N. 73 - Gennaio 2014
(CIV)
LA BATTAGLIA DI KOSOVO POLJE, 1389
TRA MITO E RELIGIONE
di Federica Romeo
La
battaglia
della
Piana
dei
Merli
(Kosovo Polje,
1389),
combattuta
tra
Serbi
e
Ottomani,
giocò
un
ruolo
fondamentale
nella
formazione
della
coscienza
collettiva
del
popolo
serbo
stesso.
Le
premesse
di
questa
storica
battaglia
si
trovano
già
nella
morte
del
sovrano
serbo
Stefano
Dusan
(1355),
i
cui
progetti
imperiali
si
dissolsero
con
la
frantumazione
del
regno
in
tanti
piccoli
principati
semi-indipendenti,
posti
sotto
la
sovranità
nominale
del
figlio
Uros.
Di
questa
situazione
di
precarietà
e
debolezza
approfittarono
i
Turchi,
che
una
volta
perpetrati
nella
penisola
balcanica,
sconfissero
pesantemente
i
Serbi
presso
il
fiume
Maritza,
in
Macedonia,
nel
1371.
Per
far
fronte
alla
minaccia
turca
che
avanzava
sempre
di
più,
Lazar
(1329-1389),
il
più
potente
dei
principi
serbi,
decise
di
stipulare
un’alleanza
con
Tvrtko
I,
signore
di
Bosnia,
il
quale
si
era
da
poco
autoproclamato
anche
signore
di
tutti
i
Serbi.
Lazar
e
Tvrtko
si
scontrarono
con
i
turchi
guidati
dal
sultano
Murad
I
(1326-1389)
nella
Piana
dei
Merli
il
giorno
di
San
Vito,
il
28
giugno
del
1389.
L’esito
della
battaglia
fu
disastroso:
i
contingenti
serbi,
tra
i
quali
figuravano
anche
valacchi,
bulgari
e
albanesi,
vennero
travolti
e
Lazar
fu
imprigionato
e
decapitato.
Su
desiderio
di
Stefano
Lazarevic,
figlio
di
Lazar
e
despota
di
Serbia,
sul
luogo
della
battaglia
venne
posta
una
colonna
di
marmo
in
ricordo
degli
eroi
li
caduti.
Significativa
la
preghiera
che
l’iscrizione
sulla
colonna
riporta:
“oh
straniero
che
calpesti
questo
suolo
… in
questo
posto
c’era
una
volta
un
grande
comandante
di
nome
Lazar,
torre
di
pietà,
…
che
amava
tutto
ciò
che
Cristo
voleva
…
egli
ha
accettato
il
sacrificio”.
In
questo
caso,
il
riferimento
alla
religiosità
di
Lazar
si
rivela
estremamente
importante
per
comprendere
quanto
la
fede
cristiana
avesse
influenzato
le
gesta
dell’eroe
serbo
e in
che
modo
abbia
contribuito
ad
arricchire
l’evento
della
battaglia
di
Kosovo
Polje
di
elementi
epici
e
mistici.
La
leggenda
serba
che
si
andò
a
diffondere
in
seguito
narra
che
alla
vigilia
della
battaglia
un
falcone,
proveniente
da
Gerusalemme,
si
fosse
recato
presso
l’accampamento
di
Lazar
portando
nel
becco
un’allodola.
Il
falcone
rappresentava
metaforicamente
Sant’Elia
e
l’allodola
non
era
nient’altro
che
un
messaggio
di
Dio:
Lazar
doveva
scegliere
tra
la
vittoria
e la
sovranità
in
terra
o
l’essere
sconfitto
da
Murad
raggiungendo
così
la
gloria
del
Regno
dei
Cieli.
Consapevole
della
natura
effimera
ed
immanente
delle
cose
terrestri,
Lazar
scelse
la
sconfitta,
preferendo
un
destino
eterno
e
glorioso
per
sé
ed
il
popolo
serbo.
