antica
SULLA BATTAGLIA NAVALE DI SALAMINA
LE
TRIREMI E L'ASTUZIA DEI GRECI
di Francesco Giannetti
La battaglia di Salamina ha nelle navi
il suo protagonista principale, nella
fattispecie le triremi. Questo tipo di
imbarcazione sarà destinata ad avere una
lunga vita nel Mediterraneo a
sottolineare dunque la propria
efficienza in un campo, quello marittimo
e dunque il mare, di cui quasi tutti gli
antichi, salvo qualche eccezione come i
Fenici, non era come un qualcosa di
aggregante, ma casomai visto come un
pericolo a causa di possibili razzie
provenienti dal mare, non solo dunque,
un campo di battaglia improbabile.
Tale natura avversa al mare viene
dimostrata anche dalle collocazioni
delle varie poleis: ce ne sono
poche che nascono proprio sul mare, la
maggior parte di esse sulle isole,
quelle sul continente greco, erano a
esso vicino, come per esempio anche la
stessa Atene, di cui farà della flotta,
come possiamo vedere in questo libro, e
dei rifornimenti marittimi grazie al
porto del Pireo, la propria fortuna, ma
non direttamente sulla costa.
Le triremi erano imbarcazioni snelle:
lunghe circa 40 metri e larghe circa
5,50 e alte circa 2,50 dalla linea di
galleggiamento. La prua aveva in cima
uno sperone costituito da una struttura
in legno rivestito in bronzo e sul
davanti possedeva tre lame taglienti;
tutto ciò era a pelo d’acqua e sporgeva
dalla prua per circa 2 metri e aveva la
funzione di speronare le altre navi
provocando un danno nell’imbarcazione
impendendo di remare nel punto colpito e
uccidendo e ferendo i rematori che erano
il “motore” della nave. Difficilmente la
nave affondava con un colpo del genere,
anche perché le triremi per brevi
accelerazioni durante le battaglie,
raggiungevano massimo 10 nodi e
riuscivano a fare un buco sullo scafo di
4-5 metri massimo.
Come tutte le imbarcazioni
dell’antichità, soprattutto le triremi,
che erano molto strette rispetto alla
lunghezza, evitavano il mare aperto e
viaggiavano sotto costa, essendo così
più protette dai venti e da possibili
mareggiate, dove tale imbarcazione non
avrebbe potuto niente contro una
tempesta e anche perché sarebbe stato
difficile orientarsi con le stelle
quando era nuvolo, quindi era
preferibile costeggiare.
La navigazione oltretutto era possibile
solo in un determinato periodo
dell’anno, per sei mesi, da marzo a
settembre; tant’è la flotta persiana
dopo la sconfitta, il 25 settembre del
480, torna velocemente nei territori del
Re dei Re, a differenza dell’esercito di
terra che rimane in Grecia sotto il
comando di Mardonio, per non incappare
in ulteriori perdite per via della
stagione non più navigabile, oltre a
quelle numerose della battaglia navale.
L’equipaggio di una trireme ateniese,
che è quello che conosciamo meglio e il
più decisivo della battaglia, era
composto da 200 uomini di cui almeno 170
erano rematori (non erano armati, non
avevano una divisa, spesso erano schiavi
o persone povere ed erano divisi in tre
livelli della nave adibiti ai rematori),
10 fanti di marina, 4 arcieri, oltre ai
vari marinai e ufficiali di bordo come
il capovoga, il commissario, l’ufficiale
di prora, il capo carpentiere, il
flautista e gli uomini addetti alle
vele.
Ogni trireme aveva solitamente un
capitano, di solito un uomo facoltoso,
ma l’uomo di maggiore importanza era il
pilota, colui che governava il doppio
timone a poppa e che dunque decideva,
tramite le manovre, come meglio
sfruttare la potenza dei rematori; era
proprio lui che più di ogni altro poteva
guidare una trireme alla vittoria.
Le triremi greche erano più pesanti e
più resistenti di quelle persiane,
nonostante avessero a bordo meno uomini,
proprio per sopperire a un numero minore
di soldati e quindi essere più forti
allo speronamento e oltretutto, nelle
particolari condizioni in cui si svolse
la battaglia, uno stretto canale tra
l’isola di Salamina appunto e l’Attica,
la velocità e il numero elevato della
flotta persiana, nello stretto,
risultarono essere solo uno svantaggio.
