[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

164 / AGOSTO 2021 (CXCV)


antica

SULLA BATTAGLIA NAVALE DI SALAMINA
LE TRIREMI E L'ASTUZIA DEI GRECI

di Francesco Giannetti

 

La battaglia di Salamina ha nelle navi il suo protagonista principale, nella fattispecie le triremi. Questo tipo di imbarcazione sarà destinata ad avere una lunga vita nel Mediterraneo a sottolineare dunque la propria efficienza in un campo, quello marittimo e dunque il mare, di cui quasi tutti gli antichi, salvo qualche eccezione come i Fenici, non era come un qualcosa di aggregante, ma casomai visto come un pericolo a causa di possibili razzie provenienti dal mare, non solo dunque, un campo di battaglia improbabile.

 

Tale natura avversa al mare viene dimostrata anche dalle collocazioni delle varie poleis: ce ne sono poche che nascono proprio sul mare, la maggior parte di esse sulle isole, quelle sul continente greco, erano a esso vicino, come per esempio anche la stessa Atene, di cui farà della flotta, come possiamo vedere in questo libro, e dei rifornimenti marittimi grazie al porto del Pireo, la propria fortuna, ma non direttamente sulla costa.

 

Le triremi erano imbarcazioni snelle: lunghe circa 40 metri e larghe circa 5,50 e alte circa 2,50 dalla linea di galleggiamento. La prua aveva in cima uno sperone costituito da una struttura in legno rivestito in bronzo e sul davanti possedeva tre lame taglienti; tutto ciò era a pelo d’acqua e sporgeva dalla prua per circa 2 metri e aveva la funzione di speronare le altre navi provocando un danno nell’imbarcazione impendendo di remare nel punto colpito e uccidendo e ferendo i rematori che erano il “motore” della nave. Difficilmente la nave affondava con un colpo del genere, anche perché le triremi per brevi accelerazioni durante le battaglie, raggiungevano massimo 10 nodi e riuscivano a fare un buco sullo scafo di 4-5 metri massimo.

 

Come tutte le imbarcazioni dell’antichità, soprattutto le triremi, che erano molto strette rispetto alla lunghezza, evitavano il mare aperto e viaggiavano sotto costa, essendo così più protette dai venti e da possibili mareggiate, dove tale imbarcazione non avrebbe potuto niente contro una tempesta e anche perché sarebbe stato difficile orientarsi con le stelle quando era nuvolo, quindi era preferibile costeggiare.

 

La navigazione oltretutto era possibile solo in un determinato periodo dell’anno, per sei mesi, da marzo a settembre; tant’è la flotta persiana dopo la sconfitta, il 25 settembre del 480, torna velocemente nei territori del Re dei Re, a differenza dell’esercito di terra che rimane in Grecia sotto il comando di Mardonio, per non incappare in ulteriori perdite per via della stagione non più navigabile, oltre a quelle numerose della battaglia navale.

 

L’equipaggio di una trireme ateniese, che è quello che conosciamo meglio e il più decisivo della battaglia, era composto da 200 uomini di cui almeno 170 erano rematori (non erano armati, non avevano una divisa, spesso erano schiavi o persone povere ed erano divisi in tre livelli della nave adibiti ai rematori), 10 fanti di marina, 4 arcieri, oltre ai vari marinai e ufficiali di bordo come il capovoga, il commissario, l’ufficiale di prora, il capo carpentiere, il flautista e gli uomini addetti alle vele.

 

Ogni trireme aveva solitamente un capitano, di solito un uomo facoltoso, ma l’uomo di maggiore importanza era il pilota, colui che governava il doppio timone a poppa e che dunque decideva, tramite le manovre, come meglio sfruttare la potenza dei rematori; era proprio lui che più di ogni altro poteva guidare una trireme alla vittoria.

