[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

N° 154 / OTTOBRE 2020 (CLXXXV)


moderna

Vita e opere di Bernardino Ochino
esule e riformatore

di Enrico Targa

 

Riformatore, predicatore e scrittore (Siena 1487 - Slavkov, Moravia, 1564), Bernardino Ochino, dopo essere stato generale dei Cappuccini (fino al 1538), si avvicinò al luteranesimo. Chiamato a Roma per fornire spiegazioni sulla propria ortodossia, riparò a Ginevra dove entrò in contatto con Calvino (1542); perseguitato per le sue posizioni radicali anche dai protestanti, fu infine costretto a rifugiarsi in Moravia. Moltissime le sue opere, divenute oggi estremamente rare, nel Cinquecento, tradotte in latino, in francese, in tedesco e in inglese.

 

Nato nella contrada cittadina dell’Oca (donde il nome) dal barbiere Domenico Tommasini, spinto da una ardente vocazione religiosa entrò nell’Osservanza. Maestro di medicina a Perugia (verso il 1510), studioso di teologia e filosofia, passato fra i Cappuccini (1534) ne fu generale dal 1538 al 1542.

 

Predicatore ammiratissimo in molte città d’Italia, la sua predicazione si ispirava alla pietà francescana di derivazione bonaventuriana e si incentrava sulla passione e il beneficio di Cristo e condannava gli sfarzi mondani di chierici e laici con accenti savonaroliani, suscitò ben presto i sospetti della gerarchia ecclesiastica per la sempre crescente adesione alla teoria luterana della giustificazione per la sola fede, che aveva conosciuto a Napoli (1536) nel circolo di Juan de Valdés.

 

Dal punto di vista dottrinario è importante chiarire i rapporti tra la spiritualità di Juan de Valdés e quella di Ochino. A questo proposito resta valida l’intuizione di Delio Cantimori (1929) che suggeriva di cercare in Italia, nei complessi fermenti che la attraversavano, nelle matrici umanistiche platoniche, savonaroliane, le radici di quelle inquietudini radicali che Ochino visse e interpretò in modo paradigmatico. Sarebbe, infatti, impreciso e deformante ridurre il suo pensiero solo alle dottrine della riforma tedesca e svizzera (che pure resta punto di riferimento storicamente e istituzionalmente insostituibile), appiattendolo sulla teologia riformata, su libri e dottrine d’Oltralpe.

 

Lo spiritualismo di natura alumbrada di Valdés caratterizza la produzione ochiniana degli anni Trenta e il suo tono pedagogico, ripreso dall’Alfabeto cristiano dell’esule spagnolo. Un atteggiamento nel quale si fonda quel «predicare Christo mascherato in gergo» (Rozzo, 1985, p. 123) di cui lo stesso Ochino avrebbe parlato più volte dal suo rifugio svizzero, svelando apertamente uno dei principi della sua predicazione. Maschera e gergo da intendersi non soltanto come strumento di cautela e di prudenza, di nicodemismo opportunistico, ma piuttosto come strategia della persuasione fondata su quella destrezza che lo stesso Valdés aveva teorizzato e praticato, su un gradualismo raffinato e paziente, denso di valenze esoteriche, avverso a rotture clamorose e per questo contrastato da Lutero, da Calvino e da Zwingli.

 

Dopo essersi trasferito da Venezia a Verona, nel 152 venne raggiunto da una lettera del cardinal nipote Alessandro Farnese il quale lo invitava a presentarsi a Roma davanti al neo costituto tribunale del Sant’Uffizio per rendere conto delle posizioni assunte i suoi sermoni. In cammino verso Roma, Ochino giunse a Firenze dove incontrò Pietro Martire Vermigli il quale lo persuase ad andare a Roma dove l’attendeva un’Inquisizione la cui istituzione e composizione originaria rivelavano non solo un mutamento dei rapporti di forza tra intransigenti e spirituali nella curia romana, ma anche la ridefinizione di un nuovo equilibrio fra i due schieramenti che implicava il soffocamento delle voci di rinnovamento più radicali e maggiormente disposte al dialogo con il mondo protestante come quella di Ochino.