I rematori dovevano svolgere il loro
compito in perfetta sincronia come se
fosse un unico remo e dunque era
indispensabile mantenere il morale alto
e anche, avere tanto cibo e acqua.
Dalla parte greca, la città di Sparta
entrerà a far parte della coalizione
greca, anti-persiana, solo con in cambio
il comando dell’esercito, sia delle
truppe terrestri, sia della potente
flotta, composta per la maggior parte da
triremi della città di Atene, e
generali, come Temistocle, che risulterà
fondamentale per la vittoria nella
battaglia di Salamina.
Una volta che gli ateniesi riconoscono
il controllo delle operazioni militari a
Sparta della lega ellenica, fu un
risultato notevole, perché per la prima
volta veniva riconosciuta l’esistenza di
un qualcosa che legava i greci, al di là
delle divisioni politiche all’interno di
ogni polis; ma nelle file dei
greci non finiscono i problemi; le città
del Peloponneso vorrebbero creare una
palizzata e un muro di fortificazione
lungo l’istmo di Corinto, essendo più
facilmente difendibile per le sue
piccole dimensioni e lasciando così il
resto della Grecia, Attica e dunque
Atene compresa, alla mercé del nemico.
Tale idea chiaramente trova
immediatamente oppositori, perché non
era prevista inizialmente, ma quando i
persiani sfondano il passo delle
Termopili, i cittadini di Atene e
dell’Attica vengono convogliati
nell’isola di Salamina. Fra le poleis
peloponnesiache divampa nuovamente
l’idea di lasciare, durante la notte
prima dello scontro, l’isola e
concentrarsi nella difesa dell’ultima
parte delle Grecia, non ancora invasa
dai persiani.
Dalla parte persiana invece, va messo in
risalto il grande numero di uomini,
rispetto ai greci, di cui il re Serse I
disponeva e anche del numero superiore
di imbarcazioni pari quasi al doppio,
anche se i persiani non sono un popolo
di mare, come invece potevano essere i
greci, in particolare alcune poleis,
ma possiamo mettere in risalto quelle
che sono le alleanze portanti dei
persiani per poter sostenere una guerra
marittima: su tutti i Fenici e gli Ioni
sotto la propria condottiera, Artemisia
I di Alicarnasso, ma anche i Carii,
altra popolazione dell’Asia Minore sotto
il dominio persiano e infine gli Egizi.
Per quanto riguarda la regina di
Alicarnasso è fondamentale come venga
sottolineato il grande rispetto che le
proprie forze armate nutrivano per un
condottiero di sesso femminile, visto
che la guerra era un’attività esclusiva
dell’uomo e anche come Serse si fidasse
e ammirasse molto tale personalità,
ascoltando anche i suoi consigli più
degli altri; era forte l’influenza di
quest’ultima sulle scelte
militari-navali, magari anche di più di
qualche altrettanto valoroso condottiero
di sesso maschile.
Il mare sostanzialmente per i persiani
era sinonimo di male: i demoni della
religione persiana risiedevano proprio
nelle acque del mare perché esse erano
salate. Serse e suo genero Mardonio
arrivano in Grecia per chiedere “terra e
acqua”; formalmente sottomettersi al
completo volere del Gran Re. Molte
poleis della Grecia settentrionale
“medizzarono”, e cioè riconobbero la
superiorità persiana senza combattere;
accettarono generalmente, la superiorità
persiana quelle poleis che avrebbero
incontrato per prime l’avanzata persiana
proveniente dal nord della Grecia. Fra
le più importanti è da menzionare la
città della Beozia, Tebe.
La forza e la grandezza dei persiani la
possiamo notare in alcune grandi opere
che essi creano per arrivare fino in
Grecia; la spedizione parte dalla città
dell’Asia Minore di Sardi e si dirige
verso il nord della Penisola Anatolica.
