N. 135 - Marzo 2019
(CLXVI)
sULLA BREVE VITA DEL SETTIMANALE
SATIRICO ANTIFASCISTA
IL
BECCO
GIALLO
LE GIRAVOLTE POLITICHE DELL’INESAURIBILE ALBERTO GIANNINI - Parte I
di Francesco Cappellani
La
satira,
sia
letteraria
che
teatrale,
ha
origini
remote.
Aristofane,
nato
in
Grecia
circa
quattro
secoli
a.C.,
critica
e
sbeffeggia
con
le
sue
commedie
il
potere
politico
ateniese.
A
Roma,
nel
periodo
augusteo,
Orazio
scrive
le
Satire
(Sermones)
descrivendo
la
società
romana
e i
suoi
vizi,
e
successivamente
Giovenale
usa
l’arma
della
satira
indignata
per
denunciare
le
miserie
della
società
dei
suoi
tempi.
Petronio,
nel
Satyricon,
traccia
i
ritratti
dei
vari
personaggi
del
circolo
di
Mecenate,
introducendo
la
figura
del
parvenu
Trimalcione,
un
liberto
arricchito,
che
sfoggia
sfarzi
e
una
sottocultura
che
evidenzia
la
sua
presuntuosa
ignoranza.
Con
lo
sviluppo
della
stampa
e la
pubblicazione
e la
diffusione
crescente
di
giornali
e
riviste,
la
satira
si
diffonde
in
modo
capillare;
verso
la
metà
del
secolo
XVIII
nasce
in
Inghilterra
la
vignetta
politico-satirica
a
cui
contribuirà
anche
il
famoso
pittore
William
Hogarth.
Le
Charivari
(La
fischiata)
è il
primo
quotidiano
illustrato
satirico
del
mondo:
nasce
in
Francia
nel
1832
con
lo
scopo
di
attaccare
la
monarchia,
e
proseguirà
le
sue
pubblicazioni
con
alterne
vicende
fino
al
1937.
Vi
collaboreranno
come
caricaturisti
artisti
famosi,
tra
i
quali
Gustave
Doré,
Honoré
Daumier
e il
fotografo
Nadar.
Nel
1841
viene
fondata
in
Gran
Bretagna
la
rivista
Punch
che
raggiungerà
rapidamente
un
grande
seguito
di
pubblico
grazie
al
suo
stile
mai
volgare,
all’humour
sottile,
e
alla
collaborazione
di
scrittori
come
W.
Thackeray
e
P.G.
Wodehouse.
Nel
1896
nasce
in
Germania
il
settimanale
Simplicissimus
che
per
parecchi
decenni
sarà
il
più
importante
periodico
tedesco
di
satira
politica
di
stampo
anticlericale
e di
lotta
contro
la
rigidità
prussiana
e la
distinzione
classista
della
società.
Agli
inizi
vi
scrissero
Thomas
Mann
e
Rainer
Maria
Rilke
e,
per
la
parte
illustrativa
collaborarono
artisti
famosi
come
Ernst
Barlach,
Lovis
Corinth,
Alfred
Kubin,
George
Grosz,
Käthe
Kollwitz
e
molti
altri.
Il
motto
della
rivista,
anonimo
ma
scritto
in
realtà
da
Frank
Wedekind,
dichiarava
di
volere
svegliare
“la
pigra
nazione
con
parole
brucianti”.
Nel
1933
cessò
le
pubblicazioni
a
seguito
della
devastazione
della
redazione
della
rivista
da
parte
dei
nazisti
furibondi
per
il
disegno
della
copertina
che,
all’indomani
dell’incendio
del
Reichstag,
rappresentava
la
morte
che
salutava
a
braccio
teso
e la
scritta
“è
l’unica
che
dice
ancora
Heil
Hitler”.
In
Italia
nasce
nel
1892
il
settimanale
satirico
L’Asino
che
si
ispira
alle
pubblicazioni
analoghe
d’oltralpe,
e
conta
su
un
acuto
e
pungente
scrittore,
Guido
Podrecca
(Goliardo),
e un
disegnatore,
Gabriele
Galantara
(Rata
Langa)
dal
segno
aggressivo
e
impietoso,
entrambi
socialisti,
che
si
schierano
contro
Giolitti
e
gli
scandali
politici,
e
contro
il
Vaticano
e il
clericalismo,
e
poi,
dopo
la
grande
guerra,
contro
il
fascismo.
