moderna
Vita e opere
di Bernardino Ochino
esule e riformatore
di Enrico Targa
Riformatore, predicatore e scrittore
(Siena 1487 - Slavkov, Moravia, 1564),
Bernardino Ochino, dopo essere stato
generale dei Cappuccini (fino al 1538),
si avvicinò al luteranesimo. Chiamato a
Roma per fornire spiegazioni sulla
propria ortodossia, riparò a Ginevra
dove entrò in contatto con Calvino
(1542); perseguitato per le sue
posizioni radicali anche dai
protestanti, fu infine costretto a
rifugiarsi in Moravia. Moltissime le sue
opere, divenute oggi estremamente rare,
nel Cinquecento, tradotte in latino, in
francese, in tedesco e in inglese.
Nato nella contrada cittadina dell’Oca
(donde il nome) dal barbiere Domenico
Tommasini, spinto da una ardente
vocazione religiosa entrò
nell’Osservanza. Maestro di medicina a
Perugia (verso il 1510), studioso di
teologia e filosofia, passato fra i
Cappuccini (1534) ne fu generale dal
1538 al 1542.
Predicatore ammiratissimo in molte città
d’Italia, la sua predicazione si
ispirava alla pietà francescana di
derivazione bonaventuriana e si
incentrava sulla passione e il beneficio
di Cristo e condannava gli sfarzi
mondani di chierici e laici con accenti
savonaroliani, suscitò ben presto i
sospetti della gerarchia ecclesiastica
per la sempre crescente adesione alla
teoria luterana della giustificazione
per la sola fede, che aveva conosciuto a
Napoli (1536) nel circolo di Juan de
Valdés.
Dal punto di vista dottrinario è
importante chiarire i rapporti tra la
spiritualità di Juan de Valdés e quella
di Ochino. A questo proposito resta
valida l’intuizione di Delio Cantimori
(1929) che suggeriva di cercare in
Italia, nei complessi fermenti che la
attraversavano, nelle matrici
umanistiche platoniche, savonaroliane,
le radici di quelle inquietudini
radicali che Ochino visse e interpretò
in modo paradigmatico. Sarebbe, infatti,
impreciso e deformante ridurre il suo
pensiero solo alle dottrine della
riforma tedesca e svizzera (che pure
resta punto di riferimento storicamente
e istituzionalmente insostituibile),
appiattendolo sulla teologia riformata,
su libri e dottrine d’Oltralpe.
Lo spiritualismo di natura alumbrada di
Valdés caratterizza la produzione
ochiniana degli anni Trenta e il suo
tono pedagogico, ripreso dall’Alfabeto
cristiano dell’esule spagnolo. Un
atteggiamento nel quale si fonda quel
«predicare Christo mascherato in gergo»
(Rozzo, 1985, p. 123) di cui lo stesso
Ochino avrebbe parlato più volte dal suo
rifugio svizzero, svelando apertamente
uno dei principi della sua predicazione.
Maschera e gergo da intendersi non
soltanto come strumento di cautela e di
prudenza, di nicodemismo opportunistico,
ma piuttosto come strategia della
persuasione fondata su quella destrezza
che lo stesso Valdés aveva teorizzato e
praticato, su un gradualismo raffinato e
paziente, denso di valenze esoteriche,
avverso a rotture clamorose e per questo
contrastato da Lutero, da Calvino e da
Zwingli.
Dopo essersi trasferito da Venezia a
Verona, nel 152 venne raggiunto da una
lettera del cardinal nipote Alessandro
Farnese il quale lo invitava a
presentarsi a Roma davanti al neo
costituto tribunale del Sant’Uffizio per
rendere conto delle posizioni assunte i
suoi sermoni. In cammino verso Roma,
Ochino giunse a Firenze dove incontrò
Pietro Martire Vermigli il quale lo
persuase ad andare a Roma dove
l’attendeva un’Inquisizione la cui
istituzione e composizione originaria
rivelavano non solo un mutamento dei
rapporti di forza tra intransigenti e
spirituali nella curia romana, ma anche
la ridefinizione di un nuovo equilibrio
fra i due schieramenti che implicava il
soffocamento delle voci di rinnovamento
più radicali e maggiormente disposte al
dialogo con il mondo protestante come
quella di Ochino.