Una volta raggiunto lo stretto dei
Dardanelli, che separa l’Asia dalla
Grecia, nel mese di maggio, Serse con un
grande sforzo dei suoi uomini,
costruisce due ponti di barche, che
permisero alle proprie truppe e ai
cavalli di attraversare lo stretto e di
stanziarsi sull’altra sponda. Tale
doppio ponte sarà considerato sacrilego
per i greci; esso verrà distrutto da una
violenta tempesta ma verrà nuovamente
ricostruito dagli uomini di Serse.
Attraversato lo stretto, iniziò un
doppio cammino per l’esercito persiano:
quello terrestre e quello navale. Il
cammino dei due eserciti fu discostato
l’uno dall’altro solamente quando i
persiani si trovarono a ridosso della
Penisola Calcidica; qui assistiamo a
un’altra grandiosa opera e cioè quella
di costruire un canale per superare la
prima sottile striscia di terra, la
penisola del monte Athos. Una volta
superata la penisola del monte Athos, la
flotta persiana costeggiò le successive
due sottili strisce di terra e insieme
alle truppe di terra, nel mese di giugno
incomincia a scendere lungo la
Tessaglia.
I greci venuti a sapere ormai della
presenza persiana sul suolo greco
decidono di mandare alcune triremi all’Artemisio,
estremità settentrionale dell’isola di
Eubea, per rallentare e colpire nello
stretto la flotta più numerosa persiana,
mentre truppe di soldati, circa 5.000,
fra i quali, i “Trecento” spartani
comandati dal re Leonida nel passo delle
Termopili, che era l’unico passo di
accesso verso l’Attica.
La piccola flotta che viene mandata all’Artemisio
riesce nell’intento di rallentare la
flotta persiana, ma non impedisce ai
persiani di penetrare nel meridione
verso la città di Atene, mentre ben più
significativa fu la battaglia terrestre.
Il piccolo esercito comunque riuscì a
fare la sua parte fino a che un
disertore greco, comprato con i soldi
del Gran Re, segnalò agli invasori,
un’alternativa per aggirare lo
schieramento greco; i contingenti greci
si dettero alla fuga, mentre il
contingente dei “Trecento” spartani con
il proprio re, Leonida, sacrificarono le
loro vite, ritardando così l’avanzata
persiana.
A questo punto però i persiani, passate
le Termopili scendono verso l’Attica e
verso Atene, che viene evacuata entro i
primi sei giorni di settembre,
trasportando la popolazione in massa
verso l’isola di Salamina, di fronte il
porto del Pireo di Atene.
Contemporaneamente la flotta, si dirige
verso sud, arrivando il 7 settembre a
occupare la baia del Falero e quindi il
porto di Atene. Nel frattempo
un’avanguardia di Serse, arriva in
Attica.
Durante la prima metà di settembre,
Serse conquista la Focide e la Beozia e
dal 21 al 23 settembre assedia Atene,
espugnandola, visto che i difensori
della polis Attica erano rimasti
pochissimi. Gli ateniesi assistono
impotenti dall’isola di Salamina, alla
distruzione dell’acropoli della propria
città e viene deciso ai voti, di
ritirare la flotta presso l’istmo di
Corinto, ma la notte successiva, fra il
23 e il 24 settembre Temistocle, riesce
a far cambiare idea al re spartano,
Euribiade, e quindi a non far ritirare
la flotta, nonostante un dialogo animato
con Adimanto di Corinto, anch’esso
propenso a lasciare l’isola, ritirandosi
verso il Peloponneso.
All’alba del giorno seguente succede
qualcosa di molto importante: scuote un
terremoto, a cui i greci danno una
doppia interpretazione: la prima, come
un segno premonitore negativo nello
scontro con i persiani, il secondo,
positivo, vedendo nel terremoto, la
manifestazione di collera degli dei, che
avevano subito la distruzione dei propri
templi sull’acropoli di Atene il giorno
prima.
L’abile generale ateniese, per paura di
nuove titubanze sul da farsi, come
possibili conseguenze del terremoto,
decide durante la notte del 24 settembre
di inviare un proprio fedele servitore,
Sicinno, presso i persiani, per riferire
a questi ultimi che i greci erano in
discordia fra di se, disorganizzati e
indecisi sul da farsi, e che sarebbero
fuggiti verso il Peloponneso (proprio
per questo, un contingente della flotta
persiana, quello egiziano, fu posto fra
Salamina e il Peloponneso per evitare
tale mossa) e dunque sarebbe stato
opportuno che i persiani attaccassero di
mattina presto, per sbaragliare le forze
greche non pronte all’attacco.
