
sopralluogo di Cassirer circa 20.000
volumi (Warburg, 1983), contributo
pubblicato, tra gli altri, in coda alla
biografia intellettuale di Ernst H.
Gombrich. Questo patrimonio era
organizzato secondo criteri che
sfuggivano alla comprensione abituale e
i libri si relazionavano tra di loro
attraverso la cosiddetta “legge del buon
vicino”. Non era detto che l’ospite
trovasse ciò che cercava nel titolo che
gli era noto, ma possibilmente in uno
dei testi posizionati a fianco. Il
labirinto della ricerca si sarebbe
dipanato, un poco alla volta.
Gradualmente,il visitatore ispirato
poteva padroneggiare le quattro chiavi
che Warburg aveva scelto di mettergli a
disposizione. Eilenberger, seguendo il
filo delle indagini di Cassirer, ha
riportato le sezioni in cui si
articolava il complesso sistema della
Biblioteca che dal 1909 era ubicata al
114 di Heilwigstraße. Orientamento -
Immagine - Parola - Azione, erano questi
gli ingressi che Warburg aveva tracciato
all’interno del suo progetto di
Kulturwissenschaft (“scienza della
cultura”).
Era naturale partire dai principi
dell’orientamento, come
sottolineaEilenberger (Eilenberger 2018,
p. 139): l’uomo viene infatti al mondo
senza “istruzioni per l’uso” e necessita
pertanto di coordinate. Queste
istruzioni, sotto la voce
“Orientamento”, venivano classificate da
Warburg tramite le opere sulla
superstizione, la magia, la religione e
la scienza, intese come “forme-base”. Le
altre tre categorie andavano a fornire
ulteriori segni al ricercatore impegnato
a maneggiare la proteiforme materia
delle formule adottate dall’uomo per
esprimersi nel corso dei secoli. Le
opere sull’ornamento, la grafica e la
pittura venivano poste da Warburg sotto
la sigla “Immagine”, laddove il
materiale su preghiere, letteratura
epica e scongiuri veniva archiviato
sotto “Parola”. “Azione”, per
concludere, andava a indagare il “corpo
umano come medium della strutturazione
simbolica, e dunque i testi sulle feste
e la danza, il teatro o l’erotismo” (Eilenberger
2018, p. 139).
Questo“buon vicinato”si atteneva
indubbiamente all’approccio corale che
Warburg aveva costruito fin dagli anni
di formazione con Karl Lamprecht,
Hermann Usener, Carl Justi, tra gli
altri, rispetto ai problemi della
filologia, della storia dell’arte e
della rappresentazione, psicologica e
iconografica, del sentire umano. I
numerosi testi raccolti, prima e dopo
l’epifania di Cassirer del 1920,
dovevano imprimere una tensione
multidisciplinare alla sua elaborata
collezione che, sulle prime, veniva
percepita quale disposizione
labirintica.
Si è molto discusso a proposito di
questo dedalo e di come la biografia
stessa di Warburg possa rimanere
impigliata alle trame insidiose di un
così inconsueto sistema. La missione
culturale di Warburg, certificata a
livello personale dai suoi sforzi per
uscire dai gorghi nevrotici che lo
avevano costretto al ritiro di
Kreuzlingen, consisteva nel dare al
genere umano strumenti di chiarezza,
lucidità, ispirazione illuminata da
opporre alle minacciose forze del caos e
della superstizione. La scienza della
cultura, per come la concepiva Warburg,
era insomma metodo per dominare il
labirinto, per guardarlo con olimpico
distacco. L’immagine restituita da Ernst
H. Gombrich, dopo il rientro di Warburg
dalla clinica Bellevue, nella tarda
estate del 1924, era quella di un
revenant, di un reduce dalla terra dei
morti, come amava definirsi lo stesso
Warburg (Gombrich 2018, p. 225).
In una recensione del 1984, comparsa
originariamente sulle pagine di “il
Manifesto” e ripubblicata da La Rivista
di Engramma (nn. 34-37,2004, pp. 83-85),
Guglielmo Bilancioni faceva i conti
proprio con il volume di Gombrich,
contestandogli l’insistenza sulla
fragilità psichica di Aby Warburg, il
suo presentarlo come “uomo perduto nel
labirinto”. Dal canto suo Bilancioni
rilanciava Warburg come “il gran signore
del labirinto” che, di fatto, era il
titolo della sua recensione a Gombrich.
Warburg era, senza dubbio, signore di
quel labirinto che era la sua
Biblioteca, ma durante il suo ritiro a
Kreuzlingen il labirinto aveva
cominciato a mutare e ad aprirsi. Nel
1924, il revenant aveva infatti trovato
ad accoglierlo un nuovo assetto più
istituzionalizzato: «(…) Saxl, d’accordo
con la famiglia, aveva trasformato la
biblioteca privata di uno studioso
solitario in una pubblica istituzione di
ricerca» (Warburg 2014, p. 225).
Un’istituzione che ospitava lezioni
pubbliche e che avrebbe anche segnato il
ritorno alla vita culturale ufficiale
dello stesso Warburg che, il 25 aprile
del 1925, tenne una conferenza in
memoria di Franz Boll che sarebbe poi
stata pubblicata con il titolo di Per
Monstra ad Sphaeram.