Grazie ad Ascanio Colonna e al cardinale
Ercole Gonzaga che gli fornirono un
cavallo potè raggiungere la città
calvinista di Ginevra inziando così una
nuova via a 55 anni. La fuga di Ochino
generò turbamento nel mondo
ecclesiastico italiano e fra quei laici
che lo avevano innalzato a modello di
fede e di virtù cattoliche. Il cardinale
Gian Pietro Carafa, che paragonò la sua
apostasia alla caduta di Lucifero, gli
scrisse una lettera per convincerlo a
ritornare sui suoi passi, ma venne
attaccato con un cartello di sfida nel
gennaio 1543.
Durante l’esilio scrisse il libello
antipapale intitolato Imagine de
Antechristo (10 ottobre 1542),
destinato a larga circolazione europea,
e la prima raccolta di 20 Prediche in
cui l’impianto tendenzialmente
calvinista conviveva con aspetti propri
della spiritualità valdesiana e con
sfumature millenaristiche di derivazione
gioachimita. Nell’agosto 1545, stanco
dei rigida ortodossia calvinista (nel
1553 a Ginevra verrà giustiziato
l’illustre medico e teologo Michele
Serveto reo di aver negato il dogma
della Trinità nell’opera De
Trinitatis erroribus)e delle
diffidenze mostrate dallo stesso
Giovanni Calvino nei suoi confronti,
abbandonò Ginevra per trasferirsi prima
a Basilea e poi ad Augusta, ove gli
venne affidato l’incarico di ministro
della comunità italiana.
Nel 1546 pubblicò l’Espositione sopra
la epistola di san Paolo alli Galati e
la Risposta alle false calumnie et impie
biastemmie di frate Ambrosio Catharino.
Ad Augusta ebbe contatti con lo
spiritualista e riformatore tedesco
Caspar Schwenckfeld ma fu costretto a
fuggire nuovamente quando, nel gennaio
1547, la città fu occupata dalle forze
imperiali vincitrici sulle forze forze
protestanti riunite nella Lega di
Smalcalda.
Ochino grazie all’intervento
dell’arcivescovo di Canterbury Thomas
Creamer trovò asilo in Inghilterra dove
fu nominato prebendario della Cattedrale
di Canterbury migliorando notevolmente
la sua situazione economica avendo
ricevuto la prebende di Canterbury vita,
una pensione da Edoardo VI e proprio in
Inghilterra compose la sua opera
principale A Tragoedie or dialogue of
the uniuste usurped primacie of the
Bishop of Rome (London, G. Lynne,
1549) estringendo saldi rapporti con la
corte. Questo testo, scritto
originariamente in latino, è presente
solo nella traduzione del 1549 del
vescovo John Ponet.
La forma dello scritto è una serie di
dialoghi: Lucifero, infuriato per la
diffusione del regno di Gesù, convoca i
demoni in consiglio e decide di
istituire il papa come anticristo. Lo
stato, rappresentato dall’imperatore
Foca, è persuaso a connivere
all’assunzione dell’autorità spirituale
del papa; le altre chiese sono
intimidite all’acquiescenza. I progetti
di Lucifero sembrano pienamente
realizzati, quando il Cielo solleva
Enrico VIII d’Inghilterra e suo figlio
per il loro rovesciamento. L’ascesa al
trono, nel 1553, della cattolica Maria
Tudor, costrinse nuovamente l’Ochino
all’emigrazione: dopo il passaggio da
Strasburgo, giunse a Ginevra il 28
ottobre 1553, il giorno successivo
all’esecuzione di Michele Serveto,
condannato al rogo dai calvinisti per le
sue dottrine antitrinitarie.
Per motivi lavorativi si spostò a
Chiavenna e poi a Basilea finché, nel
1555, divenne pastore a Zurigo della
congregazione evangelica degli emigrati
di lingua italiana di Locarno i quali, a
motivo dell’accordo raggiunto fra i
Cantoni svizzeri che prevedevano aree
urbane di unica confessione religiosa,
erano stati costretti all’esilio,
essendo stato stabilito che nella città
di Locarno dovesse praticarsi soltanto
il cattolicesimo.