È
sarà
proprio
Mussolini
che
nel
1925,
grazie
alle
leggi
fasciste
sulla
stampa
da
poco
varate
dal
suo
governo,
ordinerà
al
giornale,
che
aveva
già
subito
minacce
e
invasioni
della
redazione
da
parte
degli
squadristi,
di
cessare
la
sua
attività.
Sull’ultimo
numero
Galantara
aveva
raffigurato
Mussolini
come
un
esaltato,
con
gli
occhi
fuori
dalle
orbite,
una
mascella
abnorme
e il
grosso
cranio
pelato
con
sopra
una
corona
e la
scritta
“Guai
a
chi
me
la
tocca”.
Nel
1924
il
giornalista
napoletano
Alberto
Giannini,
socialista
e
interventista,
prima
redattore
de
Il
Messaggero,
e
poi
fondatore
nel
1921
del
giornale
antifascista
Il
Paese
soppresso
subito
dopo
la
Marcia
su
Roma,
fonda
il
20
gennaio
il
settimanale
Il
Becco
Giallo
da
lui
definito
“organo
dinamico
di
opinione
pubblica”
e
già
nel
primo
numero,
anche
se
in
un
modo
un
po’
tortuoso
e
giocando
ironicamente
sulle
contraddizioni
e i
doppi
sensi,
alla
fine
conclude
«(...)
e
appoggiamo
perciò,
con
tutte
le
nostre
energie
l’opposizione
la
quale,
al
regime
fascista
di
dittatoriale
violenza
che
ha
invertito
tutti
i
valori
morali
e
col
terrorismo
ha
asservito
l’Italia
ad
una
banda
di
predoni,
resiste
eroicamente
sfidando
ogni
giorno
le
più
brutali
aggressioni
e
lotta
per
la
libertà
soppressa,
per
la
millenaria
giustizia
italiana
conculcata,
per
la
riconquista
delle
guarentigie
costituzionali,
per
ridare
prestigio
all’Italia
oggi
isolata
nel
mondo».
Giannini
recluta
per
il
suo
giornale
i
bravissimi
disegnatori
Galantara
e
Giuseppe
Russo
(Girus)
provenienti
da
L’Asino,
e si
avvale
della
collaborazione
di
intellettuali
come
Guido
de
Ruggiero
e
Adolfo
Tilgher,
Corrado
Alvaro,
e
molti
altri.
Il
giornale,
stampato
su
carta
gialla,
agli
inizi
presenta
sulla
testata
il
disegno
di
un
merlo
col
becco
aperto,
ma
dopo
i
vari
sequestri
e le
censure
fasciste,
il
merlo
appare
col
becco
serrato
da
un
lucchetto.
Il
periodico
ha
un
successo
immediato:
dalle
50.000
copie
iniziali
arriva
in
pochi
mesi
a
450.000
copie.
In
un
articolo
su
La
Stampa,
due
“superstiti”
redattori
del
Becco
Giallo
ricordano
che
“ogni
giovedì
Roma
era
letteralmente
inondata
di
fogli
gialli
e il
venerdì
e il
sabato,
quando
le
copie
pervenivano
alle
edicole
delle
altre
città
d’Italia,
si
esaurivano
rapidamente”.
Il
deputato
socialista
Giacomo
Matteotti
segue
con
molto
interesse
il
giornale
e
spesso
si
reca
in
redazione
incoraggiando
il
personale
a “coprire
di
ridicolo
e
denunciare
all’opinione
pubblica
la
banda
gonfia
di
vanità
e di
appetiti
che
s’è
impadronita
del
Paese.
Altri
giornali
antifascisti
sono
attivi
in
quegli
anni,
come
Il
Mondo
diretto
da
Alberto
Cianca,
fondato
nel
1922
da
Giovanni
Amendola,
Il
Popolo,
quotidiano
vicino
al
Partito
Popolare
di
don
Luigi
Sturzo,
diretto
da
Giuseppe
Donati
e
La
Voce
Repubblicana,
fondato
nel
1921,
diretto
da
Fernando
Schiavetti,
ma
Il
Becco
Giallo
era
decisamente
più
aggressivo
e
più
diretto,
colpendo
senza
esitazioni
i
gerarchi,
i
loro
fiancheggiatori,
i
voltagabbana,
e
gli
inevitabili
profittatori.
