medievale
LA BATTAGLIA DI POITIERS
IL TRIONFO DI CARLO MARTELLO FRA MITO E
STORIA
di Francesco Biscardi
Nel passato hanno avuto luogo scontri
divenuti così celebri da essere stati
assurti a tappe fondamentali nel
processo di sviluppo della nostra
società occidentale. Uno di questi è
sicuramente quello avvenuto a
Poitiers nel 732 o, come alcuni
studiosi suggeriscono, nel 733, in cui
il “maggiordomo” o “maestro di palazzo”
dell’Austrasia Carlo Martello,
avo del celeberrimo Carlomagno,
sconfisse gli arabi iberici in
una battaglia che, nel tempo, si è
circondata di un alone leggendario come
poche altre nella storia. Tuttavia, in
fatto d’armi, fu in realtà poco più che
una semplice scaramuccia e il suo mito è
stato costruito a posteriori.
Oggi la storiografia è praticamente
concorde nel ritenere che quello
condotto dagli arabi non fu un tentativo
di “invasione” delle terre dell’attuale
Francia come a lungo si è sostenuto, ma
nulla più che una scorreria a fini di
bottino diretta verso il ricco monastero
di Tours: in quella circostanza un
gruppo arabo-iberico, rafforzato da un
contingente di aquitani e guidato
dall’emiro Abd ar-Rahmàn, passati
i Pirenei e compiuti saccheggi nel
tragitto, fu affrontato e sconfitto da
Carlo Martello fra Tours e Poitiers, non
lontano dal punto di confluenza della
Vienne con la Creuse.
Inizialmente è probabile che la
battaglia non avesse avuto una grande
risonanza nel mondo franco: fu
semplicemente una delle varie vittorie
che consentirono al maestro di palazzo
di guadagnare fama e consenso,
innalzando il prestigio della sua
casata, quella dei Pipinidi-Carolingi,
che grande successo conoscerà con i suoi
successori, al punto che, a partire dal
figlio Pipino il Breve, maggiordomo in
Neustria, la sua genìa governerà le
terre dei franchi senza più la
“finzione” di un sovrano merovingio.
Il primo ad aver alzato la voce per
esaltare i fatti di Poitiers fu uno
sconosciuto cristiano di Cordova, il
quale, una ventina di anni dopo la
battaglia, lodò il trionfo “europeo”
degli austrasiani. Si trattò
probabilmente della voce isolata di un
fanatico sottoposto al giogo musulmano e
incline a inveire contro i propri
dominatori.
Fu in Età moderna che venne “riscoperto”
e rinverdito il trionfo di Poitiers fino
a trasformarlo in un mito: già a partire
dall’epoca della Controriforma, ma ancor
più fra Sei e Settecento, e in
particolar modo nella Francia di Luigi
XIV, si prese a esaltare la passata
gloria del popolo franco e si scorse in
Carlo Martello uno dei grandi
antesignani dei francesi e un fulgido
esempio di servator Europae.
Durante il Secolo dei Lumi si continuò a
enfatizzare il ruolo di questa
battaglia, decantandola come una delle
tappe fondamentali nello sviluppo
dell’Occidente cristiano. Persino un
illustre filosofo come Voltaire
rimase soggiogato dal suo fascino e
arrivò a ribadire come senza Carlo
Martello la Francia sarebbe divenuta una
“provincia maomettana”.
Fu poi il grande storico inglese
Gibbon, fra Sette e Ottocento, a
calcare ancora di più la mano,
affermando addirittura che senza il
maggiordomo franco l’Europa non sarebbe
potuta esistere e “il Corano sarebbe
stato insegnato ad Oxford”. Mito che
perdurò per tutto il XIX secolo e oltre:
Alphonse de Châteaubriant, ad
esempio, giunse a dire che a Poitiers il
maestro di palazzo avrebbe annientato il
surreale numero di trecentomila
islamici. Inoltre si puntualizzò come,
nello sconfiggere gli arabi, Carlo
Martello si sarebbe trovato contro una
opposizione così tenace da rendere
necessaria una radicale riforma
dell’esercito e l’adozione programmatica
della cavalleria (riforma militare che
sarebbe a sua volta all’origine del
feudalesimo).
Ancora nel Novecento si è continuato a
ingigantire la portata storica di questo
trionfo. Ricordo qui due personaggi
chiave del secolo scorso anche loro
ammaliati da Poitiers, ma con due
opposte vedute. Il primo è il presidente
americano Theodore Roosevelt, il
quale proseguì sulla scia “canonica” di
amplificare il ruolo della battaglia,
elevandola a salvifico episodio senza la
quale la Cristianità sarebbe stata
fagocitata dall’Islam.