 

Le triremi greche erano più pesanti e più resistenti di quelle persiane, nonostante avessero a bordo meno uomini, proprio per sopperire a un numero minore di soldati e quindi essere più forti allo speronamento e oltretutto, nelle particolari condizioni in cui si svolse la battaglia, uno stretto canale tra l’isola di Salamina appunto e l’Attica, la velocità e il numero elevato della flotta persiana, nello stretto, risultarono essere solo uno svantaggio. I rematori dovevano svolgere il loro compito in perfetta sincronia come se fosse un unico remo e dunque era indispensabile mantenere il morale alto e anche, avere tanto cibo e acqua.

 

Dalla parte greca, la città di Sparta entrerà a far parte della coalizione greca, anti-persiana, solo con in cambio il comando dell’esercito, sia delle truppe terrestri, sia della potente flotta, composta per la maggior parte da triremi della città di Atene, e generali, come Temistocle, che risulterà fondamentale per la vittoria nella battaglia di Salamina.

 

Una volta che gli ateniesi riconoscono il controllo delle operazioni militari a Sparta della lega ellenica, fu un risultato notevole, perché per la prima volta veniva riconosciuta l’esistenza di un qualcosa che legava i greci, al di là delle divisioni politiche all’interno di ogni polis; ma nelle file dei greci non finiscono i problemi; le città del Peloponneso vorrebbero creare una palizzata e un muro di fortificazione lungo l’istmo di Corinto, essendo più facilmente difendibile per le sue piccole dimensioni e lasciando così il resto della Grecia, Attica e dunque Atene compresa, alla mercé del nemico.

 

Tale idea chiaramente trova immediatamente oppositori, perché non era prevista inizialmente, ma quando i persiani sfondano il passo delle Termopili, i cittadini di Atene e dell’Attica vengono convogliati nell’isola di Salamina. Fra le poleis peloponnesiache divampa nuovamente l’idea di lasciare, durante la notte prima dello scontro, l’isola e concentrarsi nella difesa dell’ultima parte delle Grecia, non ancora invasa dai persiani.

 

Dalla parte persiana invece, va messo in risalto il grande numero di uomini, rispetto ai greci, di cui il re Serse I disponeva e anche del numero superiore di imbarcazioni pari quasi al doppio, anche se i persiani non sono un popolo di mare, come invece potevano essere i greci, in particolare alcune poleis, ma possiamo mettere in risalto quelle che sono le alleanze portanti dei persiani per poter sostenere una guerra marittima: su tutti i Fenici e gli Ioni sotto la propria condottiera, Artemisia I di Alicarnasso, ma anche i Carii, altra popolazione dell’Asia Minore sotto il dominio persiano e infine gli Egizi.

 

Per quanto riguarda la regina di Alicarnasso è fondamentale come venga sottolineato il grande rispetto che le proprie forze armate nutrivano per un condottiero di sesso femminile, visto che la guerra era un’attività esclusiva dell’uomo e anche come Serse si fidasse e ammirasse molto tale personalità, ascoltando anche i suoi consigli più degli altri; era forte l’influenza di quest’ultima sulle scelte militari-navali, magari anche di più di qualche altrettanto valoroso condottiero di sesso maschile.

 

Il mare sostanzialmente per i persiani era sinonimo di male: i demoni della religione persiana risiedevano proprio nelle acque del mare perché esse erano salate. Serse e suo genero Mardonio arrivano in Grecia per chiedere “terra e acqua”; formalmente sottomettersi al completo volere del Gran Re. Molte poleis della Grecia settentrionale “medizzarono”, e cioè riconobbero la superiorità persiana senza combattere; accettarono generalmente, la superiorità persiana quelle poleis che avrebbero incontrato per prime l’avanzata persiana proveniente dal nord della Grecia. Fra le più importanti è da menzionare la città della Beozia, Tebe.

 

La forza e la grandezza dei persiani la possiamo notare in alcune grandi opere che essi creano per arrivare fino in Grecia; la spedizione parte dalla città dell’Asia Minore di Sardi e si dirige verso il nord della Penisola Anatolica. Una volta raggiunto lo stretto dei Dardanelli, che separa l’Asia dalla Grecia, nel mese di maggio, Serse con un grande sforzo dei suoi uomini, costruisce due ponti di barche, che permisero alle proprie truppe e ai cavalli di attraversare lo stretto e di stanziarsi sull’altra sponda. Tale doppio ponte sarà considerato sacrilego per i greci; esso verrà distrutto da una violenta tempesta ma verrà nuovamente ricostruito dagli uomini di Serse.