A Zurigo visse per ben otto anni:
frequentò Pietro Martire Vermigli, Lelio
Sozzini, Francesco Lismanini e Isabella
Bresegna. Vi compose la Disputa
intorno alla presenza del corpo di
Cristo nel Sacramento della Cena, i
Laberinti del libero arbitrio e i
Dialogi XXX. Nella Disputa
sostiene che «può un huomo esser eletto,
amato, grato, giusto, santo e salvo
senza credere che il corpo di Cristo sia
o non sia nel pane et il suo sangue nel
vino», una teoria che evidenziando
un’interpretazione soggettiva della vita
religiosa e un diretto rapporto
dell’uomo con la grazia divina, agli
occhi dei riformati ortodossi equivale a
svalutare, insieme con il rito
sacramentale, anche l’importanza di
Cristo nel processo di salvezza Ochino
ormai mostrava una crescente
disaffezione per l’ortodossia
calvinista.
Le autorità di Zurigo, sostenitrici di
una teoria della predestinazione
assoluta che mal si conciliava con la
soluzione agnostica e tollerante del
problema della libertà offerta da Ochino,
ormai inclinante verso lo scetticismo
religioso ed esistenziale. La goccia che
fece traboccare il vaso fu la stampa dei
Dialogi XXX (ibid., 1563) senza la
preliminare autorizzazione del Consiglio
dei deputati di Zurigo.
Ochino venne espulso anche da quella
città a causa delle sue posizioni in
materia di Trinità e di matrimonio, in
quanto tendenziosamente accusato di
difendere la poligamia. Invitato da
Francesco Limanini, un francescano
convertito al protestantesimo confessore
di Bona Sforza, la madre del re polacco
Sigismondo II Augusto, con i quattro
figli raggiunse Cracovia, città nella
quale vi erano altri antitrinitari, come
Lelio Sozzini e Giorgio Biandrata, ai
primi del 1564, e in primavera predicò
alla comunità protestante italiana.
Il 7 agosto fu promulgato l’editto reale
che, ispirato dal nunzio pontificio
Giovanni Francesco Commendone, bandiva
dal paese tutti gli stranieri non
cattolici, a esclusione dei tedeschi, da
tempo integrati in Polonia. Decise di
dirigersi in Transilvania, un principato
retto da Giovanni Sigismondo Zapolya
(Giovanni II d’Ungheria), parente per
parte materna del re polacco Sigismondo
e di Bona Sforza, i cui feudatari, i
Voivodi, vassalli dell’Impero ottomano,
tolleravano tutte le confessioni
religiose proprio perché la varietà
delle popolazioni soggette esprimevano,
oltre a diverse lingue e tradizioni,
differenti fedi religiose.
Espressione di tale tolleranza fu
l’Editto di Torda che, nel 1557, aveva
ufficialmente proclamato la libertà di
coscienza in materia religiosa: «...
perché la fede è un dono di Dio nato dal
libero ascolto della parola di Dio».
Costretto a fermarsi a Pinczów, in
Moravia, per le cattive condizioni di
salute. Trascinatosi malato fino ad
Austerlitz, l’attuale Slavkov u Brna,
alla fine dell’anno vi morì in casa
dell’anabattista veneziano Niccolò
Paruta. Le sue ultime parole sarebbero
state: «Non ho mai voluto essere né un
papista né un calvinista, ma solo un
cristiano».
Riferimenti bibliografici:
Bernardino Ochino, I dialogi sette e
altri scritti del tempo della fuga,
edizione, introduzione, e apparato
iconografico a cura di Ugo Rozzo,
Claudiana, Torino 1985.
Delio Cantimori, Eretici italiani del
Cinquecento, Piccola Biblioteca
Einaudi Ns, Firenze 2009.
Benedetto Nicolini, Bernardino Ochino
e la Riforma in Italia, Riccardo
Ricciardi Editori, Napoli 1935.
Michele Camaioni, Il Vangelo e
l’Anticristo. Bernardino Ochino tra
francescanesimo ed eresia (1487-1547),
Ist. italiano per gli studi storici, Il
Mulino, Bologna 2019. |