La
cristianità
era
l’unico
vero
territorio
da
difendere
dalla
minaccia
musulmana
e il
sacrificio
di
Lazar
ne
fu
la
più
alta
manifestazione.
I
principi
serbi
dell’epoca
medievale
commissionavano
abitualmente
cicli
di
affreschi
all’interno
delle
chiese
che
rappresentassero
lo
splendore
del
loro
regno
e
della
loro
tradizione
cristiana,
in
modo
che
la
memoria
ne
venisse
trasmessa
nei
secoli
a
venire.
Lazar,
in
particolar
modo,
era
stato
fautore
di
opere
di
costruzione
e
restauro
di
chiese
e
monasteri,
come
quello
del
Monte
Athos;
inoltre,
s’impegnò
a
riconciliare
il
patriarcato
serbo
con
quello
di
Costantinopoli,
dopo
anni
di
disaccordi.
Non
sorprende
affatto
che
Lazar
abbia
scelto
di
morire
da
martire
per
la
cristianità,
pronunciando
testuali
parole
prima
della
decapitazione:
“Mio
Dio,
ricevi
la
mia
anima”.
Non
possediamo
molte
fonti
in
forma
scritta
sulle
vicende
di
Kosovo
Polje;
una
piccola
parte
di
questa
storia
fu
riportata
da
cronisti
contemporanei
dell’evento,
dai
canti
della
tradizione
popolare
diffusi
dai
guzlar
(i
cantastorie
suonatori
della
guzla,
strumento
medievale,
diffuso
nei
Balcani)
e
dai
poemi
epici;
in
proposito,
si
ricorda
“Lodi
al
Knez
Lazar”,
il
più
importante
tra
i
poemi
epici
serbi,
un
dramma
celebrativo
delle
gesta
di
Lazar,
composto
nel
1392
dal
patriarca
Danilo
III.
Tuttavia
non
ci
si
può
avvalere
in
maniera
totale
di
queste
fonti
per
definire
le
circostanze
della
battaglia
in
modo
sufficientemente
verosimile,
a
causa
dell’aspetto
leggendario
e
mistico
che
questo
evento
ha
acquisito
nei
secoli,
presentandosi
così
come
un
episodio
mitico
pari
a
quelli
dell’épos
omerico,
ricalcando
involontariamente
l’ideale
di
morte
gloriosa
di
un
eroe
come
Achille,
che
proprio
con
la
morte
voleva
avvicinarsi
il
più
possibile
all’eternità
dei
suoi
dei.
La
battaglia
di
Kosovo Polje,
così
come
ci è
stata
tramandata,
rimane
il
momento
più
epico
e
tragico
della
storia
dei
serbi,
che
passarono
da
una
condizione
di
libertà
ad
una
condizione
di
schiavitù.
Gli
Ottomani
li
sottomisero
ma
non
riuscirono
a
distruggere
la
loro
identità
nazionale.
Ancora
nel
XX
secolo
gli
echi
di
Kosovo
Polje
si
fanno
sentire:
Gavrilo
Princip,
rivoluzionario
sostenitore
del
nazionalismo
serbo
anti-asburgico,
fu
l’autore
dell’attentato
all’arciduca
Francesco
Ferdinando
d’Asburgo,
a
cui
sparò
a
Sarajevo
il
28
giugno
1914,
fornendo
così
un
pretesto
per
lo
scoppio
del
primo
conflitto
mondiale.
Non
è un
caso
che
la
congiura
trovò
la
sua
attuazione
proprio
il
28
giugno,
la
stessa
data
in
cui
si è
combattuta
l’epica
battaglia.
E
infine,
Slobodan
Milosevic,
si
consacrò
a
guida
del
nazionalismo
serbo
con
il
discorso
da
lui
pronunciato,
proprio
a
Kosovo
Polje,
il
28
giugno
1989,
dando
inizio
ad
un
altro
capitolo
tragico
della
storia
dei
Balcani.