Come
nota
Paolo
Treves
«Il
Becco
Giallo
fu,
e
resta
nella
storia
del
giornalismo
italiano,
un
unicum
per
l’abilità
singolare
che
ebbero
i
suoi
molteplici
redattori
e
collaboratori
di
fondere
insieme
l’ironia
e la
severità
morale,
l’alto
richiamo
civile
ed
il
lepido,
talvolta
anche
feroce,
sarcasmo».
Nella
rubrica
“I
fessi
a
Fez”
erano
svergognati
in
particolare
i
nuovi
squadristi
in
camicia
nera
e
fez,
e
inoltre
i
vari
alti
gerarchi
erano
messi
alla
berlina
anche
per
la
loro
vita
privata,
ad
esempio
Farinacci
per
le
sue
difficoltà
con
la
lingua
italiana
e la
passione
per
la
bellissima
cantante
lirica
Gianna
Pederzini
e il
quadrumviro
Michele
Bianchi
per
la
“cotta”
per
la
maliosa
stella
del
varietà
Anna
Fougez.
Altro
bersaglio
della
rivista
era
Luigi
Pirandello
ribattezzato
P.
Randello
per
le
sue
smaccate
simpatie
fasciste,
come
si
rileva,
ad
esempio,
in
una
intervista
pubblicata
sul
quotidiano
fascista
L’Impero
del
12
marzo
1927,
dove
il
famoso
commediografo
aveva
dichiarato
che
«cinque
anni
di
vita
fascista
hanno
ringiovanito
e
trasformato
ogni
energia.
Mussolini
non
trova
paragoni
nella
storia;
non
è
mai
esistito
un
condottiero
che
abbia
saputo
dare
al
suo
popolo
una
così
viva
impronta
della
sua
personalità».
La reazione dei fascisti
nei
confronti
de
Il
Becco
Giallo
non
si
fa
attendere,
nella
breve
vita
della
testata
che
sarà
soppressa
dopo
due
anni,
la
redazione
subisce
devastazioni
e
violenze.
Giannini, abile spadaccino,
viene
sfidato
a
duello
da
alcuni
dei
personaggi
derisi
dal
suo
giornale
e ne
sostiene
una
ventina,
che
gli
provocano
lievi
ferite,
ma
da
cui
esce
generalmente
vittorioso;
è
soggetto
a
quattro
aggressioni,
una
delle
quali
a
opera
della
banda
Dumini,
quella
che
rapirà
e
assassinerà
Matteotti,
e
subisce
due
spedizioni
punitive
nella
sua
abitazione.
Anche Corrado Alvaro
viene
barbaramente
manganellato
e
deve
sospendere
la
sua
collaborazione
al
periodico
per
parecchie
settimane.
La
violenza
squadrista
si
scatena
sulle
edicole
dove
vengono
prelevate
illegalmente
le
copie
del
giornale
e
bruciate.
Si
succedono
i
sequestri
per
cui
spesso
occorre
rifare
anche
cinque
edizioni
dello
stesso
numero
opportunamente
purgate.
Malgrado queste persecuzioni
la
tiratura
arriva
a
raggiungere
le
600.000
copie.
Galantara
viene
arrestato
e
poi
rilasciato
dopo
poche
settimane.
Con le leggi restrittive
della
libertà
di
stampa
del
3
gennaio
1925
si
arriva
alla
chiusura
definitiva
della
rivista
con
l’ultimo
numero,
il
108,
del
31
gennaio
1926,
che
esce
con
quattro
pagine
quasi
completamente
bianche,
e
una
poesia
che
in
forma
ironica
cela
la
profonda
amarezza
per
la
fine
forzata
delle
pubblicazioni:
Lettori,
che
magnifica
trovata!
Per
tutelare
i
nostri
sacri
diritti
Questa
pagina
abbiamo
destinata
Ad
articoli
non
puranco
scritti
Nonché
a
disegni
spiritosi
e
belli
Rimasti
chiusi
nei
nostri
cervelli.
Basta
la
mossa!
Noi
ci
comprendiamo:
quello
che
voi
pensate,
lo
sappiamo.
Ragion
per
cui,
a
scanso
di
disgrazie,
Lettori
cari,
Arrivederci
e
Grazie!
Nel
1925
viene
soppresso
anche
Il
Popolo,
il
31
ottobre
1926
Il
Mondo
di
Giovanni
Amendola,
morto
nell’aprile
dello
stesso
anno
dopo
un
pestaggio
fascista,
e
La
Voce
Repubblicana.