N. 58 - Ottobre 2012
(LXXXIX)
LEUTTRA 371 A.C.
IL TRAMONTO DELLA POTENZA SPARTANA
di Massimo Manzo
La
battaglia
di
Leuttra
rappresenta
uno
degli
avvenimenti
più
significativi
della
storia
politica
e
militare
greca,
che
ribalta
i
rapporti
di
forza
fino
ad
allora
esistenti
tra
le
poleis
segnando
la
fine
della
supremazia
spartana
e
l’inizio
della
seppur
breve
egemonia
tebana
sull’Ellade.
Dal
punto
di
vista
prettamente
militare
inoltre,
le
conseguenze
dello
scontro
sono
ancora
più
durature:
la
genialità
degli
schemi
introdotti
dai
generali
tebani
Pelopida
ed
Epaminonda,
rivoluziona
infatti
l’arte
bellica
antica
e
costituisce
la
fonte
di
ispirazione
per
la
futura
riforma
dell’esercito
macedone
operata
da
Filippo
II.
Le
premesse
che
portarono
alla
guerra
combattuta
tra
Tebe
e
Sparta
vanno
rintracciate
già
subito
dopo
la
fine
della
guerra
del
Peloponneso
e
sono
essenzialmente
dovute
al
mutamento
delle
condizioni
politiche.
La
conclusione
della
“grande
guerra”,
che
insanguinò
il
mondo
greco
per
più
di
un
trentennio,
se
da
un
lato
segnò
la
sconfitta
di
Atene
e
l’infrangersi
dei
suoi
desideri
imperialisti,
dall’altro
indebolì
fortemente
anche
la
vincitrice
Sparta,
tanto
da
non
consentirgli
di
controllare
efficacemente
l’Ellade
senza
l’ormai
indispensabile
apporto
persiano.
Da
quel
momento
in
avanti,
infatti,
il
Gran
Re
di
Persia,
proprio
attraverso
l’alleanza
con
gli
spartani,
cercherà
in
tutti
i
modi
di
condizionare
gli
equilibri
politici
tra
le
varie
città-stato.
In
tal
modo,
i
Persiani
miravano
a
soffocare
sul
nascere
qualsiasi
rete
di
alleanze
in
grado
di
contrastare
la
loro
potenza,
tenendo
nello
stesso
tempo
ben
saldo
il
giogo
al
quale
avevano
costretto
le
poleis
dell’Asia
minore,
ritornate
in
mano
persiana
dopo
la
cosiddetta
“Pace
di
Antalcida”
del
386.
In
altri
termini,
appoggiare
Sparta
era,
nell’ottica
achemenide,
il
modo
migliore
per
tenere
sotto
controllo
la
situazione
in
Grecia.
È
proprio
la
pace
del
386
a
investire
di
fatto
il
Gran
Re
del
ruolo
di
“arbitro
occulto”
delle
vicende
greche;
le
sue
clausole,
sancendo
infatti
il
“principio
dell’autonomia”
delle
singole
poleis
e
vietando
la
costituzione
di
leghe
o
alleanze
tra
esse,
consolidavano
indubbiamente
la
posizione
spartana.
Tebe
insieme
ad
Atene,
Corinto
e
Argo,
fu
costretta
di
malavoglia
ad
accettare
tali
condizioni.
Posti
da
sempre
a
capo
della
lega
beotica
i
tebani
non
potevano
esserne
soddisfatti,
poiché
tradizionalmente
miravano
al
controllo
della
Beozia
attraverso
gli
organismi
della
lega.
Gli
eventi
successivi
alla
pace
determinarono
dunque
una
frattura
insanabile
con
Sparta.
Nel
382,
con
un
audace
e
sfrontato
colpo
di
mano,
un’armata
spartana
occupa
infatti
la
Cadmea
(ovvero
l’acropoli
di
Tebe)
instaurando,
con
l’appoggio
attivo
della
componente
oligarchica
presente
in
città,
un
governo
favorevole
a
Sparta.
L’opposizione
democratica
viene
esiliata,
trovando
scampo
ad
Atene.
Tra
gli
esponenti
di
tale
corrente
che
riuscirono
a
salvarsi
ce
ne
sono
due,
particolarmente
illustri
e
capaci,
i
cui
nomi
saranno
indissolubilmente
legati
ai
futuri
successi
tebani:
Pelopida
ed
Epaminonda.
Fu
proprio
grazie
a
loro
che
qualche
anno
più
tardi
gli
esuli
riescono
a
riconquistare
la
città,
scacciando
gli
spartani
e
destituendo
il
loro
“governo
fantoccio”.
Una
volta
ripreso
il
controllo
della
situazione,
i
due
grandi
strateghi
prendono
dei
provvedimenti
importantissimi,
per
tutelarsi
contro
gli
inevitabili
futuri
tentativi
di
ingerenza
spartana
e
prepararsi
al
possibile
scoppio
di
una
nuova
guerra.
