[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

177 / SETTEMBRE 2022 (CCVIII)


filosofia & religione

RICORDANDO BENEDETTO CROCE
I CHIAROSCURI DI UN PENSATORE
di Gaetano Cellura

Dopo Vico, la filosofia parve morta in Italia; e se non proprio morta, certamente inaridita. Se ne poteva attribuire la causa alla lealtà degli italiani alla Chiesa e alla teologia cattolica, a cui anche Benedetto Croce fu educato finché gli interessi filosofici ne presero arditamente il posto.

Scriverà nell’Estetica, nella “sua stupenda Estetica” per dirla con Borges, che la filosofia toglie alla religione ogni ragione di esistere perché la considera “un fenomeno, un fatto storico transitorio, una condizione psichica superabile”. E voterà contro il Concordato sia nel 1929 che all’Assemblea Costituente.

Piero Gobetti, il quale non sopravvisse alle bastonate dei fascisti, poté prendere in esame i primi trent’anni dell’attività culturale di Croce. E scrisse su Rivoluzione liberale che l’autore dell’Estetica “dopo gli infelici tentativi del Risorgimento, è stato il più perfetto tipo europeo espresso dalla nostra cultura”.

Amante in pari misura della poesia, della filosofia e della storia; critico letterario e prosatore di elevata statura; antidannunziano infaticabile, Croce – di cui a novembre 2022 ricorre il settantesimo anniversario della morte – è personaggio assai noto e venerato (dalla gioventù italiana in specie) per raccontarne qui l’intera vita, valutarne l’intera opera e anche l’impegno politico. Brevemente si può dire che fu senatore e Ministro della Pubblica Istruzione; contrario alla prima guerra mondiale nella quale vedeva il suicidio dello spirito europeo; oppositore del fascismo dopo averlo nei primi tempi indulgentemente sostenuto; favorevole alla monarchia ritenendola, da liberale conservatore, il principale baluardo, dopo l’8 Settembre, all’avanzata del comunismo in Italia.

A Pompei incontrò Maria Josè di Savoia. E in quel luogo lontano da ogni sospetto e da ogni clamore parlarono dell’Italia e del fascismo. Poi la principessa gli chiese cosa pensavano gli italiani della monarchia. Croce rispose che lo spirito monarchico non era spento, ma che per farlo divampare occorreva un gesto risoluto: le dimissioni di Vittorio Emanuele III.

Con la caduta del fascismo la sua casa di Napoli divenne “casa aperta” (come la chiamerà suo genero: lo scrittore Gustaw Herling): aperta agli ufficiali americani, ai funzionari dello Stato e ai corrispondenti di guerra che gli chiedevano lumi sulla difficile situazione italiana. E c’era chi lo vedeva come primo Presidente del Consiglio della nuova Italia.

Era stata la lettura della Storia d’Europa nel secolo decimonono, pubblicata dal suocero nel 1932, a educare Herling alla crociana “religione della libertà”. “Religione” atea. Libertà come ideale morale, senza Dio. Libro prontamente messo all’Indice dalla Chiesa.

All’Università di Roma, tanti anni prima, Croce aveva conosciuto il professore Antonio Labriola che provò ad avviarlo allo studio del materialismo marxista. Ma pur apprezzando questa teoria, Benedetto si tenne lontano dal riconoscerla come una filosofia adulta. Poiché per lui non esisteva altra filosofia che quella dello spirito, dello studio dell’universo astratto e del “concetto puro” come pensiero da applicare a ogni realtà. Questo vuol dire che ogni idea doveva essere ideologica il più possibile e che la teoria doveva prevalere sulla pratica negli aspetti della vita. Una filosofia per Will Durant, autore dell’opera Gli eroi del pensiero, più propensa a confutare che a conchiudere. E chiara “come una notte senza stelle”.

Giudizio negativamente uguale a quello di Gaetano Salvemini. Che confessa, con dolore ma senza vergogna, di non aver capito nulla della filosofia di Croce. E di ritenerne astratto l’ideale di libertà, esistito soltanto nella sua mente.