Serse sperava fin dall’inizio una mossa
del genere da parte dei greci, cioè che
prima o poi un greco avrebbe tradito la
propria causa, passando dalla parte
persiana, attratto dalle grandi
ricchezze che il Gran Re avrebbe dato
lui per il suo tradimento. Proprio per
questo una mossa “aspettata” dai
persiani e astuta da parte di
Temistocle, non avrebbe destato
preoccupazioni nelle file persiane.
Dunque la flotta persiana, durante la
nottata, si sposta dal porto del Pireo,
verso lo stretto di Salamina.
All’alba del 25 settembre i persiani
ebbero la sorpresa di vedere i greci
pronti al combattimento; a ciò non erano
preparati né mentalmente, né
fisicamente. Si erano aspettati un
facile inseguimento di un nemico
distrutto, non una dura lotta. Già
all’alba i greci avevano preso il nemico
di sorpresa, spedendo i corinzi verso
nord, in una finta ritirata. I greci
erano in ottima forma, avevano riposato
durante la notte a differenza degli
uomini persiani. La sorpresa rese più
semplice sconvolgere l’assetto dei
persiani. Molti ammiragli persiani
furono uccisi in battaglia, compreso
l’ammiraglio capo e fratellastro di
Serse, Ariabigne.
Diversamente dai greci i persiani non
erano animati dalla fedeltà a una causa;
essi si battevano soprattutto per far
colpo su Serse che assisteva a tutto ciò
da un trono allestito sulla costa
dell’Attica. Infine i greci sfruttarono
notevolmente, la particolare
conformazione geografica dello stretto
di Salamina. Il breve spazio impedì ai
persiani di trarre vantaggio dal loro
numero e della maggiore velocità delle
proprie imbarcazioni. Per lo stesso
motivo, inversamente, il canale
trasformò il maggior peso delle triremi
greche da un difetto, in vantaggio e la
superiorità numerica persiana in
svantaggio, perché le loro imbarcazioni
entrarono in collisione. Oltre a ciò si
dovette aggiungere anche la brezza
mattutina del canale che destabilizzò
ulteriormente la flotta persiana.
Dunque la sorpresa, il comando e la
conformazione geografica: tre semplici
fattori che, messi insieme,
trasformarono la battaglia di Salamina
in una trappola per i persiani. La
sconfitta persiana fu netta e indusse lo
stesso Serse e i superstiti a fare
ritorno nei territori controllati dal
Gran Re. La grande potenza persiana era
stata battuta dall’astuzia dei greci, in
particolare di Temistocle, che portò i
persiani all’attacco tramite il proprio
inganno, nonostante un numero di triremi
nettamente inferiore, il totale doveva
essere di 366, mentre un numero che le
fonti attestano grossomodo sulle 1.000,
da parte dei persiani.
Altro fatto importante è quello che
riguarda la forza congiunta delle poleis
greche, nella lega ellenica, e quindi il
riconoscimento di un Hellenikòn,
cioè di tratti caratteristici comuni
alle varie poleis della Grecia
come gli dei e su tutte la lingua,
contro un invasore che andrà a essere
connotato come diverso e come portatore
di una diversa cultura e modi di vivere;
una volta connotati i tratti
dell’invasore esterno, si vanno a
connotare i tratti della grecità,
accentuando le differenze e creando poi,
irrevocabilmente degli “stereotipi
persiani”, ma anche alcune
contraddizioni riguardo ciò; come il
fatto che Temistocle stesso, dopo la
vittoria riportata in questa battaglia,
viene ostracizzato dai suoi concittadini
e si rifugerà presso i persiani, dove
morirà; segno che non fosse poi un mondo
così lontano rispetto a quello delle
poleis greche.
Riferimenti Bibliografici:
Fields N., La marina da guerra
dell’antica Grecia 500-322 a.C., LEG
edizioni, Gorizia 2014.
Strauss B., La forza e l’astuzia. I
greci, i persiani, la battaglia di
Salamina, Laterza, Roma-Bari 2005.
Will W., Le guerre persiane, Il
Mulino, Bologna 2012. |