Il secondo è Adolf Hitler, che,
di contro, arrivò a inveire
pubblicamente, il 28 agosto del 1942,
contro Carlo Martello, formulando la non
meno assurda tesi che la sua vittoria
permise al giudaismo di prosperare:
rimpianse così la mancata vittoria araba
che, a suo giudizio, avrebbe consentito
all’Europa di essere plasmata da una
religione gloriosa e combattiva come
quella di Maometto (verso cui il führer
non nascondeva la sua ammirazione),
evitando così che il prode popolo
germanico cadesse in quella perdizione e
fiacchezza cui invece lo ridussero il
cristianesimo e l’ebraismo, sviandolo
dalla sua missione di dominare il mondo.
Non accadde nulla di tutto ciò:
innanzitutto, gli arabi avevano
impiantato le loro radici in terra
iberica in tempi troppo recenti da poter
escogitare una “invasione” delle terre
franche così minacciosa da rendere
necessaria l’introduzione della
cavalleria (la loro penetrazione era
iniziata nel 711, quando Tariq ibn Zayàd
conquistò l’avamposto che da lui prese
il nome di Gibilterra, mentre le
progressive vittorie furono rese
possibili dallo stato di confusione e
debolezza in cui versava la penisola,
dilaniata dalla rivalità fra regno
visigoto e aristocrazia ispano-gotica).
Il contingente islamico, come si è
detto, era in realtà di modesta entità e
a determinare l’uso sistematico dei
cavalieri fu più l’introduzione della
staffa di provenienza orientale, la
quale permise l’adozione di una scherma
della lancia che, a sua volta, contribuì
a garantire ai combattenti un miglior
equilibrio in sella, presupposto
indispensabile per tenere saldamente in
pugno l’arma e colpire frontalmente i
nemici sfruttando la corsa del cavallo.
Questo mito di Poitiers ha poi, per così
dire, offuscato altre vicende storiche
decisamente più significative. Primo,
che nell’VIII secolo vi fu uno scontro
fra islamici e cristiani ben più
importante: mi riferisco alla vittoria
riportata nel 740 dal basileus
Leone III ad Amorium, in
Anatolia, battaglia in cui forse davvero
venne arrestata l’avanzata islamica nel
cuore dell’Europa (in questo caso nel
fronte sudorientale). Ma i cattivi
rapporti fra Chiesa orientale e Chiesa
occidentale, dove il sovrano
costantinopolitano era visto come un
eretico iconoclasta, spinsero i latini a
ridimensionare i successi dei bizantini.
Il secondo elemento “dimenticato”
riguarda gli aiuti ricevuti nella
circostanza da Carlo Martello: a
sostenerlo contro le incursioni
islamiche vi erano anche i longobardi
di Liutprando, il quale, in
precedenza, tramite il rituale del
taglio dei capelli, ne aveva persino
adottato il figlio. Dobbiamo allo
storico Paolo Diacono il merito
di averci raccontato come venne
formalizzata questa alleanza fra i due
popoli, la quale si tradusse nell’invio
di rinforzi al sovrano d’oltralpe nelle
lotte intestine in cui era coinvolto.
Furono le fonti franche successive ad
aver cercato di adombrare questi fatti:
la sintonia che legò prima Pipino il
Breve e poi Carlomagno alla Chiesa di
Roma in funzione anti-longobarda
produsse un obnubilamento di questa
passata intesa.
Infine, la vittoria di Carlo Martello ha
fatto cadere nell’oblio del
dimenticatoio alcuni raid arabi
che invece andarono in porto, quasi a
costituire una revanche di
Poitiers: nel 734 fu saccheggiata Arles,
nel 737 fu occupata Avignone e venne
razziata parte della Borgogna, dove un
gran numero di cristiani finirono
schiavizzati e deportati nella penisola
iberica.
Episodi che confermano come la
celeberrima battaglia di Poitiers fu un
evento di poca importanza sia nelle
vicende dell’epoca e sia nella complessa
storia dei rapporti fra Cristianità e
Islam. È quindi assai probabile che
nulla sarebbe cambiato se nella
circostanza Carlo Martello fosse stato
sconfitto: la storia dell’Europa non
sarebbe mutata e il Corano non sarebbe
stato insegnato a Oxford come
prefigurava Gibbon.
Riferimenti bibliografici:
Bargigia F., Teoria e cultura della
guerra, in Guerre ed eserciti nel
Medioevo, a cura di Grillo P. e
Settia A., Il Mulino, Bologna 2018, pp.
193-219.
Cardini F., Alle radici della
cavalleria medievale, Il Mulino,
Bologna 2014.
Gasparri S., Italia longobarda. Il
regno, i Franchi, il papato,
Laterza, Roma-Bari 2012.
Guglielmotti P., I franchi e l’Europa
carolingia, in Storia medievale,
AA.VV., Donzelli, Roma 2017, pp.
175-201. |