 

Grazie ad Ascanio Colonna e al cardinale Ercole Gonzaga che gli fornirono un cavallo potè raggiungere la città calvinista di Ginevra inziando così una nuova via a 55 anni. La fuga di Ochino generò turbamento nel mondo ecclesiastico italiano e fra quei laici che lo avevano innalzato a modello di fede e di virtù cattoliche. Il cardinale Gian Pietro Carafa, che paragonò la sua apostasia alla caduta di Lucifero, gli scrisse una lettera per convincerlo a ritornare sui suoi passi, ma venne attaccato con un cartello di sfida nel gennaio 1543.

 

Durante l’esilio scrisse il libello antipapale intitolato Imagine de Antechristo (10 ottobre 1542), destinato a larga circolazione europea, e la prima raccolta di 20 Prediche in cui l’impianto tendenzialmente calvinista conviveva con aspetti propri della spiritualità valdesiana e con sfumature millenaristiche di derivazione gioachimita. Nell’agosto 1545, stanco dei rigida ortodossia calvinista (nel 1553 a Ginevra verrà giustiziato l’illustre medico e teologo Michele Serveto reo di aver negato il dogma della Trinità nell’opera De Trinitatis erroribus)e delle diffidenze mostrate dallo stesso Giovanni Calvino nei suoi confronti, abbandonò Ginevra per trasferirsi prima a Basilea e poi ad Augusta, ove gli venne affidato l’incarico di ministro della comunità italiana.

 

Nel 1546 pubblicò l’Espositione sopra la epistola di san Paolo alli Galati e la Risposta alle false calumnie et impie biastemmie di frate Ambrosio Catharino. Ad Augusta ebbe contatti con lo spiritualista e riformatore tedesco Caspar Schwenckfeld ma fu costretto a fuggire nuovamente quando, nel gennaio 1547, la città fu occupata dalle forze imperiali vincitrici sulle forze forze protestanti riunite nella Lega di Smalcalda.

 

Ochino grazie all’intervento dell’arcivescovo di Canterbury Thomas Creamer trovò asilo in Inghilterra dove fu nominato prebendario della Cattedrale di Canterbury migliorando notevolmente la sua situazione economica avendo ricevuto la prebende di Canterbury vita, una pensione da Edoardo VI e proprio in Inghilterra compose la sua opera principale A Tragoedie or dialogue of the uniuste usurped primacie of the Bishop of Rome (London, G. Lynne, 1549) estringendo saldi rapporti con la corte. Questo testo, scritto originariamente in latino, è presente solo nella traduzione del 1549 del vescovo John Ponet.

 

La forma dello scritto è una serie di dialoghi: Lucifero, infuriato per la diffusione del regno di Gesù, convoca i demoni in consiglio e decide di istituire il papa come anticristo. Lo stato, rappresentato dall’imperatore Foca, è persuaso a connivere all’assunzione dell’autorità spirituale del papa; le altre chiese sono intimidite all’acquiescenza. I progetti di Lucifero sembrano pienamente realizzati, quando il Cielo solleva Enrico VIII d’Inghilterra e suo figlio per il loro rovesciamento. L’ascesa al trono, nel 1553, della cattolica Maria Tudor, costrinse nuovamente l’Ochino all’emigrazione: dopo il passaggio da Strasburgo, giunse a Ginevra il 28 ottobre 1553, il giorno successivo all’esecuzione di Michele Serveto, condannato al rogo dai calvinisti per le sue dottrine antitrinitarie.

 

Per motivi lavorativi si spostò a Chiavenna e poi a Basilea finché, nel 1555, divenne pastore a Zurigo della congregazione evangelica degli emigrati di lingua italiana di Locarno i quali, a motivo dell’accordo raggiunto fra i Cantoni svizzeri che prevedevano aree urbane di unica confessione religiosa, erano stati costretti all’esilio, essendo stato stabilito che nella città di Locarno dovesse praticarsi soltanto il cattolicesimo.

