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N. 38 - Febbraio 2011 (LXIX)

Zine El-Abidine Ben AlI
STORIA DI UN DESPOTA

di Francesca Zamboni

 

Ben Ali Zine el-Abidine nacque ad Hammam-Susa il 3 settembre 1936, militare ed uomo politico, divenne Ministro della Sicurezza nazionale del Presidente Bourguiba nel 1978 e dal 1980 al 1984 ricoprì la carica di ambasciatore in Polonia.

 

Il 1° ottobre 1987 divenne Primo Ministro e nel novembre dello stesso anno depose Bourguiba con un colpo di stato, approfittando delle tensioni tra i cittadini islamici e dello stato di salute del Capo di Stato che, affetto dal morbo di Alzheimer, venne dichiarato mentalmente instabile e perciò non più idoneo alla vita politica.

 

Ben Ali divenne Presidente con il consenso popolare e parlamentare, contemporaneamente divenne leader del Partito Socialista Destouriano, che da quel momento prese il nome di Ressemblement Constitutionnel Démocratique (RCD).

 

Nonostante lo schieramento politico il nuovo Capo di Stato adottò inizialmente una politica di avvicinamento al movimento islamico, praticando il Ramadan e recandosi in pellegrinaggio alla Mecca. Il suo processo riformatore si rivolse immediatamente verso l’aspetto socio-economico, investendo sul capitale straniero, anche se ciò non servì a colmare una delle lacune più gravi del paese: la disoccupazione giovanile.

 

Durante il suo secondo mandato concluse, nel 1985, il trattato istitutivo dell’Unione del Maghreb Arabo. Ma i suoi programmi si posero come fine la realizzazione della liberalizzazione economica e una più profonda integrazione nell’Unione Europea.

 

Sin dal giorno della sua elezione affermò la volontà di portare avanti i progetti del suo predecessore, ovvero la tutela delle donne e la difesa del Codice dello Statuto Personale. Nel 1989 riconobbe infatti l’Association des Femmes Tunisiennes Démocrates (AFTD) e nel 1993 dette vita a una serie di riforme con cui privilegiava la posizione della donna soprattutto per quanto riguardava il ruolo di madre, a cui venivano riconosciuti vari diritti: lo status di donna emancipata qualora si fosse sposata minorenne, l’eliminazione del dovere di obbedienza nei confronti del marito e infine l’obbligo per i coniugi al rispetto reciproco.

 

Da qui altre riforme volte sempre a un maggiore rispetto per la condizione femminile sia nel settore lavorativo che in quello giuridico, basti pensare alla riduzione delle attenuanti concesse al marito in caso di omicidio della consorte per adulterio o alla legge del 1997, emanata dal Consiglio dei Ministri, che prevedeva assegni familiari per le donne a cui fosse stato dato l’affidamento dei figli. Infine la madre tunisina, che volesse trasmettere la propria nazionalità al figlio nato fuori dal paese e da padre straniero, ne ottenne la possibilità sempre con l’accordo dell’uomo.

 

Nonostante questa serie di riforme, che sembravano avere migliorato ulteriormente la condizione femminile, il legame alle tradizioni rimase forte; la donna restava sempre sottomessa e vittima di una realtà sociale che stenta ancora a evolversi totalmente.

 

Se pensiamo alle leggi in materia di successione, all’utilizzo della dote e al consenso finale del marito per ogni tipo di decisione, ci rendiamo conto che la donna ha raggiunto uno stato di emancipazione solo apparentemente o perlomeno migliore rispetto ad altri paesi arabo-musulmani. Questo è il motivo per cui sono sorte molte associazioni, movimenti femministi, organizzazioni femminili e autonome, a cui sono stati lasciati spazi idonei per un’ampia libertà di espressione.

 

Tuttavia la questione politica e sociale si era dimostrata molto delicata e precaria sin dal 1989 quando Ben Alì, unico candidato alle elezioni generali del 2 aprile, ottenne il 99, 27% dei voti. Tuttavia il 14% dei voti ottenuto dalle liste indipendenti, sostenute dal Movimento di Tendenza Islamica (MTI), fu sufficiente a far sì che il Presidente chiudesse i rapporti con i movimenti islamici, usando come alibi la difesa delle donne e della democrazia.

