N. 98 - Febbraio 2016
(CXXIX)
BELLUM
CATILINAE
RITRATTO
DI
CATILINA
-
PARTE
I
di
Paola
Scollo
Lucio
Sergio
Catilina
è
uno
dei
protagonisti
della
convulsa
scena
politica
di
Roma
all’epoca
delle
sanguinose
guerre
civili
della
tarda
repubblica.
Dopo
aver
militato
nell’esercito
di
Silla,
nel
68
a.C.
è
nominato
pretore,
mentre
nel
67 è
governatore
della
provincia
d’Africa.
Nel
66
viene
accusato
di
repetundae,
ossia
di
appropriazione
indebita
di
denaro
nell’esercizio
delle
pubbliche
funzioni.
Il
processo
si
svolge
l’anno
seguente
e
Catilina
è
assolto.
L’aspirazione
al
consolato
pone
Catilina
come
competitor,
avversario
politico
di
Cicerone.
Dopo
la
duplice
sconfitta
alle
elezioni
e la
definitiva
rottura
con
il
senato,
nel
63
Catilina
passa
all’azione.
Convocata
d’urgenza
una
riunione,
manifesta
l’intenzione
di
porsi
a
capo
degli
eserciti
di
Caio
Manlio
in
Etruria,
quindi
progetta
un
piano
finalizzato
alla
conquista
del
potere
e
all’uccisione
del
console
in
carica,
Cicerone.
Ma
la
congiura
(coniuratio)
viene
scoperta
e
denunciata
in
senato.
A
metà
novembre
Catilina
è
proclamato
nemico
dello
stato
(hostis):
non
è
più
civis
romano.
Cicerone
pronuncia
violenti
attacchi
sia
in
senato
sia
di
fronte
al
popolo.
Nelle
quattro
orazioni
in
Catilinam
il
capo
dei
congiurati
viene
ritratto
come
un
mostro
(monstrum
ac
prodigium):
è l’hostis
del
popolo
romano,
l’improbus
contro
cui
i
boni
devono
lottare.
Di
conseguenza,
il
compito
del
console
consiste
nel
sanare
la
patria
affetta
dal
gravissimo
morbo
(pestilentia)
dei
congiurati.
In
generale,
nell’immagine
degli
interpreti
antichi
Catilina
è
descritto
come
un
individuo
ambiguo,
spregevole
e
depravato,
un
personaggio
malvagio
e
spregiudicato
disposto
a
commettere,
per
ambizione,
stupri,
rapine,
omicidi.
E il
severo
giudizio
di
Cicerone
ha
giocato
un
ruolo
vitale
in
questo
processo
di
demonizzazione.
Anche
il
ritratto
di
Catilina
tratteggiato
da
Sallustio
nel
Bellum
Catilinae
concorda
in
molti
punti
con
l’immagine
di
Cicerone.
La
descrizione
di
Catilina
apre
la
cosiddetta
narratio,
che
fa
seguito
ai
quattro
capitoli
proemiali
del
Bellum
Catilinae.
Ecco
come
viene
presentato
il
capo
dei
congiurati
(V
1):
«Lucio
Catilina,
nato
da
nobile
stirpe
(nobili
genere
natus),
fu
uomo
di
grande
vigore
intellettuale
e
fisico
(fuit
magna
vi
et
animi
et
corporis),
ma
di
indole
malvagia
e
corrotta
(sed
ingenio
malo
pravoque)».
Sallustio
tace
il
nomen
gentilizio
di
Catilina,
Sergius,
dalla
gens
Sergia,
che
Virgilio
nell’Eneide
(V
121)
riconduce
a
Sergeste,
compagno
di
Enea.
L’allusione
alle
origini
patrizie
va
inserita
entro
la
più
ampia
cornice
della
polemica
sallustiana
nei
confronti
della
nobilitas,
incarnazione
dei
vitia.
Sin
da
queste
prime
battute
emergono
i
tratti
distintivi
dell’ethos
e
del
modus
operandi
di
Catilina.
Ma
traspare
anche
un
fitto
intreccio
di
caratteristiche
positive
e
negative.
Il
ritratto
è
percorso
da
una
profonda
tensione
drammatica
dal
sapore
euripideo,
che
lascia
presagire
l’epilogo
della
vicenda.
Catilina
viene
presentato
come
un
eroe
tragico:
è
tormentato
da
un
insanabile
conflitto
interiore,
che
condiziona
i
suoi
comportamenti.
L’irrequietezza
d’animo
si
lega
a
una
naturale
predisposizione
verso
il
male
(V
2):
«Sin
dall’adolescenza
(ab
adulescentia)
amò
le
guerre
intestine,
le
stragi,
le
rapine,
la
discordia
civile
e in
queste
occupazioni
esercitò
(exercuit)
tutto
il
vigore
della
giovane
età
(iuventus)».