Il filosofo napoletano, napoletano d’elezione essendo nato a Pescasseroli, fu talmente influenzato dal primato dell’estetica da vedere la storia come un’opera d’arte. Ridusse la distanza tra il liberalismo e la democrazia, che in un primo momento riteneva inconciliabili, ma così facendo lo separò dal liberismo economico. Il che portò il suo pensiero politico su posizioni ambigue.

La sua più importante opera politica è Etica e politica. In cui contesta sì l’idea dello Stato etico di Gentile (con cui nel 1903 aveva dato vita alla rivista La Critica): ma resta persuaso che la “mera politica” non può non essere elevata all’etica. In sostanza, per quel che se ne capisce, no allo Stato etico ma pure a uno Stato privo di etica. Perché si ridurrebbe nel pensiero di Croce a uno Stato senza un suo valore e significato di cultura, a semplice cura dei rapporti sociali, a sola “sintesi di forza e consenso, di autorità e libertà”.

Definì la Destra Storica che risanò le finanze del giovane Regno d’Italia un’aristocrazia spirituale di uomini integri e leali. Completamente opposto e quasi senza appello invece il suo giudizio su Crispi. Il cui periodo di governo ritenne “disastroso, una battuta d’arresto nel normale sviluppo in senso liberale del paese” (da Storia d’Italia 1861-1969 di Denis Mack Smith).

Tra le critiche che gli vengono mosse, oltre a quelle (già dette) d’una certa oscurità riguardo al pensiero filosofico, una è riferita al suo lusinghiero giudizio politico su Giolitti. Come altri liberali che insieme a lui collaborarono con lo statista piemontese, Croce scambiò il benessere personale con quello del paese. Sull’orlo invece della rivoluzione sociale.

La seconda critica sa proprio di vera accusa. A Croce non viene perdonato di non aver fatto valere la propria autorità culturale e morale per ostacolare l’ascesa del fascismo al potere. Sbagliò a ritenerlo, ancora a distanza di tempo e dopo la sua caduta, “uno smarrimento di coscienza, una depressione civile e un’ubriacatura prodotta dalla guerra”. Per lui il fascismo era un fenomeno venuto da fuori e dal Nord sceso nel sud Italia, senza un programma politico e dunque destinato a esaurirsi in poco tempo. Solo dopo l’omicidio di Matteotti si rese finalmente conto dei suoi errori di valutazione politica.

Nel 1938 si oppose alle Leggi razziali. Ma aveva prima suscitato scandalo presso gli antifascisti il suo gesto di donare alla patria la medaglietta di senatore per la “Giornata della fede” durante la guerra d’Etiopia.

Croce non ricoprì alcuna carica accademica. La sua influenza nel mondo della cultura fu tuttavia enorme. Alcuni lo consideravano un papa laico; altri un re-filosofo senza corona. Per Emilio Cecchi, con l’Estetica di Croce inizia quel nuovo cammino che farà ritrovare alla cultura italiana i suoi “legami vitali con De Sanctis e con Vico”.

Negli ultimi tempi si vedeva don Benedetto uscire di casa, con il bastoncino, per recarsi spesso nelle librerie antiquarie. Era molto amato. E quando morì quasi tutta Napoli partecipò al suo funerale.

Dieci anni prima, ed era tempo di guerra, risvegliatosi dopo la mezzanotte, il filosofo si chiedeva «Perché non possiamo non dirci “cristiani”», che diventerà il titolo di un suo breve scritto nei Taccuini di lavoro. E si pensò che la sensibilità cattolica della moglie avesse a un certo punto influito su di lui, facendogli riconsiderare le agnostiche convinzioni.

Ma il termine “cristiani” posto tra virgolette e soprattutto la risposta di Croce fugano ogni dubbio. Non possiamo non dirci cristiani perché sostanzialmente il Cristianesimo è la più grande rivoluzione nella storia dell’umanità. Nulla nelle epoche storiche regge il confronto con la sua vittoria, non solo spirituale. Nulla per Croce aveva la capacità, all’infuori dei principi cristiani, di contrastare il neopaganesimo nazista e l’ateismo comunista. 

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]