 

Attraversato lo stretto, iniziò un doppio cammino per l’esercito persiano: quello terrestre e quello navale. Il cammino dei due eserciti fu discostato l’uno dall’altro solamente quando i persiani si trovarono a ridosso della Penisola Calcidica; qui assistiamo a un’altra grandiosa opera e cioè quella di costruire un canale per superare la prima sottile striscia di terra, la penisola del monte Athos. Una volta superata la penisola del monte Athos, la flotta persiana costeggiò le successive due sottili strisce di terra e insieme alle truppe di terra, nel mese di giugno incomincia a scendere lungo la Tessaglia.

 

I greci venuti a sapere ormai della presenza persiana sul suolo greco decidono di mandare alcune triremi all’Artemisio, estremità settentrionale dell’isola di Eubea, per rallentare e colpire nello stretto la flotta più numerosa persiana, mentre truppe di soldati, circa 5.000, fra i quali, i “Trecento” spartani comandati dal re Leonida nel passo delle Termopili, che era l’unico passo di accesso verso l’Attica.

 

La piccola flotta che viene mandata all’Artemisio riesce nell’intento di rallentare la flotta persiana, ma non impedisce ai persiani di penetrare nel meridione verso la città di Atene, mentre ben più significativa fu la battaglia terrestre. Il piccolo esercito comunque riuscì a fare la sua parte fino a che un disertore greco, comprato con i soldi del Gran Re, segnalò agli invasori, un’alternativa per aggirare lo schieramento greco; i contingenti greci si dettero alla fuga, mentre il contingente dei “Trecento” spartani con il proprio re, Leonida, sacrificarono le loro vite, ritardando così l’avanzata persiana.

 

A questo punto però i persiani, passate le Termopili scendono verso l’Attica e verso Atene, che viene evacuata entro i primi sei giorni di settembre, trasportando la popolazione in massa verso l’isola di Salamina, di fronte il porto del Pireo di Atene. Contemporaneamente la flotta, si dirige verso sud, arrivando il 7 settembre a occupare la baia del Falero e quindi il porto di Atene. Nel frattempo un’avanguardia di Serse, arriva in Attica.

 

Durante la prima metà di settembre, Serse conquista la Focide e la Beozia e dal 21 al 23 settembre assedia Atene, espugnandola, visto che i difensori della polis Attica erano rimasti pochissimi. Gli ateniesi assistono impotenti dall’isola di Salamina, alla distruzione dell’acropoli della propria città e viene deciso ai voti, di ritirare la flotta presso l’istmo di Corinto, ma la notte successiva, fra il 23 e il 24 settembre Temistocle, riesce a far cambiare idea al re spartano, Euribiade, e quindi a non far ritirare la flotta, nonostante un dialogo animato con Adimanto di Corinto, anch’esso propenso a lasciare l’isola, ritirandosi verso il Peloponneso.

 

All’alba del giorno seguente succede qualcosa di molto importante: scuote un terremoto, a cui i greci danno una doppia interpretazione: la prima, come un segno premonitore negativo nello scontro con i persiani, il secondo, positivo, vedendo nel terremoto, la manifestazione di collera degli dei, che avevano subito la distruzione dei propri templi sull’acropoli di Atene il giorno prima.

 

L’abile generale ateniese, per paura di nuove titubanze sul da farsi, come possibili conseguenze del terremoto, decide durante la notte del 24 settembre di inviare un proprio fedele servitore, Sicinno, presso i persiani, per riferire a questi ultimi che i greci erano in discordia fra di se, disorganizzati e indecisi sul da farsi, e che sarebbero fuggiti verso il Peloponneso (proprio per questo, un contingente della flotta persiana, quello egiziano, fu posto fra Salamina e il Peloponneso per evitare tale mossa) e dunque sarebbe stato opportuno che i persiani attaccassero di mattina presto, per sbaragliare le forze greche non pronte all’attacco.