In
primo
luogo
stringono
alleanza
con
Atene,
la
quale
nel
frattempo
sta
faticosamente
cercando
di
rialzare
la
testa;
ristrutturano
poi
l’esercito,
rendendolo
più
efficiente
ed
addestrato,
attraverso
l’introduzione
di
un
corpo
d’élite
in
grado
di
competere
persino
con
le
invincibili
unità
spartane:
il
Battaglione
sacro.
Divenuto
celebre
nella
storia
militare
e
ideato
dal
comandante
tebano
Gorgida,
esso
era
composto
da
300
cittadini
tebani
sceltissimi,
i
quali,
se
utilizzati
al
momento
giusto,
erano
in
grado
di
ribaltare
le
sorti
di
una
battaglia.
Si
trattava
inoltre
di
150
coppie
di
amanti,
il
che
a
detta
di
Plutarco
li
rendeva
ancora
più
valorosi,
dato
che
ognuno
combatteva
anche
per
difendere
il
compagno
e
desiderava
mostrare
in
sua
presenza
il
proprio
coraggio.
Le
forze
navali
ateniesi
e
quelle
terrestri
tebane
decidono
dunque
di
impegnare
gli
spartani
a
Nasso
e a
Tegira,
dove
riportano
le
prime
vittorie.
I
conseguenti
accordi
di
pace
si
tengono
a
Sparta,
con
la
mediazione
degli
emissari
del
Gran
Re,
ma i
risultati
saranno
per
Tebe
l’ennesima
provocazione.
Mentre
Atene,
infatti,
viene
riconosciuta
come
leader
della
“lega
navale”,
e
quindi
come
interlocutrice
rispettata,
è
fatto
assoluto
divieto
ai
delegati
tebani
di
firmare
il
trattato
a
nome
della
lega
beotica.
Tebe
si
ritira
rabbiosa
dal
tavolo
della
pace:
ormai
la
resa
dei
conti
è
imminente.
Siamo
nel
371
a.C.
La
risposta
degli
spartani
non
si
fa
attendere.
Il
loro
esercito,
infatti,
guidato
da
re
Cleombroto
e
forte
di
diecimila
opliti
e
mille
cavalieri,
invade
la
Beozia
per
fronteggiare
l’armata
tebana,
comandata
da
Epaminonda,
che
invece
può
contare
su
settemila
opliti
e
una
cavalleria
di
millecinquecento
uomini.
Il
campo
di
battaglia
si
trova
nei
pressi
del
villaggio
di
Leuttra.
Cleombroto
sembra
sicuro
della
vittoria,
forse
confortato
dalla
superiorità
numerica.
Ignora
che
lo
scontro
sarà
invece
la
più
terribile
disfatta
della
storia
spartana.
A
Leuttra,
per
la
prima
volta,
Epaminonda
introduce
lo
schema
rivoluzionario
della
cosiddetta
“falange
obliqua”,
chiave
di
volta
del
successo
tebano.
Si
trattava
di
un
accorgimento
tattico
semplice,
ma
terribilmente
efficace,
soprattutto
se
confrontato
con
il
metodo
“tradizionale”
seguito
dal
re
spartano
nella
disposizione
delle
sue
truppe.
Epaminonda
infatti,
schiera
alla
sinistra
della
sua
linea
la
parte
più
forte
dell’esercito,
cioè
il
battaglione
sacro,
facendolo
avanzare
leggermente,
in
modo
che
arrivi
prima
all’impatto
col
nemico,
creando
così
una
linea
obliqua.
La
sinistra
tebana
ha
inoltre
una
profondità
molto
maggiore
rispetto
alla
destra
e al
centro,
arrivando
a
contare
una
fila
di
cinquanta
ranghi
rispetto
ai
consueti
dodici.
Gli
spartani,
invece,
sono
schierati
in
modo
omogeneo
e
piazzano
come
sempre
a
destra
la
parte
più
agguerrita
del
loro
esercito
(duemila
spartiati)
comandata
dallo
stesso
Cleombroto.
In
altri
termini
si
ha
un
ribaltamento
totale
nella
concezione
dell’ordine
di
battaglia:
l’ala
sinistra,
da
sempre
considerata
la
più
debole,
diventa
il
rullo
compressore,
mentre
la
destra
e il
centro
hanno,
nella
nuova
visione
tebana,
un
ruolo
“di
contenimento”
dell’avversario.
L’evolversi
della
battaglia
è
quindi
facilmente
intuibile:
mentre
la
cavalleria
tebana
mette
in
fuga
quella
lacedemone
il
battaglione
sacro,
sotto
la
guida
di
Pelopida,
frantuma
in
un
batter
d’occhio,
dato
lo
sbilanciamento
di
forze,
la
destra
spartana,
mentre
il
resto
dell’armata
tebana
regge
perfettamente
l’urto
(ritardato
dall’ordine
obliquo)
con
le
restanti
forze
nemiche.