Catilina
spende
la
giovinezza
in
conflitti
armati
e
lotte
politiche
contro
nemici
interni
(inimici),
traendo
piacere
e
soddisfazione.
La
libido
di
Catilina
si
lega
a
quella
di
Silla:
sono
due
eroi
tragici
del
male.
Peraltro,
Sallustio
individua
nella
dittatura
(dominatio)
di
Silla
il
culmine
della
degenerazione
di
Roma,
il
punto
di
non
ritorno
del
progressivo
incedere
verso
i
vitia.
Il
ritratto
prosegue
con
il
riferimento
a
due
aspetti
antitetici
della
personalità
di
Catilina
(V 3
-
4):
«un
corpo
resistente
(patiens)
alla
fame
(inediae),
al
freddo
(algoris),
alle
veglie
(vigiliae)
oltre
ogni
immaginazione.
Animo
temerario,
subdolo,
mutevole,
capace
di
simulare
e
dissimulare,
avido
dell’altrui,
prodigo
del
suo,
ardente
nelle
passioni,
abbastanza
eloquente,
poco
saggio».
La
contrapposizione
tra
animus
e
corpus
affonda
le
proprie
radici
nel
pensiero
di
Platone.
Un
primo
esempio
giunge
dal
Fedone
(80
a 1
-
2),
laddove
Socrate,
rivolgendosi
a
Cebete,
afferma:
«quando
sono
insieme
anima
e
corpo,
all’uno
la
natura
ordina
di
servire
e di
obbedire,
all’altra
di
comandare
e
dominare».
Illuminante
è
poi
il
passo
Fedro
(246
b 6
- d
2)
in
cui
l’anima,
pur
possedendo
un
elemento
mortale,
è
immaginata
come
un
essere
alato
che
si
libra
verso
le
mete
più
alte,
al
di
sopra
del
mondo
sensibile
delle
apparenze.
Ci
troviamo
di
fronte
a un
topos
destinato
ad
assumere
un
ruolo
di
centralità
anche
nella
letteratura
filosofica
romana.
L’animus
di
Catilina
è
definito
audax,
subdolus,
varius.
La
forza
semantica
di
questo
trikolon
asindetico
viene
ulteriormente
suggellata
dall’uso
di
vastus.
Come
è
stato
ampiamente
dimostrato,
l’aggettivo
ricorre
solo
qui
in
riferimento
a un
concetto
astratto,
animus.
Infatti,
vastus
viene
per
lo
più
utilizzato
come
sinonimo
di
vasto,
sterile,
desolato
per
designare
luoghi
desertici
e
inospitali.
La
ricercata
iunctura
sallustiana
potrebbe
indicare
un
animo
smisurato,
insaziabile,
sempre
teso
verso
imprese
incredibili.
Il
successivo
nimis
alta
(cose
sempre
troppo
alte)
sarebbe
una
prova
efficace.
Ma
vastus
potrebbe
poi
alludere
all’animus
simulator
e
dissimulator
di
Catilina,
esperto
nell’arte
dell’inganno
e
della
simulazione.
Anche
Cicerone
nella
Pro
Caelio
(13)
descrive
Catilina
come
capace
di
«adattare
e
controllare
la
propria
natura
secondo
le
circostanze,
volgendola
e
piegandola
in
ogni
direzione».
La
descrizione
sallustiana
prosegue
con
un
ulteriore
riferimento
all’animus
(V 7
-
8):
«Di
giorno
in
giorno
quell’animo
fiero
(ferox)
era
sempre
più
tormentato
(agitabatur)
dalla
ristrettezza
del
patrimonio
familiare
(inopia
rei
familiari)
e
dal
rimorso
dei
delitti
(coscientia
scelerum).
Lo
incitavano
inoltre
i
costumi
corrotti
della
città,
vessati
da
due
mali
rovinosi
e
opposti
tra
di
loro,
la
brama
di
lusso
(luxuria)
e la
brama
di
ricchezza
(avaritia)».
La
scelta
del
frequentativo
agitare
è
significativa:
indica
il
tumulto
interiore
proprio
dell’agire
dei
personaggi
tragici.
Il
modus
operandi
di
Catilina
è
guidato
da
luxuria,
ambitio,
avaritia
e,
in
particolare,
dalla
cupido,
che
è
desiderio
di
ciò
che
si
pone
oltre
misura
(modus).
Giorno
dopo
giorno,
l’humus
dell’ingenium
posto
al
servizio
del
male
trae
vigore
dalla
catena
di
violenze,
stragi,
rapine
che
richiamano
altre
violenze,
stragi,
rapine.
Ma è
a un
tempo
indiscutibile
il
ruolo
giocato
dai
costumi
corrotti
della
città.