 

Serse sperava fin dall’inizio una mossa del genere da parte dei greci, cioè che prima o poi un greco avrebbe tradito la propria causa, passando dalla parte persiana, attratto dalle grandi ricchezze che il Gran Re avrebbe dato lui per il suo tradimento. Proprio per questo una mossa “aspettata” dai persiani e astuta da parte di Temistocle, non avrebbe destato preoccupazioni nelle file persiane. Dunque la flotta persiana, durante la nottata, si sposta dal porto del Pireo, verso lo stretto di Salamina.

 

All’alba del 25 settembre i persiani ebbero la sorpresa di vedere i greci pronti al combattimento; a ciò non erano preparati né mentalmente, né fisicamente. Si erano aspettati un facile inseguimento di un nemico distrutto, non una dura lotta. Già all’alba i greci avevano preso il nemico di sorpresa, spedendo i corinzi verso nord, in una finta ritirata. I greci erano in ottima forma, avevano riposato durante la notte a differenza degli uomini persiani. La sorpresa rese più semplice sconvolgere l’assetto dei persiani. Molti ammiragli persiani furono uccisi in battaglia, compreso l’ammiraglio capo e fratellastro di Serse, Ariabigne.

 

Diversamente dai greci i persiani non erano animati dalla fedeltà a una causa; essi si battevano soprattutto per far colpo su Serse che assisteva a tutto ciò da un trono allestito sulla costa dell’Attica. Infine i greci sfruttarono notevolmente, la particolare conformazione geografica dello stretto di Salamina. Il breve spazio impedì ai persiani di trarre vantaggio dal loro numero e della maggiore velocità delle proprie imbarcazioni. Per lo stesso motivo, inversamente, il canale trasformò il maggior peso delle triremi greche da un difetto, in vantaggio e la superiorità numerica persiana in svantaggio, perché le loro imbarcazioni entrarono in collisione. Oltre a ciò si dovette aggiungere anche la brezza mattutina del canale che destabilizzò ulteriormente la flotta persiana.

 

Dunque la sorpresa, il comando e la conformazione geografica: tre semplici fattori che, messi insieme, trasformarono la battaglia di Salamina in una trappola per i persiani. La sconfitta persiana fu netta e indusse lo stesso Serse e i superstiti a fare ritorno nei territori controllati dal Gran Re. La grande potenza persiana era stata battuta dall’astuzia dei greci, in particolare di Temistocle, che portò i persiani all’attacco tramite il proprio inganno, nonostante un numero di triremi nettamente inferiore, il totale doveva essere di 366, mentre un numero che le fonti attestano grossomodo sulle 1.000, da parte dei persiani.

 

Altro fatto importante è quello che riguarda la forza congiunta delle poleis greche, nella lega ellenica, e quindi il riconoscimento di un Hellenikòn, cioè di tratti caratteristici comuni alle varie poleis della Grecia come gli dei e su tutte la lingua, contro un invasore che andrà a essere connotato come diverso e come portatore di una diversa cultura e modi di vivere; una volta connotati i tratti dell’invasore esterno, si vanno a connotare i tratti della grecità, accentuando le differenze e creando poi, irrevocabilmente degli “stereotipi persiani”, ma anche alcune contraddizioni riguardo ciò; come il fatto che Temistocle stesso, dopo la vittoria riportata in questa battaglia, viene ostracizzato dai suoi concittadini e si rifugerà presso i persiani, dove morirà; segno che non fosse poi un mondo così lontano rispetto a quello delle poleis greche.

 

 

Riferimenti Bibliografici:

 

Fields N., La marina da guerra dell’antica Grecia 500-322 a.C., LEG edizioni, Gorizia 2014.

Strauss B., La forza e l’astuzia. I greci, i persiani, la battaglia di Salamina, Laterza, Roma-Bari 2005.

Will W., Le guerre persiane, Il Mulino, Bologna 2012.

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