Bernardino Verro, STORIA DI UN
sindaco
Letteratura e mafia
di
Francesco Graziano
Nelle prime pagine del bel romanzo
di Michele Rondelli Testimoni
sepolti viene citato un
personaggio vissuto nei primi anni
del XX Secolo, che ai più è
sconosciuto, ma che ha lottato fino
all’ultimo respiro per affermare gli
ideali di libertà e di giustizia di
cui ogni italiano onesto, che
provenga dal Trentino o da un
paesino sperduto della Sicilia,
sente il bisogno di diffondere nel
proprio piccolo pezzo di realtà che
lo circonda, ci stiamo riferendo a
Bernardino Verro. Alla maggioranza
delle persone questo nome non dirà
nulla, a parte ai siciliani imbevuti
di storicismo; orbene Verro è stato
il primo sindaco socialista di
Corleone (“Negli ultimi anni di
ginnasio e nei primi due di liceo
tutto sembrava filare liscio nella
mia vita: studiavo, tornavo a casa a
Corleone per le vacanze e ad
attendermi c’era mia madre, mio
padre raramente”, scrive l’autore
nella prima pagina del libro).
Anche chi – legittimamente – di
mafia non si è mai occupato,
soprattutto quelli con qualche anno
in più sulle spalle, sanno bene
grazie ai cronisti (il protagonista
Ruggero De Robertis non a caso di
mestiere è un giornalista) cosa
hanno significato per l’Italia
intera gli anni delle stragi, non
solo quelle di Capaci e via
d’Amelio, ma tutte quelle che per
più di vent’anni- a partire da
quella di Viale Lazio del dicembre
del ’69- hanno insaguinato il Paese
fino a sfociare nel Maxi Processo o
“ Processone” celebrato a Palermo e
messo in piedi da Giovanni Falcone e
dal pool antimafia dopo le
rivelazioni di Tommaso Buscetta.
Bernardino Verro fu tra i primi ad
aver capito cos’era
quell’organizzazione criminale
verticistica con dei capi e gregari
successivamente ribattezzata Cosa
Nostra e lottò come un matto per
sconfiggerla; non perché fosse un
‘eroe’ ma perché era semplicemente
una persona normale.
Fin dalla fine dell’Ottocento a
Corleone c’era un sistema mafioso
che stava in piedi grazie allo
sfruttamento del più forte sul più
debole e soprattutto grazie alla
paura di quest’ultimo a ribellarsi.
Bernardino Verro e i suoi amici
avevano fondato il circolo
repubblicano-socialista “La Nuova
Età” e nel giro di un paio di mesi
erano riusciti a diventare
antipatici al capo dei “fratuzzi” di
Corleone Don Piddu Battaglia. Il
nove settembre nacque il Fascio
contadino. Come Placido Rizzotto
anche Verro esortava i contadini a
ribellarsi e tutto ciò naturalmente
non poteva essere accettato. I
campieri, i gabelloti costituivano
l’organizzazione della mafia del
feudo. Quando all’alba nelle piazze
ci si radunava sperando di essere
scelti per andare a lavorare nei
campi erano loro che decidevano chi
avrebbe lavorato e chi no. Un vero
e proprio mercato delle braccia
composto da disperati .
Questi gabelloti mafiosi erano
chiamati “fratuzzi” di cui abbiamo
notizie certe in Sicilia della loro
presenza fin dall’ultimo decennio
dell’Ottocento. Il capo dei
“fratuzzi” all’inizio cercò di
avvicinarsi a Verro con le buone
attraverso dei suoi collaboratori
che fingevano di vederlo di buon
occhio e “ ne impedirono
l’assassinio voluto dai proprietari
terrieri”. L’impegno di Verro diede
i suoi frutti allorquando anche in
altri paesi dell’Isola sorsero
delle sezioni di Fasci decisi ad
attuare una rivendicazione seria e
concreta contro lo sfruttamento dei
padroni. Riunitisi a Corleone il 30
luglio del 1893 le sezioni dei Fasci
della provincia di Palermo
approvarono i “Patti di Corleone”,
quasi una sorta di contratto
sindacale ante litteram il quale
voleva arrivare – tale contratto- a
qualcosa di straordinario- ovvero da
sfruttati i contadini volevano
riunirsi per non subire più le
pretese assurde dei padroni.
Purtroppo l’intervento del Governo
Crispi portò al disfacimento del
Fascio di Corleone avvenuto il 17
gennaio del 1894 quando venne
sciolto per decreto e i capi dei
Fasci arrestati, processati e
condannati dai tribunali militari.
Verro venne condannato a dodici anni
e poté rientrare a Corleone
solamente il 16 marzo 1896 grazie
all’amnistia concessa dal Governo Di
Rudinì chiamato a sostituire Crispi
dopo la disfatta di Adua. Le
agitazioni contadine ripresero con
vigore e questa volta Verro dovette
scappare negli Stati Uniti da dove
ritornò solo con l’avvento
dell’esecutivo di Giovanni Giolitti
la cui impronta liberale diede il
via ad una stagione di maggiore
impegno politico. Dopo l’ottimo
risultato ottenuto alle elezioni del
1899 grazie al quale poté entrare in
consiglio comunale il Nostro
continuava attraverso un giornale –
“Lu Viddanu” – ed una penna usata
come un fucile ad attaccare i
mafiosi della peggior specie. Spesso
il giornale di Verro venne portato
in tribunale ma eccetto che per una
volta, mai ricevette una condanna
per i suoi articoli grazie a
“sentenze di non luogo a procedere”.
Molte cose successero nella vita di
questo che fu uno dei primi uomini
che si batterono contro la mafia
fino al 26 luglio del ’14 quando
divenne il primo sindaco socialista
di Corleone con la consapevolezza
che “la mafia non potendo vincermi
con altri mezzi finirà con il
sopprimermi”; purtroppo l’amara
predizione si avverò il 3 novembre
del 1915 quando fu vittima di un
agguato da parte di alcuni sicari
che con quattro colpi alla nuca
posero fine alla vita di questo
politico che in un contesto dove a
regnare sovrana era l’omertà non
aveva paura, nei suoi furiosi
comizi, di lanciare strali contro i
primi cittadini di Corleone
colpevoli a suo modo di aver reso –
come disse una volta – “questo paese
la Cassazione della mafia”. Teniamo
sempre viva la memoria perché chi ha
il potere è il più anarchico di
tutti e se gli si lascia campo
libero farà ciò che vuole. Questa è
la lezione che Verro e non solo – a
parere di chi scrive – ha voluto
lasciarci in eredità anche a costo
della vita. Testimoni sepolti
inizia la narrazione proprio durante
quell’anno fatale: il 1915.
Riferimenti bibliografici:
Michele
Rondelli, Testimoni sepolti,
Ianieri Edizioni, Pescara 2022.
ASPA, Gabinetto 1906-1925, b.267, fc.3
Omicidio Bernardino Verro.
Adolfo Rossi, L’agitazione in
Sicilia, La Zisa, Palermo 1988,
pp. 78-79.
AnselmoNonuccio, Corleone.
Novecento, Vol. 1, Palladium,
Corleone,1998, pp. 68-69.
Fondo Renda, b. 2 fc 2, Archivio
Istituto Gramsci Palermo.