Quando
i
lacedemoni
si
accorgono
dello
stratagemma
di
Epaminonda
e
Pelopida
è
ormai
troppo
tardi:
la
crème
della
loro
armata
e lo
stesso
Cleombroto
sono
già
stati
massacrati.
Il
tutto
è
durato
solo
un’ora,
lasciando
sul
campo
più
di
duemila
spartani,
mentre
le
perdite
tebane
sono
contenute,
aggirandosi
intorno
ai
trecento
uomini.
Il
folgorante
trionfo
di
Tebe
ha
conseguenze
politiche
rilevantissime,
imprimendo
di
fatto
un
ribaltamento
degli
equilibri
greci
e
ponendo
fine
all’egemonia
di
Sparta,
che
da
quel
momento
non
sarà
più
capace
di
riprendere
in
mano
i
destini
dell’Ellade.
L’impatto
simbolico
è
poi
disastroso,
perché
compromette
l’aura
di
invincibilità
che
da
secoli
accompagnava
le
forze
armate
spartane.
Leuttra
entra
quindi
nella
storia
come
“la
tomba
di
Sparta”.
Negli
anni
seguenti,
le
ingerenze
tebane
diventano
anche
nel
Peloponneso
sempre
più
rilevanti.
Le
popolazioni
della
regione
storicamente
sotto
il
controllo
dei
lacedemoni
sono
ora
spalleggiate
da
Epaminonda,
che
fomenta
pretese
indipendentiste
mai
sopite
del
tutto
in
funzione
antispartana,
vedendo
con
favore
la
creazione
di
nuove
leghe
peloponnesiache
nemiche
di
Sparta
e
sue
alleate.
Gli
stessi
Iloti,
da
sempre
soggetti
agli
spartani,
poterono
in
questo
clima
liberarsi
dal
loro
giogo.
Ormai
è
talmente
lampante
la
superiorità
di
Tebe
rispetto
alle
altre
poleis,
che
i
tebani
possono
permettersi
di
interferire
anche
in
altre
realtà,
come
nel
caso
della
successione
al
trono
macedone,
nella
quale
giocano
un
ruolo
di
primo
piano
appoggiando
Tolomeo
di
Aloro
e
schierandosi
contro
Alessandro
II.
L’epoca
dell’
egemonia
tebana
dura
però
poco,
concludendosi
quasi
dieci
anni
dopo,
con
la
battaglia
di
Mantiea
del
362,
nella
quale
perde
la
vita
lo
stesso
Epaminonda,
che
ormai
era
rimasto
solo
alla
guida
della
città.
Il
suo
“collega”
Pelopida
era
infatti
perito
nel
364,
non
prima
di
aver
riportato
l’ultima
vittoria
contro
Alessandro
di
Fere
nella
battaglia
di
Cinoscefale.
La
perdita
dei
due
grandi
strateghi,
se
da
un
lato
è
fatale
per
Tebe,
che
non
riesce
a
trovare
dei
sostituti
degni
in
grado
di
continuarne
l’opera,
dall’altro
è
drammatica
per
l’intera
Grecia,
che
da
quel
momento
piomba
di
nuovo
nel
caos.
Ciò
è,
in
fondo,
perfettamente
comprensibile,
dato
che
l’ascesa
della
potenza
tebana
fu
in
larga
parte
il
frutto
del
loro
intuito
e
delle
loro
spregiudicate
e
vincenti
mosse
politico-militari.
Elemento
non
secondario,
inoltre,
che
aiuta
a
spiegare
la
brevità
della
supremazia
tebana
e la
generale
debolezza
in
cui
versa
l’Ellade,
è
l’inadeguatezza
del
modello
politico
della
polis,
il
quale,
prestando
il
fianco
all’eccessivo
e
logorante
egoismo
delle
singole
città-stato,
è
sul
punto
di
morire
per
consunzione.
Gli
insegnamenti
di
Epaminonda
e
Pelopida
non
cadono
però
nel
vuoto.
Nel
368
un
giovanissimo
Filippo,
che
soggiorna
come
ostaggio
proprio
a
Tebe,
apprenderà
a
pieno
la
loro
lezione.
La
grande
riforma
dell’esercito
che
il
sovrano
macedone
adotterà
durante
il
suo
regno
scaturirà
dall’osservazione
delle
peculiarità
dell’armata
tebana,
che
ritroveremo
in
forma
evoluta
nelle
falangi
macedoni.
Nessuno
poteva
aspettarsi
che
un
trentennio
dopo
la
sua
permanenza
a
Tebe
quel
ragazzo
avrebbe
sbaragliato
a
Cheronea
l’ultima
coalizione
di
città-stato,
inaugurando
un
nuovo
capitolo
della
storia
greca.