Questo episodio va collocato nella
ricerca del distacco razionale (Denkraum)
auspicato dai filoni di ricerca
intrapresi da Warburg. L’astrologia
volgarizzata, intesa come materia
superstiziosa dominata dai mostri,
doveva lasciare spazio alla scienza
delle sfere, alla disciplina
astronomica: gli Dei, liberati dalla
gabbia del capriccio irrazionale,
potevano tornare a brillare come fari
olimpici, quali torce dell’orientamento
umano. La polarità tra astrologia e
astronomia, investigata attraverso le
antiche iconografie, si inseriva del
resto nel più generale problema
dell’orientamento su cui fondava la sua
ragion d’essere la Biblioteca.
Dopo la morte di Warburg, nel 1929, Saxl
divenne l’erede del labirinto, insieme a
Gertrud Bing, che avrebbe diretto
l’Istituto dal 1955 al 1959, prima che
l’onore e l’onere toccassero allo stesso
Gombrich. Le memorie di Saxl sulla
Biblioteca ricostruiscono in maniera
lineare le vicende che portarono al
trasferimento da Amburgo a Londra. La
scalata della NSDAP forzò la ricerca di
interlocutori all’estero. Edgar Wind,
che dal 1928 era membro dell’Istituto
fondato attorno alla
Kulturwissenschaftliche Bibliothek
Warburg, individuò gli agganci utili in
Inghilterra e nel 1933 i libri di
Warburg giunsero a Londra, con le
movenze di un evento eccezionale: «Un
giorno arrivò sul Tamigi una nave con
seicento casse di libri, scaffali
metallici, leggii, apparecchiature per
rilegare, strumenti fotografici,
eccetera. La Biblioteca occupava oltre
novecento metri quadrati» (Saxl 1983, p.
328). I libri, nel frattempo, erano
diventati 60.000.
La collezione Warburg fu collocata in
Thames House, in una sede di grandi
uffici a Millbank che nel 1933
presentava ancora degli spazi vuoti. I
fondi furono assicurati, come ricordava
Saxl, da Samuel Courtauld e dal ramo
americano della famiglia Warburg. Nel
1936 la London University accolse
l’Istituto Warburg, insieme al suo
ciclopico ensemble di libri e
attrezzature, impegnandosi a ospitarlo
fino al 1943. L’inglobamento ufficiale
da parte dell’Ateneo londinese, aggiunse
Gombrich, fu decretato il 28 novembre
1944: la Biblioteca Warburg, che aveva
sopportato i colpi dei bombardamenti
tedeschi, trovò la sua nuova identità.
Un’identità necessaria, pur considerando
la natura assolutamente incerta di Aby
Warburg nel consesso degli ambienti
culturali, come ha ribadito Kurt W.
Forster in Il metodo di Aby Warburg:
«Anziché intraprendere la carriera
universitaria, aveva scelto
coerentemente di ritirarsi a una vita da
studioso indipendente, forse perché la
sua idea di una scienza delle immagini
trovava accoglienza assai più
nell’ambito delle sue intuizioni che
nella storia dell’arte ufficiale, per
come egli l’aveva conosciuta in
accademia» (Forster 2022, p. 20).
La mancanza di una specifica pressione
accademica faceva inoltre sì che i suoi
pensierisi manifestassero attraverso
frammenti, dal momento che egli non era
costretto a dare una rappresentazione
omogenea della sua visione e del suo
impianto metodologico. Warburg esitava a
dare una forma risolta, a concludere ciò
che aveva iniziato, come sarebbe
fatalmente accaduto con l’Atlante
Mnemosyne, impresa rimasta
incompiuta per la sua scomparsa.
Proprio il suo esprimersi per frammenti
sembra essere ancillare dello sguardo di
Warburg sull’insieme delle discipline
culturali. Uno sguardo che, nel bilancio
operato da Forster, diventa metodo, pur
rinunciando a tale incombenza, nel
presentarsi come “formidabile
incompiuto, i cui fili strappati possono
intrecciarsi sempre in nessi ulteriori”.
Non solo nell’opera, ma anche nella
stesura della Biblioteca Warburg, torna
l’idea di un intreccio fervido, incline
a procreare nessi ulteriori, a totale
appannaggio del visitatore, ben oltre le
quattro categorie principali attorno
alle quali s’imperniava la “legge del
buon vicino”. Mnemosyne era del resto il
motto che campeggiava all’ingresso della
Biblioteca Warburg, un filo della
memoria esito innanzitutto dell’unicità
della concezione di Warburg, destinato
tuttavia a perpetuarsi e incrociarsi con
il mondo accademico ufficiale, perfino
nella genesi di un Istituto.
Riferimenti bibliografici:
Wolfram Eilenberger,
Il tempo degli stregoni. 1919-1929.
Le vite straordinarie di quattro
filosofi e l’ultima rivoluzione del
pensiero,
Feltrinelli, Milano 2018.
Ernst H. Gombrich,
Aby Warburg.
Una biografia intellettuale,
Abscondita, Milano 2018.
Fritz Saxl,
La storia della Biblioteca Warburg
(1886-1944)
in
Aby Warburg. Una biografia
intellettuale,
Feltrinelli, Milano 1983, pp.
315-329.
Guglielmo Bilancioni,
Aby Warburg, il gran signore del
labirinto. A proposito dell’edizione
italiana di Ernst Gombrich,
Aby Warburg. Una biografia
intellettuale
(da “il Manifesto”, 15 gennaio 1984)
in
La Rivista di Engramma Raccolta, nn.
34-37, anno 2004,
pp. 83-85, Edizioni Engramma,
Venezia 2019.
Aby Warburg,
Per Monstra ad Sphaeram,
Abscondita, Milano 2014.
Kurt W. Forster,
Il metodo di Aby Warburg. L’antico
dei gesti, il futuro della memoria,
Engramma Saggi, Ronzani Editore,
Venezia 2022.