 

La situazione precipitò nel 1990-1991 durante la seconda guerra del Golfo, quando il Presidente si dichiarò neutrale e, approfittando dalla situazione irachena, riuscì a guadagnarsi credibilità. In realtà la situazione aveva una natura ben diversa, che non tardò a palesarsi. Gli islamisti non seppero destreggiarsi negli avvenimenti, non sapendo se appoggiare Saddam Hussein o i finanziatori sauditi. Inoltre Ben Alì, colpito dalla vittoria del Fronte di Salute Islamico algerino, decise di servirsi del sistema poliziesco per abbattere gli islamisti e qualsiasi forma di opposizione.

 

Molti membri del partito islamico Hezb Enhada vennero arrestati e accusati di avere ordito un complotto per assassinare il Presidente. Di questa situazione furono le donne ed esserne le vittime principali e i diritti democratici a loro favore crollarono. A subirne le conseguenze peggiori furono le mogli tunisine o amiche degli islamisti, che entrarono in una spirale fatta di persecuzione e segregazione. Molte di loro videro cambiare la loro vita fatta, da quel momento, di restrizioni, controlli e per alcune di esse venne addirittura istituito il domicilio coatto.

 

Da questa situazione è scaturito il divorzio forzato che tuttavia non ha migliorato la loro condizione, dal momento che continuano a essere vittime di persecuzioni e molestie. Quindi tra la situazione ufficiale e quella reale c’è un abisso. La donna a oggi è solo un mezzo per raggiungere obiettivi politici; i diritti femminili, raggiunti con Bourguiba, sono diventati uno strumento pretestuoso, affinché il potere possa raggiungere i suoi fini politici. Ben Alì è stato fortemente criticato dalle organizzazioni internazionali per la sua politica forte, che ha spesso violato i diritti umani.

 

Nuovamente eletto nel 1994 e nel 1999, il Capo di Stato Tunisino ha continuato nella sua politica di liberalizzazione in accordo con gli indirizzi della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale, garantendo al paese un costante tasso di crescita pari al 5%; un dato importante se confrontato con quello degli altri pesi del Maghreb, colpiti da una forte crisi economica.

 

Durante il suo terzo mandato, precisamente nel 1997, venne introdotta la possibilità di emendare la Costituzione tramite referendum popolare così che il 26 maggio 2002 fu apportata una modifica alla Carta costituzionale, che eliminò il limite dei 3 mandati Presidenziali (le Président est riélegible).

 

Il 24 ottobre 2004 si sono svolte in Tunisia le elezioni presidenziali e politiche. Il Presidente è stato nuovamente confermato per il quarto mandato con il 94,5 % dei voti e il Raggruppamento Costituzionale Democratico ha raggiunto l’87,7% dei consensi.

 

Queste votazioni sono state ben viste dall’Unione Europea, poiché non solo gli elettori hanno potuto scegliere tra più candidati, ma anche le donne hanno ottenuto una piccola rappresentanza, grazie alla riforma elettorale. Sempre lo stesso Ben Alì ha condotto una campagna contro il velo; questa ulteriore riforma lo ha consacrato come “l’uomo del rinnovamento”.

 

Nel settembre del 2005 la Camera dei Deputati ha adottato un nuovo testo di legge che garantisce vantaggi al Presidente della Repubblica allo scadere del mandato e alla sua famiglia in caso di decesso, ponendo i figli del Capo dello Stato al di sopra della Costituzione e dell’articolo 6, che prevede il principio di uguaglianza per tutti i cittadini.

 

Tutto ciò è crollato nel 2011, quando una sollevazione popolare - senza precedenti nella Storia della moderna Tunisia - ha costretto alle dimissioni e poi alla fuga (in Arabia Saudita) l’ormai ex “innovatore”… che nel corso del proprio mandato aveva assunto un potere sempre più dai toni dittatoriali. Giorno della svolta: 14 gennaio.



 

 

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