 

A Zurigo visse per ben otto anni: frequentò Pietro Martire Vermigli, Lelio Sozzini, Francesco Lismanini e Isabella Bresegna. Vi compose la Disputa intorno alla presenza del corpo di Cristo nel Sacramento della Cena, i Laberinti del libero arbitrio e i Dialogi XXX. Nella Disputa sostiene che «può un huomo esser eletto, amato, grato, giusto, santo e salvo senza credere che il corpo di Cristo sia o non sia nel pane et il suo sangue nel vino», una teoria che evidenziando un’interpretazione soggettiva della vita religiosa e un diretto rapporto dell’uomo con la grazia divina, agli occhi dei riformati ortodossi equivale a svalutare, insieme con il rito sacramentale, anche l’importanza di Cristo nel processo di salvezza Ochino ormai mostrava una crescente disaffezione per l’ortodossia calvinista.

 

Le autorità di Zurigo, sostenitrici di una teoria della predestinazione assoluta che mal si conciliava con la soluzione agnostica e tollerante del problema della libertà offerta da Ochino, ormai inclinante verso lo scetticismo religioso ed esistenziale. La goccia che fece traboccare il vaso fu la stampa dei Dialogi XXX (ibid., 1563) senza la preliminare autorizzazione del Consiglio dei deputati di Zurigo.

 

Ochino venne espulso anche da quella città a causa delle sue posizioni in materia di Trinità e di matrimonio, in quanto tendenziosamente accusato di difendere la poligamia. Invitato da Francesco Limanini, un francescano convertito al protestantesimo confessore di Bona Sforza, la madre del re polacco Sigismondo II Augusto, con i quattro figli raggiunse Cracovia, città nella quale vi erano altri antitrinitari, come Lelio Sozzini e Giorgio Biandrata, ai primi del 1564, e in primavera predicò alla comunità protestante italiana.

 

Il 7 agosto fu promulgato l’editto reale che, ispirato dal nunzio pontificio Giovanni Francesco Commendone, bandiva dal paese tutti gli stranieri non cattolici, a esclusione dei tedeschi, da tempo integrati in Polonia. Decise di dirigersi in Transilvania, un principato retto da Giovanni Sigismondo Zapolya (Giovanni II d’Ungheria), parente per parte materna del re polacco Sigismondo e di Bona Sforza, i cui feudatari, i Voivodi, vassalli dell’Impero ottomano, tolleravano tutte le confessioni religiose proprio perché la varietà delle popolazioni soggette esprimevano, oltre a diverse lingue e tradizioni, differenti fedi religiose.

 

Espressione di tale tolleranza fu l’Editto di Torda che, nel 1557, aveva ufficialmente proclamato la libertà di coscienza in materia religiosa: «... perché la fede è un dono di Dio nato dal libero ascolto della parola di Dio». Costretto a fermarsi a Pinczów, in Moravia, per le cattive condizioni di salute. Trascinatosi malato fino ad Austerlitz, l’attuale Slavkov u Brna, alla fine dell’anno vi morì in casa dell’anabattista veneziano Niccolò Paruta. Le sue ultime parole sarebbero state: «Non ho mai voluto essere né un papista né un calvinista, ma solo un cristiano».

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

Bernardino Ochino, I dialogi sette e altri scritti del tempo della fuga, edizione, introduzione, e apparato iconografico a cura di Ugo Rozzo, Claudiana, Torino 1985.

Delio Cantimori, Eretici italiani del Cinquecento, Piccola Biblioteca Einaudi Ns, Firenze 2009.

Benedetto Nicolini, Bernardino Ochino e la Riforma in Italia, Riccardo Ricciardi Editori, Napoli 1935.

Michele Camaioni, Il Vangelo e l’Anticristo. Bernardino Ochino tra francescanesimo ed eresia (1487-1547), Ist. italiano per gli studi storici, Il Mulino, Bologna 2019.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]